CinemaRecensioni

Recensione/Roman Polanski: A Film Memoir

di Erica Gazzoldi

La rassegna Pellicole d’autunno 2012 si è conclusa il 27 novembre, al Politeama di Pavia. Bilancio positivo: buon afflusso di spettatori e il proposito di proporre ancora cinema di qualità (unico modo per salvare la settima arte).
L’ultima pellicola è stata: Roman Polanski: A Film Memoir, di Laurent Bouzereau (2012). Contrariamente alle altre, non è una fiction, ma un documentario. Panorami svizzeri, fotografie, filmati d’epoca si susseguono in un collage unificato dal volto di Polanski e da quello dell’amico/produttore Andrew Braunsberg, che lo intervista. L’incontro ha luogo nell’accogliente casa di Gstaadt, località svizzera dove il protagonista dichiara di “sentirsi a casa”. La volontà di realizzare la pellicola è nata dalla consapevolezza che la vita del regista franco-polacco è stata uguale a quella di nessun altro. Polanski può ben esser definito “uomo del Novecento”: non tanto per ragioni cronologiche, quanto perché ha attraversato in pieno le tempeste di questo secolo. La sua famiglia, dalla Francia, è tornata alla natia Polonia giusto poco prima che venisse invasa dall’esercito nazista. L’infanzia di Roman è così trascorsa nel ghetto di Cracovia, fornendogli quei ricordi confluiti ne Il pianista (2002). Entrambi i suoi genitori conobbero la deportazione nei Lager, dalla quale la madre non tornò. Al cinema, Polanski approdò per caso, da baby-attore radiofonico. Fu ammesso a un’elitaria scuola di cinema contro tutte le proprie speranze. Poi, la feconda produzione: Il coltello nell’acqua (1962), Repulsione (1965), Rosemary’s Baby (1968), Chinatown (1974), L’inquilino del terzo piano (1976), Tess (1979), Pirati (1986), Luna di fiele (1992), Il pianista (2002), Oliver Twist (2005), … Il ricordo più recente del pubblico, però, dev’essere quello dell’arresto al festival cinematografico di Zurigo (2009). Fu dovuto a un mandato di cattura pendente da parte degli Stati Uniti, con l’accusa d’aver stuprato una minorenne nel 1977. Il film memoir si apre appunto con la raffica di telegiornali che diffondono la notizia. L’accusa alla rapacità dei media riaffiora più volte nel corso del film: per bocca della presunta vittima di stupro, che si dichiarò più danneggiata dalla stampa che dall’errore di Polanski. O per bocca di Polanski stesso, da giovane, quando le riviste scandalistiche suggerirono il suo coinvolgimento nel massacro della seconda moglie, Sharon Tate, trucidata dai satanisti di Charles Manson (1969). Balenano, fra le atrocità, momenti luminosi: come l’incontro con Emmanuelle Seigner sul set di Pirati, il successivo matrimonio e l’arrivo dei figli. Il segreto della fermezza con cui Polanski ricompone i brandelli della propria vita (secondo le sue stesse parole) è proprio questo: i picchi di felicità che hanno compensato le amarezze.

Erica Gazzoldi (@EricaGazzoldi)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *