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Intorno alla vita di Pavia – «L’Inferno sulla vetta» di Paolo Mazzarello

Per i suoi abitanti, pavesi d’origine, di adozione o in transito verso ignoti futuri, Pavia è città universitaria. Dietro quella che appare come una considerazione consolidata da tempo, al punto da passare inosservata, si cela un ampio e illustre percorso storico, animato da personalità di rilievo: Alessandro Volta, la cui statua è tappa obbligata per fotografie e festeggiamenti agli occhi di qualunque novello laureato; Ugo Foscolo che, pur avendo insegnato solo per poco, ha contribuito alla fama dell’Ateneo pavese; e i fratelli Zoja.

In L’inferno sulla vetta, Paolo Mazzarello, professore di Storia della medicina all’Università di Pavia, si propone l’obbiettivo di raccontarci la storia di Raffaello Zoja e del più giovane fratello Alessandro, illustri menti pavesi scomparse in un tragico incidente. Narrare di loro non è che parte di un più ampio racconto che delinea un quadro storico, sociale e culturale della Pavia ottocentesca. 

Non è nuovo nella produzione di Mazzarello il progetto di una scrittura connessa alla storia di rinomati personaggi la cui vita professionale è stata legata all’Università di PaviaIl professore e la cantante – La grande storia d’amore di Alessandro Volta (ed. Bollati Boringhieri, 2009), Il contagio vivo – Agostino Bassi nella storia della bachicoltura (ed. Cisalpino, 2009) Il Nobel dimenticato – La vita e la scienza di Camillo Golgi (ed. Bollati Boringhieri, 2006) ne sono esempi. Più in generale, l’autore ha particolarmente care certe tematiche storiche (declinate in forma narrativa) che sappiano raccontare al lettore di  momenti storicamente rilevanti e di personalità eccelse . 

Come classificare, letterariamente parlando, L’inferno sulla vetta? È una biografia? Sì, ma non solo. Un romanzo? Certamente, ma anche di più. Illuminante la definizione di Pierluigi Vercesi per cui l’opera «sembra un romanzo, invece è un bellissimo saggio scientifico». Del saggio scientifico, il lavoro di Mazzarello riprende il gusto per la citazione documentaria: nel libro compaiono infatti numerose frasi che sono in realtà porzioni di testo delle fonti consultate, di cui, in appendice, Mazzarello riporta l’elenco puntale. Naturalmente un grave errore sarebbe pensare l’opera come un’attività di puro assemblaggio e gusto per la citazione, tutt’altro: semmai si vede l’acribia documentaria con cui la ricerca si è mossa nella creazione di un “romazo triforme”. Laddove l’autore racconta i fatti rielaborandoli di propria mano, senza la ripresa diretta di documenti, la prosa si fa più  lirica, particolarmente sensibile a delineare un dramma umano, talvolta intensificando di molto il pathos nell’evocazione costante della tragica fine dei fratelli, osservata sotto molteplici punti di vista, che tormenta come un presagio. Nel complesso l’andamento della prosa è lineare, limpido, senza eccessi o astruse involuzioni.

Una certa chiarezza scientifica si evince già, paradossalmente, dai termini chiave presenti nel titolo, portatori dei temi cardine della vicenda, per cui l’inferno richiama immediatamente il destino di morte, mentre la vetta rimanda indubbiamente a un contesto montano (nella fattispecie al monte Gridone) di cui si rilevano nel testo tutte le indicazioni che rimandano ai pressi del Lago Maggiore; non il semplice teatro di una tragica vicenda ma il luogo in cui si (ri)trovano le miglior menti dell’epoca. Nella Valle Vigezzo si vedono villeggiare non soltanto le brillanti menti della famiglia Zoja (accanto ai fratelli di cui sopra, anche il padre Giovanni Zoja e la madre Adriana Panizza), ma anche accademici pavesi quali il naturalista Leopoldo Maggi, l’ingegnere Ferdinando Brusotti, Alessandro Cuzzi, docente di ostetricia e ginecologia. In Mazzarello la montagna apre e chiude la vicenda, divenendo il simbolo di tutto il racconto e del momento storico di cui si narra. La descrizione iniziale (influenzata forse anche da modelli squisitamente letterari, quale il Resegone di Manzoniana memoria) così come l’epigrafe iniziale (citazione da Il vegliardo di Italo Svevo) evocano il sentimento del tragico, ma nel romanzo la montagna è anche l’emblema della ricerca intellettuale, del desiderio dell’uomo di dominare la realtà da cui sovente viene vinto: non era «la loro [dei fratelli Zoja e dell’amico Filippo De Filippi] prima escursione» e «l’impresa era cementata dall’amicizia, dalla cultura, dalla passione per la montagna» per cui tutto «faceva pensare che anche questa volta avrebbero visto un’esperienza da ricordare» (da Prologo – Fascino inquietante). 

Se è vero che dalla montagna si ascolta più da vicino «il respiro del mondo» (dal Prologo), è altrettanto vero che quello degli Zoja è un mondo in fermento. L’Ottocento è stato il secolo del Positivismo, dell’ottimismo epistemologico par excellence e della fiducia assoluta nella scienza. Significativo che, delle tre parti in cui è diviso il libro, la seconda rechi il titolo di Darwin e Socialismo. I testi del cittadino britannico hanno rappresentato parte significativa delle letture di Raffaello Zoja così come il Socialismo ha ricoperto un ruolo essenziale nell’elaborazione del pensiero del giovane. Ma Darwin ha fatto scuola a più di una generazione, quella di cui Zoja faceva parte così come quella dei suoi maestri e non va dimenticato che accanto all’intento biografico, Mazzarello persegue la volontà di restituirci effettivamente il respiro di un’epoca.

Visto l’esito dell’escursione si potrebbe leggere nelle pagine di Mazzarello un critica totale al pensiero positivista, ma sarebbe sicuramente più opportuno parlare di messa in luce dei limiti del Positivismo che voleva fare della scienza (e della scienza soltanto) un mezzo infallibile, mentre, Mazzarello riflette anche stilisticamente (attraverso le tecniche del romanzo in perfetto mélange con punti dallo stile più saggistico) sulla possibilità di coesistenza del pensiero scientifico con la propensione umanistica.  Va notato anche, tornando sul lato più biografico, che Raffaello Zoja non cedette mai al fanatismo verso il Positivismo nella sua pur breve vita, sebbene mosso da una forte fiducia nelle possibilità umane, cementata dai nobili ideali secondo cui era stato educato dalla madre. 

In conclusione, il più interessante lato del lavoro di Mazzarello, non è tanto l’aspetto puramente biografico: possiamo sentirci vicino alla famiglia che ha subito un doloroso lutto, vicini a due fratelli Zoja, scomparsi troppo giovani, ma non è in questo il pregio più alto della lettura di L’inferno sulla vetta. Il punto di forza del romanzo è essere riuscito a rievocare il comune sentire di una società in un preciso momento storico, a mostrare le aule dell’Ateneo pavese attraverso gli occhi delle generazioni dimenticate dai più, che hanno però dato i natali a grandi talenti, insomma, il respiro di un’epoca. Non è scontato dire che una parte del pubblico ideale a cui potrebbe destinarsi il racconto è forse proprio la popolazione studentesca odierna, che potrà anch’essa percepire la fiamma di conoscenza che animava i due fratelli, e magari rispecchiarvisi, in comune partecipazione.

 

Tommaso Romano

Redattore per «Inchiostro». Studente di «Antichità Classiche e Orientali» presso l’Università di Pavia, è appassionato di troppa roba. Cento ne pensa, cento ne fa, cento ne scrive (o vorrebbe).

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