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I migliori film del 2017 secondo “Birdmen”

di C. M. Rabai, C. Turco, L. F. GiardinaL. Parandera, M. Capra, R. Bellini, S. Badino e S. Civardi

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S’è da poco chiusa la stagione cinematografica del 2017: ecco i migliori film dell’anno secondo la Redazione di “Birdmen”. Per la classifica, riportata in ordine sparso, sono stati presi in considerazione i titoli distribuiti in Italia fra il primo gennaio ed il 31 dicembre del 2017.

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SWISS ARMY MAN

Regia, soggetto e sceneggiatura: Daniel Kwan e Daniel Scheinert

Paese di produzione: U.S.A.

Lungometraggio d’esordio per i due autori noti con lo pseudonimo di “Daniels“, Swiss Army Man trionfa come miglior film all’edizione 2016 del Sundance film Festival: una pellicola indipendente statunitense bizzarra, grottesca, comica e surreale, con uno sguardo profondo sul senso della vita e sul valore dell’amicizia. Un’isola, due naufraghi, un morto e un vivo, per una pellicola brillante e geniale che, trascendendo il limine del verosimile, amplifica il suo significato nel reale, lasciando un segno marcato nella memoria dello spettatore e nella stagione cinematografica del 2017. Qui la nostra recensione completa.

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DUNKIRK

Regia, soggetto e sceneggiatura: Christopher Nolan

Paesi di produzione: Regno Unito; U.S.A.; Paesi Bassi; Francia

Tra i film che più hanno diviso pubblico e critica nel 2017, Dunkirk è riuscito a lasciare la propria (anomala) impronta sul panorama dei film di guerra. A partire da un fatto storico poco battuto, l’evacuazione dei soldati alleati circondati dai tedeschi sulla spiaggia di Dunkerque, in Francia, nel 1940, Christopher Nolan costruisce una narrazione in tre ambientazioni con temporalità differenti e variamente concatenate: si racconta una settimana sulla terraferma, un giorno sul mare e un’ora nei cieli. Oltre al bello schema narrativo, a distinguersi sono il cast corale, adattissimo a raccontare una storia senza veri protagonisti, e l’altissimo gusto estetico espresso da Nolan e Hoyte Van Hoytema. Il volo silenzioso dello spitfire pilotato da Tom Hardy è una delle immagini imperdibili del 2017. Qui la nostra recensione completa.

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LOVELESS

Regia, soggetto e sceneggiatura: Andrej Zvjagincev

Paesi di produzione: Russia; Francia; Belgio; Germania

In una gelida Russia si consuma l’agghiacciante dramma di Loveless, ultimo lavoro di Andrey Zvyagintsev, già Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes. A tre anni da Leviathan (2014), la personalità artistica del cineasta russo, votata alla critica socio-politica, s’innesta sulla scomparsa di Alyosha, dodicenne bollato come peso dai propri genitori, in procinto di divorzio. La vacuità dei non-valori fondati sull’apparenza e l’apatia di rapporti umani privi di ogni slancio d’affetto si coniugano con una narrazione armoniosa, trasmettendo una carica emotiva scevra da ogni seppur momentanea catarsi. Pellicola dolente che, basata su un rancore capace d’intorpidire l’anima, rende protagonista lo spettatore, forse l’unico realmente interessato alla sorte del piccolo Alyosha.

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ELLE

Regia: Paul Verhoeven

Soggetto: Philippe Djian

Sceneggiatura: David Birke

Paesi di produzione: Francia; Belgio; Germania

L’incontro tra Isabelle Huppert e Paul Verhoeven, regista del cult Basic Instinct (1992), scaturisce in Elle, titolo tra i più controversi dell’anno appena trascorso, che prende le mosse dal terribile episodio di violenza sessuale subito da Michèle – borghese dal passato segnato da una tragedia familiare –, portando in scena un noir eclettico che fonde abilmente dramma, thriller e commedia. In Elle «La vergogna non è sufficiente ad impedirci di fare certe cose», e l’ambiguità domina la pellicola, scolorando ogni linea di confine tra etica ed amoralità, nonché la distinzione netta tra piacere e vendetta. Presentato nel 2016 al Festival di Cannes, trionfa ai Golden Globes 2017 come miglior film straniero, e vale alla Huppert il riconoscimento come miglior attrice in un film drammatico. Qui la nostra recensione completa.

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120 BATTITI AL MINUTO

Regia: Robin Campillo

Soggetto e sceneggiatura: Robin Campillo e Philippe Mangeot

Paese di produzione: Francia

Selezionato per rappresentare la Francia agli Oscar 2018 nella categoria miglior film straniero, 120 battiti al minuto è il terzo lungometraggio del regista francese Robin Campillo. Riferimento esplicito ai 120 battiti al minuto della musica pop dei primi Anni Novanta, la pellicola s’incentra sulle vicende degli attivisti del collettivo parigino Act Up-Paris, che portano avanti con tenacia una battaglia di sensibilizzazione ed informazione sull’A.I.D.S., combattendo, all’epoca, contro una società convinta che solo omosessuali e drogati possano contrarre il virus. Un film potente – dal grande valore storico, sociale e politico – che è stato pluripremiato al Festival di Cannes, ottenendo anche il Gran Premio della Giuria.

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LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE

Regia, soggetto e sceneggiatura: Woody Allen

Paese di produzione: U.S.A.

Anni Cinquanta, Coney Island, un parco divertimenti fa da sfondo a uno dei più drammatici ed ispirati Woody Allen, non solo dell’ultimo periodo. Un dramma familiare fatto di ricongiungimenti dolorosi ed inaspettati, tradimenti celati, gelosia ed illusione. Le vite dei quattro personaggi centrali s’intrecciano come fili di una matassa, creando nodi sempre più difficili da sciogliere. Il quadro è dipinto dalla fotografia di Vittorio Storaro, in un continuo alternarsi di luce naturale ed artificiale, da un caldo rosso al blu elettrico, che va a rispecchiare la psiche e l’emotività dei personaggi in scena. Questa componente estetica assume un ruolo fondamentale nel delineare la vicenda, parimenti in importanza espressiva a quello della sceneggiatura. È un film caratterizzato da toni pessimistici, i cui personaggi sembrano rassegnati alla propria condizione, ed appaiono incapaci di affrontarla. Qui la nostra recensione completa.

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SONG TO SONG

Regia e sceneggiatura: Terrence Malick

Paese di produzione: U.S.A.

L’Amore, le sue incertezze, le pulsioni, il desiderio, la perdita di se stessi, la necessità di esperire per trovare la propria strada, questo è Song to song, ultima opera di un regista che ha ormai acquisito una capacità espressiva attraverso una poetica unica nel suo genere, fatta di non-linearità temporale e spaziale, forte introspezione in voice-over, scomposizione e ricomposizione in fase di montaggio ed un’ossessiva ricerca estetica della Bellezza. Di canzone in canzone, da Bob Dylan a Patty Smith, da Lykke Li a Iggy Pop, da Arvo Part a Saint-Saëns, la musica scandisce, riflette e colora con le sue sfumature le vicende dei protagonisti. La fotografia di Lubezki fa il resto, e chiude la composizione di quest’opera che va oltre la classica definizione di Cinema, diventando viva esperienza.

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MADRE!

Regia e sceneggiatura: Darren Aronofsky

Paese di produzione: U.S.A.

Una giovane coppia, lui scrittore in cerca d’ispirazione, lei giovane casalinga impegnata a ristrutturare la casa. Casa che è molto più di una location che fa da sfondo alla vicenda, diventa quasi un personaggio, un’estensione della protagonista, ed arriva ad essere metafora della Terra, secondo alcune interpretazioni. Il precario equilibrio è rotto dall’arrivo di alcuni ospiti inattesi, da qui la situazione s’avvia verso una progressiva degenerazione, una complessità e varietà interpretativa fino all’enigmatico finale. madre! è un film che tramortisce per la sua densità di concetti, che va pensato e ripensato dopo la visione, senza emettere un giudizio, mentre la mente dello spettatore attento è ancora impegnata a rielaborare e metabolizzare i piani di lettura e le stratificazioni del film, e ad interpretare metafore più o meno definite. Qui la nostra recensione completa.

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LA TARTARUGA ROSSA

Regia: Michaël Dudok de Wit

Sceneggiatura: Michaël Dudok de Wit e Pascale Ferran

Paesi di produzione: Francia; Belgio; Giappone

Dopo il noto cortometraggio Father and doughter (2000), Dudok de Wit affronta nuovamente il tema dei legami familiari in un film semplice, ma straordinario. La storia narra di una grande tartaruga marina che impedisce la fuga di un naufrago da un’isola deserta, per poi trasformarsi in una giovane donna e costruire con lui una famiglia. L’unione sfiora in molti suoi aspetti il tema della Natura: sia come nemico ostile, sia come risorsa per il naufrago che lotta per la sopravvivenza, per poi farsi protagonista nell’avventura del ciclo della vita. Il tutto narrato con l’elegante scelta di escludere totalmente il dialogo. Notevole anche l’estetica, con tavole artisticamente pregevoli che si distaccano dallo stile classico dell’animazione nipponica, pur lasciando emergere tutta l’esperienza e la cura di Studio Ghibli.

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SETTE MINUTI DOPO LA MEZZANOTTE

Regia: Juan Antonio Bayona

Soggetto: Patrick Ness (romanzo); Siobhan Dowd (idea)

Sceneggiatura: Patrick Ness

Paesi di produzione: U.S.A.; Spagna

Il fantasy-drama diretto da Bayona è un singolare esperimento che si propone di affrontare i drammi di un’età delicata come la prima adolescenza, ricorrendo ad un contorno onirico e fiabesco. La pellicola segue le vicende di un gigantesco albero antropomorfo che visita ogni notte il giovanissimo Conor, e lo aiuta, raccontandogli tre fiabe, ad affrontare la malattia della madre, il bullismo e le complicate relazioni familiari. La pellicola, oltre ad un buon comparto narrativo ed estetico, fra cui spicca la stupenda animazione che accompagna il primo racconto, si avvale di un cast hollywoodiano davvero notevole: Felicity Jones e Sigourney Weaver sono rispettivamente la madre e la nonna del protagonista, mentre Liam Neeson presta la sua voce al grande albero.

sette minuti dopo la mezzanotte____________________

L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA

 Regia, soggetto e scneggiatura: Aki Kaurismaki

Paesi di produzione: Finlandia; Germania

Il più grande pregio dell’ultimo film di Aki Kaurismaki sta nel suo essere Cinema, ovvero nella voglia di mostrare ciò che accade anziché imbastire il racconto di retoriche stucchevoli, senza con questo rinunciare però allo sguardo morale che regge l’opera del finlandese. E così L’altro volto della speranza ci mostra le vicissitudini dell’immigrato siriano Khaled a Helsinki, il suo incontro con il buon Waldemar e con l’esilarante staff dello sgangherato locale aperto da quest’ultimo, le difficoltà del suo arrivo in Europa, con alle spalle le atrocità della guerra, che irrompono nella commedia in un toccante, quanto crudo e diretto, racconto del protagonista. Exemplum morale senza retorica, una vicenda che non pretende di essere straordinaria, bensì d’indicarci ciò che andrebbe fatto in una società più giusta. Meritato Orso d’argento per la regia a Berlino 2017.

L'ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA___________________

BLADE RUNNER 2049

 Regia: Denis Villeneuve

Soggetto: Philip K. Dick

Sceneggiatura: Hampton Fancher e Michael Green

Paesi di produzione: U.S.A.; Gran Bretagna; Canada

Una delle più grandi rivelazioni del 2017 è un sequel d’autore di rara maturità espressiva, come se ne vedono pochi nell’attuale industria cinematografica. Seguito del cult del 1982, Blade Runner 2049 dimostra di non temere troppo il confronto con l’illustre predecessore, smarcandosi abilmente dalla trappola del revival  nostalgico per approfondire l’universo di riferimento – cui guarda con la giusta dose di deferenza –, aggiornandolo attraverso l’immaginario di un regista, Denis Villeneuve, dall’incredibile estro visionario, qui posto al servizio di quella che è soprattutto una riflessione sull’immagine attraverso la potenza e l’ambiguità delle immagini stesse, cui l’autore lascia liberamente il discorso, procedendo più per significanti che per significati. Audace, potente, decisamente atipico per i canoni main-stream. Cinema all’ennesima potenza. Qui la nostra recensione completa.

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SIERANEVADA

 Regia e sceneggiatura: Cristi Puiu

Paesi di produzione: Romania; Francia; Bosnia ed Erzegovina; Croazia; Macedonia

Cristi Puiu è uno dei rappresentanti del prolifico “Nuovo Cinema rumeno”, che negli ultimi quindici anni si è confermata come una delle realtà cinematografiche più apprezzate in Europa. Presentato a Cannes nel 2016 – in concorso insieme al premiato Bacalaureat, del connazionale Cristian Mungiu – Sieranevada segna il ritorno di Puiu alla commedia allegorica e grottesca, a distanza di undici anni da La morte del signor Lazarescu (2005). Film volutamente estenuante, dalla durata di quasi tre ore, denso di piani sequenza e lenti movimenti, assurdo girotondo umano che configura entro i confini soffocanti e surreali di un appartamento lo specchio di una società cristallizzata in un dopo-storia da cui non sembra esserci via di uscita. Uno dei migliori titoli della passata stagione per profondità di analisi ed efficacia tecnica.

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Eccoci giunti ad alcune menzioni speciali, in aggiunta alla classifica principale.

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LOST IN LONDON

Regia, soggetto e sceneggiaturaWoody Harrelson

Paese di produzione: U.S.A.

Dopo celebri esempi come Arca russa (2002), di Aleksandr Sokurov, e Victoria (2015), di Sebastian Schipper, il famoso attore statunitense Woody Harrelson, la notte del 19 gennaio 2017, realizza con un unico piano sequenza il film Lost in London. La pellicola, della durata di circa 100 minuti, è stata girata e contemporaneamente trasmessa, in diretta streaming, in circa 500 sale statunitensi; un inedito nella Storia del Cinema.

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STAR WARS: THE LAST JEDI

Regia e sceneggiatura: Rian Johnson

Paese di produzione: U.S.A.

Difficile porre Star Wars: The last Jedi  tra i migliori film dell’anno, non perché non si meriti questo riconoscimento, ma perché una pellicola di questo genere corre su binari valutativi diversi; i fan sono divisi, la critica è divisa, troppi sono i sentimenti messi in gioco per essere completamente super partes, ma è certo che Episodio VIII sia uno dei film da vedere a tutti i costi per inquadrare il Cinema del 2017. Il messaggio di Rian Johnson è chiaro: bisogna chiudere i conti col passato e andare avanti, anche a costo di smontare miti e aspettative dei fan, anche a costo di osare. Un messaggio che pare superare le pareti della sala cinematografica e arrivare a essere critica sociale. Serviranno tempo ed Episodio IX per capire se Johnson stia dalla parte della ragione: ai posteri l’ardua sentenza. Qui la nostra recensione completa.

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THE WHISPERING STAR

Regia e sceneggiatura: Sion Sono

Paese di produzione: Giappone

Pellicola del 2015 che ha avuto solo quest’anno una limitatissima distribuzione in Italia. Il poliedrico regista giapponese Sion Sono rende omaggio alle vittime del disastro di Fukushima con un’opera fantascientifica di una bellezza eterea e lontana, immersa in un’atmosfera tarkovskiana temporalmente sospesa, il tutto colorato in un bianco e nero rotto solo per pochi attimi dal colore, ed accompagnato da una musica che scandisce il ritmo dilatato dell’azione. Un’androide viaggia nello spazio siderale sola nella sua astronave, e consegna misteriosi pacchi agli ultimi umani rimasti, mostrandoci una civiltà al crepuscolo, ormai in declino, destinata a spegnersi in un malinconico silenzio. Resta poco di umano in quanto ci viene mostrato, ma questi pochi scampoli sono sufficienti a farci interrogare sullimportanza dei ricordi in un mondo reso emotivamente asettico dalle macchine e da un’inevitabile solitudine.

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LOVING VINCENT

Regia e sceneggiatura: Dorota Kobiela e Hugh Welcham

Paesi di produzione: Gran Bretagna; Polonia

Loving Vincent è il primo film interamente dipinto a mano. Nasce dal connubio tra Pittura e Cinema, un nuovo modo di vedere le opere d’Arte e i film. Ogni fotogramma è un quadro: i lavori del geniale e folle Vincent van Gogh prendono vita grazie alla magia del Cinema, catapultandoci in Francia, nel 1891, un anno dopo la sua morte misteriosa. Seguendo le indagini di A. Roulin (figlio del postino di van Gogh), emergono rivelazioni sulla vita di Vincent. Una pellicola per chi ama l’Arte ed il Cinema, ed è curioso d’immergersi in una nuova esperienza visiva, alla scoperta del celebre pittore olandese. Qui la nostra recensione completa.

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LOGAN: THE WOLVERINE

Regia: James Mangold

Soggetto: R. Thomas, L. Wein e J. Romita Sr. (personaggio); J. Mangold (storia)

Sceneggiatura: Scott Frank, James Mangold e Michael Green

Paese di produzione: U.S.A.

Logan: The Wolverine è il cinecomic atipico. Dopo una trilogia X-Men cult, una trilogia prequel che – eccezion fatta per Giorni di un futuro passato (Bryan Singer; 2011) – ha lasciato tutti tiepidi e due spin-off X-Men – The origins: Wolverine (Gavin Hood; 2009) e Wolverine l’immortale (James Mangold; 2013) – universalmente considerati una pagliacciata, Hugh Jackman è tornato per l’ultima volta a vestire i panni del supereroe artigliato. L’altissima aspettativa non è stata delusa, e Logan si è rivelato un film cupo, intenso, sofferto e crudo. Un cinecomic fuori dal coro. James Mangold illumina un nuovo Wolverine e tiene incollati allo schermo, grazie anche ad una fotografia che rende sia l’atmosfera travagliata che la ferinità delle scene d’azione. Unica pecca, forse, i visual effects. Hugh Jackman e Patrick Stuart ottimi: tre sono gli attori che reggono tutto il film, e la bambina quasi non apre bocca. Insomma, una pellicola su Wolverine degna del personaggio e degna di essere Cinema. Qui la nostra recensione completa.

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