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Intervista a Silvio Negroni: i Fiö dla nebia e il dialetto pavese in canzone

In questi primi giorni del nuovo anno a Pavia si respira aria di musica! Infatti a breve è prevista l’uscita del nuovo album dei Fiö dla nebia, dal titolo Tas, presentato il 23 novembre dello scorso anno a Spaziomusica, il celebre locale di musica dal vivo di Via Faruffini.

I fiö sono una vera e propria istituzione a Pavia, perché sono i più alti esponenti della canzone d’autore dialettale del territorio: cantano di Pavia, dei Pavesi (di ieri e di oggi), dei loro vizi e delle loro virtù, e lo fanno con la loro lingua naturale, il dialetto. Il primo album dei fiö dla nebia risale al 1993, e si intitola My smorbi blues, titolo che già denota un’originale commistione linguistica tra inglese e dialetto pavese, che sfrutta la fonetica di smorbi, parola che effettivamente potrebbe suonare come inglese. Una band formata da cinque elementi, dalle influenze musicali rock e blues, iniziava così a cantare di quartieri «ad un passo su dal corso», di locali come il «Corsino Park», di abitudini tutte pavesi come il «fare le vasche in Curs Cavur». Leggendo le tradizioni e le usanze di svariate generazioni Silvio Negroni, autore di quasi tutti i testi e le musiche, nonché front-man, cantante e capogruppo della band, è riuscito a condensare nelle sue canzoni un ritratto vivissimo della nostra città e della sua gente. La formazione nel 2000 si è ampliata, ed ha iniziato ad alzare il tono dei suoi brani, diventati sempre di più canzoni d’autore: hanno trovato spazio così partiture su testi di poeti pavesi del calibro di Angelo Secchi o Angelo Gambini, ma anche testi più impegnati, come il bellissimo ritratto del Ticino in Per mare un fiume, o il racconto della vicenda pseudo storica di Pasino degli Eustachi in Eustachi Pasino, canzone con forte impronta antimilitaristica. Negli ultimi anni i brani della formazione hanno toccato più a fondo la storia della città narrando di personaggi pavesi leggendari, come Angiòla dla stasion, o di celebrità del calibro di Alessandro Volta e Lazzaro Spallanzani, che a Pavia hanno lavorato e vissuto, ma anche di artisti pavesi, come il troppo poco noto pittore scapigliato Tranquillo Cremona. L’ultimo disco di inediti, Musicisti teatranti, risale al 2012, a cui è seguito un anno di silenzio: la band è ripartita con una formazione completamente rinnovata in tutti i suoi membri, sempre intorno al suo leader storico, Silvio Negroni. Così la nuova formazione ha dato alla luce Tas, disco in cui la tendenza a raccontare vizi e virtù dei pavesi si coniuga con l’interesse per la storia: brani come quello eponimo, che racconta del classico soggetto che vuole sempre essere protagonista di ogni conversazione zittendo i propri interlocutori, convivono nell’album con brani su Cristoforo Colombo e sull’Elefante di Napoleone Bonaparte.

Abbiamo incontrato Silvio Negroni, e ci siamo fatti raccontare un po’ la storia del gruppo e del suo interesse per il dialetto pavese.

Negroni

Silvio, come vi è venuta l’idea di scrivere e cantare in dialetto pavese? Da subito avevi l’idea di cantare vizi e virtù dei pavesi, oppure è qualcosa che si è sviluppato nel corso degli anni?

L’idea è venuta grazie ad un invito del regista Carlo Cotti rivolto a Marco Gobbi, mio carissimo amico, purtroppo recentemente scomparso, e all’epoca direttore delle Rotonde di Garlasco. Marco era stato interpellato per la parte musicale di uno spettacolo su Pavia, che si sarebbe dovuto tenere al teatro Fraschini; una sera venne da me di corsa, appena dopo cena, e mi propose il ritornello ed alcune strofe, che sarebbero poi diventate L’ültim dì ad fera [la prima canzone ufficiale del gruppo]. In realtà non conoscevamo canzoni veramente pavesi, per questo, non a torto, decidemmo di scriverle noi. Dopo la canzone già citata, scrivemmo anche Navili Paves, e le due canzoni insieme diventarono un 45 giri, pubblicato dall’Ariston. I primissimi testi erano in linea con le poesie dialettali, che cercammo di raccogliere per farci una cultura dialettale; poi, soprattutto con My smorbi blues, e con la neonata formazione dei Fiö dla nebia, ho cominciato a sviluppare altri temi.

In linguistica si contrappone di solito la lingua d’uso con la lingua delle grammatiche: il dialetto pavese che utilizzi nelle canzoni è una lingua d’uso, oppure è una lingua che hai verificato su dizionari o su letteratura in dialetto?

ll dialetto per me e per quelli della mia generazione è una lingua d’uso, che scatta automaticamente quando ci si trova con gli amici; forse siamo l’ultima generazione in cui prende piede questo meccanismo. Dovendo scriverci i testi, ho imparato gradatamente ad utilizzare correttamente gli accenti, facendo riferimento a poeti affermati e soprattutto alla Grammatica Pavese, scritta dal maestro del dialetto Virginio Inzaghi, e vi assicuro che non è stato facile .

Pensi che il dialetto possa esprimere concetti che in italiano non si riuscirebbero ad esprimere? Penso a Grimula o Fäncis, dai titoli di due delle tue canzoni: spesso devi presentare i loro significati, perché oscuri al pubblico, e soprattutto intraducibili.

Penso proprio di sì, alcune parole o espressioni sono intraducibili, oppure hanno un potere evocativo diverso. Per esempio il classico ma va a da via al cü non si può tradurre letteralmente, perché da come lo si dice può assumere significati diversi, da quello più scurrile, fino a diventare addirittura un amichevole e caloroso saluto!

Il nostro dialetto è particolarmente ricco di forme tronche: ti sembra più semplice scrivere quindi versi per musica in dialetto rispetto all’italiano, essendo anche tu autore di testi in italiano?

Molto più semplice, soprattutto se si può passare dal dialetto all’italiano, esattamente come faccio io, e come del resto succede spesso anche nel parlato quotidiano .

Oggi i Fiö dla nebia possono avere un ruolo importante nel salvaguardare e nel trasmettere la cultura dialettale pavese nel nostro territorio?

Spero di sì! Sono convinto che la canzone abbia una platea più vasta, soprattutto fra i giovani, rispetto alla poesia o alla prosa. Certo non credo che il dialetto potrà godere della stessa diffusione delle generazioni passate, ma penso che la colpa sia nostra: noi, figli del ‘68, per un’errata valutazione culturale non abbiamo più utilizzato il dialetto in famiglia, come facevano i nostri genitori, per cui l’uso è andato affievolendosi. Penso però che rimarranno alcune espressioni, che emergeranno ancora con la loro forza nei momenti di rabbia o di euforia, una su tutte ma va a da via al cü.

Oggi i Fiö dla nebia rappresentano un’istituzione culturale a Pavia, che andrebbe conservata e protetta anche grazie ad una diffusione scolastica delle canzoni, per poter salvaguardare un patrimonio culturale immenso quale è il dialetto. Ci auspichiamo che, grazie al coraggio di Silvio e della sua band, la sua canzone d’autore possa essere sempre più diffusa, per poter gustare al meglio le bellezze di un idioma come il dialetto pavese, perché conserva tracce di una storia e di una cultura, che altrimenti andrebbero perse nell’oblio.

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