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Dunkirk: spazio, tempo, suono

1. Lo spazio

Dunkirk, già dal titolo, si definisce geograficamente collocando la vicenda nella cittadina portuale francese che ha ospitato la ritirata degli alleati nella tarda primavera del 1940. Sono proprio le strade della città a comparire per prime, dove un gruppo di soldati vaga alla ricerca di acqua. Noi spettatori siamo come loro: vaghiamo alla ricerca di informazioni, che la camera a mano si rifiuta di darci, e da subito sentiamo un sentimento di oppressione. Giungono gli spari, ma il nemico non si vede, e parte così un folle volo che culmina finalmente alla spiaggia, al mare, all’Inghilterra al di là della Manica. Il sollievo dovuto a quell’apertura dura pochissimo perché subito capiamo che la spiaggia altro non è che un ristretto lembo di terra tra il nemico e l’acqua, e che l’Inghilterra, che sembra quasi potersi vedere, in realtà è irraggiungibile. Un’indicazione compare sullo schermo e recita “1. Il molo”, il primo vero spazio protagonista del film. Il secondo sarà “2. Il mare”, la grande barriera naturale su cui la Patria viaggia per andare a salvare i suoi uomini. L’ultimo è “3. Il cielo”, dal quale tre piloti dell’aviazione vegliano sui compagni d’arme. Nolan, nella tripartizione degli eventi, mostrati in parallelo, decide di utilizzare la distinzione spaziale in maniera tanto brusca e tagliente da rendere i personaggi ininfluenti ai fini della struttura: i personaggi non creano spazio e cambiano livello narrativo in base al luogo che occupano.

 2. Il tempo

Così come lo spazio, anche il tempo di Dunkirk è triplice: sul molo trascorre una settimana, in mare un giorno, in cielo una sola ora. È un sistema macchinoso e, ancora una volta, incurante dei personaggi. Talvolta le loro sorti ci vengono in parte addirittura anticipate tramite un certo feticcio per i dettagli. E come lo spazio, il tempo è claustrofobico già dalla corsa iniziale verso la nave che sta per salpare. Dal molo il nemico non si vede, ma è vicino: incalza, spara, bombarda. In aria il carburante scarseggia. Il volto del nemico ci è negato a tal punto da farci pensare che forse è proprio il tempo il vero nemico.

 3. Il suono

In un film che rasenta il mutismo, è la colonna sonora, ancora una volta affidata a Zimmer, a fare da padrona: veste la pellicola, ci spiega il presente nei momenti (e sono tanti) in cui il buio non ci permette di vedere e ci anticipa l’imminente, là dove la macchina da presa non arriva. Insieme alla colonna sonora, capeggiano i suoni del metallo, quello delle navi che affondano, degli aerei che precipitano e vanno a fuoco, quello dei proiettili e dei siluri in arrivo. Le parole, come anticipato, sono poche, morali ma non eccessivamente moraliste, e si abbandonano alla retorica di guerra soltanto sul finale, accompagnato dal grande discorso pronunciato da Churchill davanti al parlamento, in seguito alla ritirata. “Combatteremo sulle spiagge, sulle piste di atterraggio. Non ci arrenderemo mai.”

 In sostanza, Nolan costruisce come sempre un film per uno spettatore attivo. Affronta la guerra senza mostrarla, racconta una sconfitta cui ha seguito una vittoria, contro un nemico che è fatto del ferro che usa per colpire uomini di carne ed ossa. La sofferenza e la tensione non sono fini a se stesse ma simulano, per quanto possibile, l’instabilità della storia che mostrano. È sfiancante, totalizzante, reale, grazie anche al ridotto utilizzo della CGI.

Mi abbandono ancora una volta ad un sentimentalismo forse banale, che magari non è nemmeno degno di questo film, ma tant’è, lo dico: l’esperienza cinematografica passa anche da queste pellicole che in sala vanno viste e vissute. Mi piace pensare di essere uscita stanca e tramortita per aver partecipato a qualcosa di grande.

Io ho parlato anche troppo, ora andate al cinema.

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