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Un’attrice tra cambiamento, libertà e femminismo

Un’autobiografia può diventare diario, una confessione onesta e trasparente, di cui le immagini rimangono impresse come se fosse un film. Lo dimostra Cambiare, dell’attrice norvegese Liv Ullmann, pubblicato nel 1976. Protagonista di opere cinematografiche del regista Ingmar Bergman, come Persona (1966), Scene da un matrimonio (1974) e L’immagine allo specchio (1976), l’attrice ha conquistato il Cinema americano e il panorama internazionale negli anni sessanta, mantenendo le sue radici nel Teatro norvegese. Bergman fu anche per un periodo suo compagno, e padre di Linn, figlia tanto amata cui è dedicato il libro.

Il racconto della propria vita non può essere totalmente lucido, e Liv Ullmann non sembra pretenderlo. La scelta stessa del titolo è significativa in questo senso: cambiare da bambina a donna, da figlia a madre, da moglie a donna single, cambiare come attrice. Il cambiamento è anche tratto caratteristico del testo, per come viene presentato: senza un vero ordine, spesso disorganico, libero. Leggere queste pagine è come scoprire un mondo costruito da tante sfere che si sovrappongono e si incrociano: il suo lavoro, così splendidamente messo a nudo, tra tecnica e talento; i suoi luoghi, la natura della Norvegia e le luci dell’America; la società, con i suoi giudizi, le sue regole e le sue contraddizioni; e infine l’intimità, i sentimenti, la gioia e il dolore.

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Il mestiere dell’attore viene presentato con grande profondità e serietà. La necessità di studiare le sfumature del personaggio per ore e ore senza guardare mai l’orologio, di donarsi completamente all’opera e al pubblico, emerge nel racconto del debutto, a diciotto anni, nella parte di Anna Frank, a Stavanger, in Norvegia. Di questa interpretazione la Ullmann ricorda ciò che dissero i critici, che lei era Anna. Per lei recitare significava realtà, non finzione: “Bisognava che Anna recitasse Anna”, scrive.

Quando interpretò Nora in Casa di bambola, di Henrik Ibsen, al Lincoln Center di New York nel 1975, dovette trasporre in una lingua straniera il testo imparato e studiato in Norvegese. Confessa le difficoltà di questa prova, le perplessità sulla traduzione, i tempi di lavoro, la sveglia alle cinque per leggere e rileggere il copione. Scopriamo così quanto un attore abbia bisogno di tempo ed energie, quanto sia legato al testo e da esso debba liberarsi per farne realtà, per condividere e consegnare le immagini al pubblico. Riusciamo a capire quanto studio stia dietro ad ogni rappresentazione teatrale o cinematografica, quanto questo mestiere sia una sfida al linguaggio e alla comunicazione. Proprio in queste pagine Liv Ullmann esprime ciò che significa per lei essere un’attrice: “Esprimere qualcosa che abbia a che fare con l’umanità, qualcosa con cui ciascuno possa identificarsi […],  far sì che coloro che si sono sempre sentiti al di fuori possano capire che lo proviamo tutti”.

L’ultima parte del capitolo Maschere è dedicata alla raccolta di note scritte durante le riprese di L’immagine allo specchio, in cui interpreta Jenny, donna tormentata dal cambiamento. La parte è stata scritta per lei, ma al lettore spiega che non era necessario sapere questo perché i personaggi creati da Bergman diventassero parte di lei. Il rapporto di totale fiducia tra regista e attore viene raccontato nei momenti positivi e negativi. Uno spaccato coinvolgente dei retroscena di un mondo misterioso come quello del cinema. Tra tecnica e intuito, Liv Ullmann sostiene la necessità dell’equilibrio. Racconta di quando Bergman le chiese di concentrare tutta la sua sensibilità nelle labbra, per un primo piano di una scena di Persona. Sicuramente si trattava di tecnica, accompagnata però dalla capacità di lasciar fiorire il personaggio da solo, conoscendolo. Tra gli aneddoti raccontati spicca il suo incontro con Sean Connery: scriveva poesie sulla carta intestata degli alberghi di tutto il Mondo.

Ciò che colpisce di questa autobiografia è il bisogno di farsi conoscere come donna, come madre e come figlia. Il suo è un femminismo saggio e concreto, di chi ha dovuto realmente combattere contro pregiudizi e dogmi insensati. Scrive che tutte le divisioni in gruppi servono solo ad aumentare le nostre difficoltà e insistere sulle differenze serve a classificare ciò che è già classificato, a scapito di tutti.

Una donna che lavora, che cresce una figlia da sola e spesso la lascia alla governante, che deve giustificarsi se sta leggendo o scrivendo perché non sembra un lavoro vero. La donna di cui tutti sanno che “non ha nessuno”, non poteva pretendere un compenso equivalente a quello corrisposto al suo collega maschio perché lui doveva mantenere la famiglia. A queste dinamiche la Ullmann reagisce con compostezza senza mai piangersi addosso: si limita a evitare ambienti che rispecchiano questo modo di pensare. Sostiene che riconoscere ciò che rende diversi e ciò che unisce gli uomini e le donne sia la migliore arma contro le ingiustizie. Per quanto riguarda il modo di concepire la maternità, si scontra inevitabilmente con il senso di colpa per le assenze e le mancanze, ma è lucida nel ricordarsi la sua scelta di donna: “La bimba riceve da me tanto di più proprio perché sono felice nell’esercitare una professione che amo, che mi stimola”.

Cambiare è un libro che aiuta a trovare nuovi modi per guardare i momenti della vita. Le riflessioni dell’autrice, che compaiono nel racconto isolate come aforismi, ci invitano ad essere onesti con noi stessi. Con estrema sincerità ci racconta di come ha gradualmente imparato a non aver bisogno di affidarsi completamente agli altri per ottenere la felicità, di come si è liberata dall’attesa di ricevere conferme dalle persone per sentirsi sicura di sé. Confessa di aver capito dopo molto tempo che la vita non si realizza attraverso i sogni, i pensieri e i desideri di qualcun altro. I momenti più bui non vengono mai nascosti: lei si presenta senza paura, in ginocchio, sfiancata dalla tristezza.

Un buon compagno di comodino per i momenti difficili, una guida interessante per gli appassionati e per gli addetti al mondo dello spettacolo. Un elogio alla libertà, alla fiducia, al cambiamento.