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“Piccoli crimini coniugali” al Fraschini, regia di Michele Placido

Riparte il catalogo di prosa al Teatro Fraschini con la prima messa in scena del nuovo anno per la stagione denominata “Felicità: alla ricerca di un altrove”.

Il 23-24-25 Gennaio Michele Placido ha portato sul palco Piccoli crimini coniugali drammaturgia di Eric-Emmanuel Schmitt – drammaturgo, scrittore, sceneggiatore e registra franco-belga, uno tra gli autori teatrali europei più rappresentati: le sue commedie sono state sui palchi di più di cinquanta nazioni in ogni parte del mondo – di cui ha curato adattamento e regia.

Piccoli crimini coniugali racconta di una coppia, Lisa e Marco (Gilles nell’originale) scrittore di romanzi polizieschi, che si ritrova ad affrontare la completa perdita di memoria da parte del marito, amnesia conseguente ad un fantomatico quanto improbabile incidente domestico. La sceneggiatura è incentrata nell’indagine sulla complessità dei rapporti nella vita privata e privilegia una lettura psicologica e introspettiva delle vicende e, allo stesso tempo, dei personaggi. Si riconnette al filone del dramma borghese da salotto, dell’huis clous che ha ritrovato florida vita negli ultimi anni anche in campo cinematografico (dello stesso Piccoli crimini coniugali esiste anche una versione cinematografica italiana del 2017 per la regia di Alex Infascelli e interpretata da Sergio Castellitto e Margherita Buy) in cui da un espediente si innesca un discorso sull’amore in crisi e su coppie che si consumano. Lisa tenta di aiutare il compagno a riacquistare la memoria, poco alla volta passo dopo passo si crea una catasta instabile di “false verità” che crolla portando con sé le apparenti certezze e rivelando un vissuto di menzogne e “non detti”: i due coniugi saranno costretti a scontrarsi con l’illusoria speranza della reciproca conoscenza e a far fronte al margine di estraneità che si insinua in ogni relazione amorosa.Pcc1

Lisa è una moglie fedele, ancora fortemente innamorata del compagno, ma con delle laceranti paure malcelate, paure che nascono dalla realtà delle cose o persino dall’irreale: «Immagino ma fa male uguale», che la costringono a rifugiarsi nell’alcol per anestetizzare le sofferenze, per non pensare.

Marco non crede nell’amore di coppia, quello che è a suo avviso il proprio miglior libro dal titolo appunto Piccoli crimini coniugali parla della coppia come di una associazione a delinquere con l’unica capacità di provocare dolore e col destino già scritto: diventare assassini di qualcuno o di qualcosa, l’unica domanda possibile è “chi sarà il primo dei due ad uccidere l’altro?”.

“Chi è l’assassino?” è il dubbio che nasce per gioco e poi cresce insinuandosi in ogni spiraglio di ombra lasciato dai tentativi di far luce nella natura della coppia.  La perdita della memoria diventa una scusa per ri-conoscersi (conoscerci di nuovo, conoscersi da capo), per ricostruire sé stessi, per analizzare quanto di sbagliato è stato fatto e quanto di buono, se esiste.  Ma è un continuo ricadere, un processo doloroso e quasi delirante che assomiglia sempre di più ad una spirale capace di trascinare verso l’oscurità più profonda, l’unica salvezza per non esserne travolti e portati a fondo è riuscite a trovare i pochi appigli sicuri, sperando che non si logorino sotto le proprie mani. Eppure tra loro, tra Marco e Lisa, c’è un legame impossibile da disgregare, qualcosa che è forse il vero amore, oltre alla genetica tendenza alla consunzione che costringe al naturale deperimento delle coppia.Pcc2

Davanti ad una importante scenografia – un salotto di casa, una imponente libreria ricolma di libri alcuni scritti dallo stesso protagonista, una scala che dovrebbe essere il luogo dell’incidente – si muovono Michele Placido e Anna Bonaiuto – “coniugi” per la terza volta, dopo Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara  del 1993 e la miniserie televisiva Il sequestro Soffiantini di Riccardo Milani del 2002 – interpretano ottimamente i due personaggi del testo, prima apparentemente spaesati e innocui poi sempre più brillati, lucidi e a tratti crudeli, denotando la conclamata bravura e presenza scenica.

La regia di Placido gioca sull’alternanza, staticità e dinamismo, variazioni di volumi e intensità della voce e agisce in coesione alla movimentata sceneggiatura che oscilla tra il divertente e il desolante con tratti di bizzarro in un percorso fatto da dinamici scontri verbali, susseguirsi di battute, rivelazioni e sorprendenti scoperte. Regia e drammaturgia si amalgamano in un corpo liquido che si muove in un ritmo ondulatorio, come onde che riportano a galla ogni volta qualcosa di nuovo e di diverso, onde che possono spingere fino a riva oppure annegare: anche lo spettatore è costretto a rimanerne in balia, nella costante incertezza.

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