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“Cleofonte deve morire”: Luciano Canfora al Salone del Libro di Torino

Cleofonte deve morire è il titolo del nuovo libro di Luciano Canfora, pubblicato quest’anno da Editori Laterza e da lui presentato lo scorso fine settimana durante il Salone Internazionale del Libro di Torino.

Filologo classico, storico e saggista, Luciano Canfora è dal 1975 professore di filologia greca e latina presso l’Università di Bari, dirige inoltre la rivista “Quaderni di storia” e la collana La città antica. Più volte, nel corso dei suoi studi multidisciplinari, Canfora si è occupato di riflettere sulla questione del potere e della democrazia, mettendone in luce le ambiguità e i pericoli.

Nel corso della sua lectio magistralis racconta della figura di Aristofane, il più noto e problematico commediografo ateniese del V a.C., e del ruolo della sua opera nel crollo della democrazia e nella nascita di un regime oligarchico dopo la resa di Atene a Sparta.

Instaura in particolare un parallelismo, basato su un comune soggetto collettivo ideale, tra il teatro e l’assemblea popolare ateniese. Infatti, citando Tocqueville, evidenzia come il teatro fosse il luogo dove i diversi strati sociali della società ateniese stavano gomito a gomito, come tutta la città andasse a teatro, situazione che idealmente avrebbe dovuto ripetersi allo stesso modo in un contesto come quello di un’assemblea popolare.

Ma questo nella realtà dei fatti non avveniva. Infatti mentre folle di cittadini si recavano alle rappresentazioni teatrali, le assemblee ospitavano perlopiù pochi nullatenenti che non avevano fondamentalmente di meglio da fare e che godevano, per la loro partecipazione, di una retribuzione. I contadini e i piccoli proprietari invece, che vivevano nelle campagne dell’Attica, non potevano permettersi di abbandonare i campi e le loro attività per recarsi in città.

Constatando il diffuso assenteismo di cui soffriva l’assemblea popolare, la base sociale della democrazia ateniese, che Canfora definisce il demo, risultava quindi essere solo una piccola minoranza politicizzata della popolazione. Era il teatro allora il vero luogo in cui si parlava alla città. E a teatro era la commedia ad occuparsi di politica.

Mentre le tragedie avevano un carattere sostanzialmente più metaforico – in quanto il mito veniva ripensato in modo piuttosto libero senza che vi fosse una rigida ortodossia interpretativa -, la commedia guardava più direttamente all’orizzonte politico dell’attualità.

In particolare le commedie avevano solitamente una struttura che prevedeva uno spazio in cui l’autore poteva rivolgersi, attraverso la voce del coro, direttamente al suo pubblico, in quella che era una pausa dalla narrazione. Subito dopo il prologo, rapido e coerente, si apriva infatti questa parentesi, detta parabasi, che rompeva per un momento la finzione scenica: gli attori lasciavano il palco e il coro pronunciava un discorso direttamente legato all’attualità. Seguiva quindi la ripresa della narrazione e una conclusione che era, la maggior parte delle volte, lieta.

Mettendo a fuoco il contesto storico dell’epoca di Aristofane si delinea un quadro di forte tensione bellica e politica. Sullo sfondo della guerra del Peloponneso, durata dal 431 a.C. al 404 a.C., si può distinguere sostanzialmente una netta contrapposizione tra il partito democratico e quello aristocratico, il quale voleva trovare un accordo con Sparta e instaurare ad Atene un regime oligarchico. A questo scopo intratteneva stretti rapporti con gli autori teatrali (Aristofane, giovanissimo, si legò al ceto dei cavalieri), i quali potevano incrinare nel popolo la fiducia nel regime democratico dipingendo nelle loro opere i leader democratici come terribili demagoghi.

La commedia si poneva allora come la voce del dissenso rispetto alla democrazia realizzata, attaccando il sistema politico che della massa doveva essere il portavoce, ma davanti a un pubblico che non ne era la base. La base sociale della democrazia ateniese, il demo, era di fatto una minoranza che veniva rappresentata come un vecchio ottenebrato e tenuto sotto controllo. Il popolo politicizzato era la vittima della commedia, non ne era il pubblico.

Con l’acuirsi della crisi politica, gli oligarchi uscirono alla scoperto, convocarono un’assemblea militarizzata e abrogarono le garanzie dello stato democratico. Nel 411 a.C. l’assemblea si suicidò: la costituzione fu rovesciata e venne instaurato un regime oligarchico.

Dopo un breve periodo di successi militari e di restaurazione della democrazia, nel 405 Atene tornò in crisi, stremata dalla lunga guerra contro Sparta. Ma Cleofonte, l’ultimo leader democratico, si ostinava a non accettare le clausole di pace. Egli diventò allora oggetto di una spietata denuncia da parte degli aristocratici e Aristofane, nella sua commedia Le Rane, anticipò la condanna a morte che su di lui sarebbe stata presto calata perché accusato di tradimento: “Cleofonte deve morire, anche se la votazione in tribunale finirà in parità”.

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