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Pirati dei Caraibi: la vendetta di Salazar – Un rilancio della saga che finisce in un flop

Rilanciare un franchise in decadenza, già sonnolento dal fiacco terzo capitolo e che sembrava potersi dichiarare definitivamente defunto dopo il desolante Oltre i contini del mare, il tutto a ben quattordici anni dal primo titolo e a sei anni dal precedente: questa l’impresa in cui si è imbarcata la Disney.

L’incipit è avvincente, ben costruito e le prime sequenze, fino alla rocambolesca rapina della banca, intrattengono e divertono lasciando presagire una pellicola ricca di spettacolarità. Da lì in poi però ci si confronta con una sceneggiatura misera e spesso lacunosa, senza comprendere fino in fondo se ci si trovi davanti ad un sequel o ad un remake del primo film, per poi arrivare alla conclusione che si tratta di un malriuscito mix dei due. La trama è grossolanamente la stessa del capostipite della saga: un ragazzino avventuroso con un padre assente si imbatte in una giovane avvenente e attraverso avventure per mare si innamorano sotto lo sguardo protettivo e paterno (a suo modo) di Jack Sparrow. Ma i protagonisti, Brenton Thwaites e Kaya Scodelario, non sono bravi (né belli) quanto il giovane Orlando Bloom de La maledizione della prima luna, da poco reduce della trilogia de Il Signore degli Anelli, o la diciannovenne Keira Knightley, capace a distanza di soli due anni di vincere un Oscar per una sorprendente interpretazione in Orgoglio e Pregiudizio (2005). Lo spessore del personaggio di Henry Turner è poi molto meno maturo di quello del padre Will; perfino la stereotipata figlia ribelle Elisabeth Swan la spunta sull’ormai ritrito cliché della giovane e scettica donna di scienza accusata di stregoneria che ben descrive Carina Smith, orfana prodigiosa che segue e ricompone con minuzia i pochi indizi lasciatile dal padre.2
Ma la vera nota dolente di questo film è Sparrow. Il genio macchinoso, folle e sregolato di   Jack si è ridotto ad un giullare che si limita a caracollare ubriaco in un brodo di tiepide battute che strappano poco più di un sorriso. Il ruolo principe di Johnny Depp si assottiglia fino ad adattarsi alle piatte fisionomie del buffo personaggio secondario di una serie animata. Nel disperato tentativo di riportare alla ribalta un carattere che non è ormai che l’ombra di se stesso, lo sceneggiatore Jeff Nathanson cerca di creare un breve inserto Jack Sparrow: The Origins, che sortisce solo l’effetto di dilapidare ancor di più la sua figura. Questo background storico non giova al pirata, che trovava invece il suo punto di forza nell’essere imprevedibile, misterioso e fuori dal tempo. Ad aggiungersi la poco convincente interpretazione di un Depp parecchio sottotono.
1Javier Bardem riesce invece a regalare un antagonista molto convincente, dalle caratteristiche peculiari. Il suo Salazar non è semplicemente malvagio, la sua è una nequizia che assume connotati interessanti di disgusto e orgoglio. Jeoffrey Rush una certezza, un pilastro di recitazione. Il suo Barbossa esce a testa alta da un film di bassa levatura.
La fotografia e il montaggio sono spesso nelle sequenze di azione abbastanza ingarbugliati e precipitosi, ma nel magro mucchio si possono riconoscere alcune scene che ricordano perché nel lontano 2003 tanti si sono innamorati dell’epopea dei Pirati dei Caraibi. L’apprezzatissima citazione dal capolavoro di Sergio Leone Per qualche dollaro in più, ovvero il già nominato assalto alla banca, che nella sua esasperata inverosimiglianza stupisce ed esalta il pubblico in sala; la fuga dal patibolo con una brillante soluzione fotografica simile alla snorricam e anche il duello danzante sulla punta dei cannoni dei vascelli in battaglia tra il capitano Jack Sparrow e Armando Salazar. Ma si tratta di piccole perle disperse in un generale tedio.
L’assenza del monumentale Hans Zimmer alle musiche si avverte non poco: i temi che ricorrono richiamano alla memoria le indimenticabili atmosfere della saga, ma Geoff Zanelli non riesce a firmare una colonna sonora intensa e vigorosa.
La regia curata dalla coppia norvegese Ronning – Sandberg, che si era fatta luce con il sorprendente Kon-Tiki nel 2012, qui è sommessa. Non si concede evidenti errori, ma d’altro canto non osa e non si distingue nemmeno con un tratto caratteristico. In loro difesa si deve riconoscere che il materiale dello script era piuttosto inadeguato, evidente soprattutto nello scontro finale, il momento di maggiore tensione, che risulta invece imbarazzante.
Dalla sala si esce a bocca asciutta, insoddisfatti e delusi soprattutto perché si sperava di vedere il ritorno di Pirati dei Caraibi alle vecchie glorie, dopo lo sconforto del quarto capitolo. Purtroppo La vendetta di Salazar non stupisce e ristagna invece nel mediocre, subendo lo stesso triste destino della saga di Terminator.

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