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“Addio mamma mafia” la vita restituita ai figli dell’ndrangheta.

In Calabria un’alternativa all’ndrangheta esiste: è il programma “Liberi di scegliere” messo in atto da Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che dal 2012 ad oggi ha allontanato da un futuro già segnato più di 80 ragazzi dando loro una possibilità di riscatto.

Una mamma canta una ninna nanna al proprio bambino, la “ninna nanna malandrineddu”, una cantilena che racconta al piccolo la morte ingiusta del padre e la sua futura missione di vendicarlo. 

Può sorprendere un’immagine così forte. La mafia è infatti identificata maggiormente attraverso racket, estorsioni, traffico di stupefacenti e corruzione, non considerando mai quale fondamentale ruolo svolga la cultura mafiosa, che si insidia nel modo di pensare, essere e agire di chi vive in quegli ambienti sin dai primi anni di vita. La mentalità criminale viene trasmessa ai figli dell’ndrangheta con questo tipo di ninne nanne. L’educazione mafiosa viene tramandata di padre in figlio attraverso rituali ancestrali che legano il bambino all’organizzazione per tutta la vita, rituali anche violenti e traumatici che segneranno per sempre la psiche del bambino. L’insieme dei diversi elementi culturali non fa altro che maltrattare lo stato psicofisico dei minori data l’impossibilità di crearsi una coscienza individuale libera, convincendoli che l’unica via sia quella della violenza.

Foto di Letizia Battaglia, celebre fotoreporter di mafia.

Questo fenomeno si presenta soprattutto nell’ndrangheta, poiché il legame di sangue rimane il principale metodo di affiliazione. La struttura di questa organizzazione si basa infatti su piccoli nuclei criminali chiamate ‘ndrine, vere e proprie famiglie di sangue alle quali l’affiliato deve lealtà e obbedienza assolute, pena la morte o la condanna a essere considerato un “infame”. I figli cresciuti in questi contesti respirano nel loro quotidiano la violenza, sentono come un dovere morale continuare questo modello di vita criminale, senza conoscere possibili alternative.

Per far fronte a questo grave problema, il tribunale minorile di Reggio Calabria dal 2012 ha attuato un programma e un protocollo di allontanamento dei minori dal nucleo familiare mafioso. Il programma si chiama “Liberi di scegliere” e si rivolge ai figli dell’ndrangheta per aiutarli a uscire da questa visione distorta della realtà. È un protocollo che agisce sulle condizioni originali di svantaggio dei figli delle famiglie mafiose, dando loro la possibilità di sperimentare nuovi orizzonti culturali, sociali e psicologici. I ragazzi vengono dotati degli strumenti necessari per poter essere liberi di scegliere il proprio futuro e poter così sfuggire da un destino già segnato. La procedura giudiziaria può togliere la patria potestà ai genitori riconosciuti come affiliati ad un clan mafioso e nei casi più gravi il minore viene trasferito in altre regioni e adottato da una nuova famiglia, in modo che venga spezzato ogni legame con il contesto di origine e che non ci sia alcuna possibilità di ripensamento dopo la maggiore età. 

Fino a oggi solo un figlio di mafiosi, sugli ottanta seguiti, è tornato a fare parte dell’organizzazione. Questo ragazzo è ora in carcere e si dichiara pentito della scelta di rientrare nella struttura criminale. Nonostante sia maggiorenne, una volta uscito dal carcere verrà comunque aiutato dagli educatori di “Liberi di scegliere”.  Il programma ha avuto un grande riscontro positivo, è riuscito realmente a far prendere coscienza a questi ragazzi della loro situazione e far nascere in loro un desiderio di cambiamento nel nome della legalità.  «Abbiamo adottato ormai poco più di 60 provvedimenti per 70/80 minori, ragazzi e ragazze. La vera novità è che le mamme un tempo diffidenti adesso si rendono conto che la nostra logica non è punitiva ma di tutela e quindi non si oppongono» spiega Roberto Di Bella in un’intervista apparsa su “L’avvenire di Calabria” nel novembre del 2019. Emerge dai dati che il 90–95% delle madri non si sta più opponendo, fatto impensabile soltanto un paio di anni fa.

Questo percorso è reso possibile da una équipe specializzata di educatori che si impegnano per raggiungere gli obbiettivi prefissati. Purtroppo, questo programma non è facilmente attuabile, date le poche strutture presenti nel territorio, la scarsità di consultori familiari e di assistenti sociali operanti nella regione. È chiaro che il problema della relazione tra minori e criminalità organizzata non potrà essere risolto solo dai tribunali; sarebbero necessarie più risorse da destinare alle politiche sociali di prevenzione, attualmente inadeguate. Negli ultimi anni, in supporto dei finanziamenti istituzionali (Direzione nazionale antimafia, Procura di Reggio Calabria, Dipartimento per le Pari opportunità) si sono firmati ulteriori accordi di collaborazione con l’associazione “Libera” di don Luigi Ciotti. Da febbraio 2018, grazie ai fondi dell’8xmille alla Chiesa Cattolica, la Cei finanzia per il 50% questo importante progetto, permettendo di rafforzare e ampliare quello che possiamo definire un vero e proprio “pool educativo antimafia”. 

Fonti: articoli di giornale delle testate “L’Espresso”, “Sicilian post”, ”L’inchiesta”, ”Vita”,”Lavoro sociale”, “L’avvenire di Calabria”.

Foto di copertina di Letizia Battaglia.

Articolo di Giorgia Alpegiani

Annamaria Nuzzolese

Nata ad Altamura. Studentessa di Giurisprudenza all'Università di Pavia. Caporedattrice dal 2019, redattrice dal 2017, ambito d'interesse: geopolitica e attualità.

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