Arte

Jannis Kounellis: l’estetica del concetto

«Negli anni ’60 fui definito un “artista” poiché nessuno era in grado di definire un mucchio di carbone. Ma sono un pittore […] è ridicolo l’approccio comune che vede associare il concetto di “pittore” all’arte tradizionale, e quello di “artista” a chi si contraddistingue per un ruolo anarchico, moderno e di sperimentazione».
Jannis Kounellis

Esponente di spicco dell’Arte povera italiana, Jannis Kounellis si considerava un pittore, seppur nella sua opera facesse uso di svariati materiali ed elementi naturali, tra i quali carbone, caffè, terra, fuoco, ferro, lana, piante e persino animali vivi. Il movimento dell’Arte povera, nato in Italia nella seconda metà degli anni Sessanta, raccoglieva artisti che, in aperta polemica con l’arte tradizionale,­ ne rifiutavano le tecniche e i supporti, utilizzando al loro posto materiali, appunto, poveri.

In questa polemica è possibile inserire anche l’affermazione con cui Kounellis intendeva accostare il proprio approccio artistico, pur moderno nei materiali e nelle forme, alla pittura. Il termine pittura – che nel suo significato più comune indica l’atto di “dipingere rappresentando il mondo esterno o esprimendo un’intuizione fantastica per mezzo di linee, colori e masse” (Treccani) – risentiva ancora in quegli anni del retaggio tradizionale che lo vincolava a individuare supporti e procedimenti precisi, il cavalletto e il pennello in primis. Quello che Kounellis auspicava, identificando la sua intera produzione – che raccoglie principalmente installazioni, sculture, ma anche performance e dipinti – con la pittura, era un superamento dell’idea accademica della dimensione pittorica. La pittura, quindi, non più sistema di procedimenti tecnici e materiali definiti, diventava un concetto più complesso.

Per capire che cosa Jannis Kounellis intendesse con il termine pittura, e in cosa consistesse esattamente la sua attività di pittore, è utile riflettere sull’importanza che l’artista attribuiva all’impatto estetico delle sue opere, le quali si distinguono per uno studio compositivo attentissimo.

Fondazione Prada, Venezia

Può stupire che uno dei principali esponenti di quello che Germano Celant ha definito il movimento dell’Arte povera riservi una tale cura all’estetica delle sue installazioni. L’Arte povera rientra tra i movimenti del dopoguerra classificabili nell’ampia categoria dell’arte concettuale, movimenti che – per definizione – subordinano il risultato estetico dell’opera finita all’idea per cui essa è nata, o al processo mediante il quale ha preso vita. Tuttavia, nel caso di Jannis Kounellis, anche solo un’occhiata superficiale alle sue opere non sembra portarci a una conclusione così immediata. È evidente nella sua opera un’attenzione sistematica all’estetica, alla disposizione visiva dei singoli elementi nel disegno generale. Nella sua arte oggettuale e materica è infatti impossibile non notare un attento studio della composizione in una chiara logica pittorica, al centro della quale il modulo e la sua ripetizione libera, ma mai casuale, assumono una fondamentale importanza.

Nelle opere di Kounellis si trovano scarti di materiali industriali ricomposti in quella che potremmo definire una sorta di estetica del riciclaggio, ma anche, come abbiamo già accennato, materie prime, caffè, carbone e altre sostanze povere. L’umiltà nella scelta della materia, tipica di tutti gli artisti del filone poverista, ci sorprende in questo caso per l’apparente contraddizione con cui si innesta nella calcolata e raffinata composizione generale, in cui i singoli elementi vengono nobilitati diventando, come i pattern in una fitta texture, costitutivi dell’estetica finale della forma.

Anche nelle sue manifestazioni più performative degli anni Sessanta, l’arte di Kounellis non è esente da una cura formale che si esplica in moduli estetici coerenti. Se pensiamo all’iconica installazione del cavallo che trascina dei carrelli con cappotti ammassati presso il Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro, il modulo dominante è quello dell’elemento geometrico e razionale del cerchio, simbolo evocativo che proietta la performance in una struttura visiva autoconclusiva.

Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro

Se Kounellis si definiva un pittore, allo stesso tempo la sua era una pittura che usciva dai limiti della rappresentazione. Come ha più volte programmaticamente dichiarato, l’obiettivo che perseguiva con la sua arte era quello di «uscire dal quadro» (Recalcati). In questo tentativo, egli si inseriva sulla linea dei raggiungimenti di abolizione della cornice attuata per mezzo dell’action painting da Pollock – dove il gesto e il dripping si estendevano attorno alla tela, tolta dal cavalletto e appoggiata sul pavimento – e di violazione della superficie pittorica bidimensionale operata da Fontana con i suoi Tagli, che indagano l’aspetto scultoreo e spaziale al di là del quadro.

L’uscita dal quadro è invece per Kounellis l’uscita dalla pittura intesa come sistema di rappresentazione, dove il termine “pittura” viene risignificato secondo nuove logiche che includono lo spazio e la materia, nel tentativo di creare un’arte che non rappresenta ma presenta. Lo spazio pittorico di Kounellis è uno spazio dove la materia viene presentata secondo delle logiche che derivano dall’eredità compositiva del quadro stesso. Laddove la superficie e i margini della cornice e della tela determinavano la disposizione delle forme, è ora lo spazio fisico, potenzialmente illimitato, a definirla liberamente. Quello che ne deriva è una sorta di luogo esteso del quadro, uno spazio artistico ordinato dove la materia presentata non prende il sopravvento sullo schema distributivo degli elementi. Secondo questo procedimento, la materia viene subordinata alle esigenze della forma e la pittura torna in vita nella materia stessa. 

La presentazione di Kounellis è sottomessa alle leggi della visione, leggi simili a quelle che hanno per lungo tempo governato qualsiasi rappresentazione pittorica, poiché erano «ciò che all’inizio era il quadro».

«Io sono un pittore: sono un visionario, ma non dipingo.
Vorrei guadagnare la visione, cioè ciò che all’inizio era il quadro.
È la visione il mestiere del pittore».
Jannis Kounellis

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