Interviste

Lomellina: terra dei fuochi? Parte 5: Intervista a Enzo Ciconte

Abbiamo parlato di incendi, abbiamo riportato notizie, abbiamo elencato fatti: niente di meno, niente di più. Può darsi che ad alcuni queste notizie suonino fastidiose, quando non scomode, ma è proprio quando nessuno ne parla, quando sembra che le acque (o le fiamme) si stiano calmando, che è importante parlarne e fare opera di prevenzione. Noi ad «Inchiostro» non siamo giornalisti, almeno non di professione, tanto meno esperti in materia. Siamo solo studenti preoccupati che il proprio territorio non diventi per incuria civica o morale una nuova “Terra dei Fuochi”, con tutto ciò che questo comporta. Nei nostri articoli precedenti (che potete leggere qui, qui, qui e qui) abbiamo ripercorso la cronologia degli incendi, aggiungendo qua e là alcune dichiarazioni di personalità competenti. Da adesso e fino alla fine dell’inchiesta abbiamo deciso di interpellare alcuni altri esperti in materia per meglio capire la situazione. Il professor Enzo Ciconte, da anni titolare della cattedra di Storia delle Mafie italiane a Pavia, al Collegio Santa Caterina, ci ha concesso qualche minuto del suo tempo per esporci la sua personale opinione sugli incendi nella Lomellina. Chiaramente in quanto esperto di storia delle organizzazioni criminali non potevano quindi che partire da una domanda di carattere storico.

Professore, da quando le mafie hanno cominciato a interessarsi allo smaltimento dei rifiuti?

Diciamo dagli ultimi trent’anni circa, da quando la Camorra ha capito che lo smaltimento dei rifiuti poteva essere un’attività tanto importante e remunerativa quanto la droga. Avevano capito che potevano ricavare parecchi soldi senza andare all’estero.

Quindi storicamente la prima a interessarsi ai rifiuti è stata la Camorra…

Sì e questo possiamo affermarlo senza dubbi. È stata la Camorra la prima a capire l’importanza del business.

Secondo lei quali crede che siano le strategie che le istituzioni e le forze dell’ordine devono adottare per contrastare un fenomeno, come quello dello smaltimento illecito dei rifiuti, ormai così capillare?

Bisogna ripartire dalle amministrazioni comunali, le quali non hanno ancora individuato un sistema vero ed efficace per smaltire i rifiuti in sicurezza; poi ci sono le imprese, responsabili dello smaltimento dei rifiuti tossici e pericolosi. C’è una responsabilità ovviamente delle associazioni criminali che smaltiscono i rifiuti per lucro, ma certamente una buona parte di responsabilità ce l’hanno anche le imprese italiane che si affidano alle mafie per smaltire questi rifiuti a prezzi di favore, invece che farlo seguendo la legge. Le imprese pensano ai rifiuti come a un costo da limitare il più possibile invece che a un fattore che mina possibilmente la salute umana. Qui c’è un problema proprio di responsabilità personale e individuale delle imprese.

Ecco, parlando di responsabilità individuale, in che modo crede che l’individuo e per esteso la popolazione debba interessarsi e agire per contrastare lo smaltimento illecito dei rifiuti, considerando anche gli innegabili effetti nocivi sulla loro salute?

Io credo che nella popolazione oramai ci sia una consapevolezza maggiore rispetto agli anni precedenti. C’è ad esempio una maggiore predisposizione a fare la raccolta differenziata dei rifiuti e quindi ad agevolare le amministrazioni comunali nella raccolta. Non so cosa si possa fare di più se non una continua educazione e informazione sui temi della raccolta e smaltimento dei rifiuti.

Parliamo dei fatti di cronaca recente. Come avrà sentito negli ultimi anni si sono susseguiti una serie di incendi nei depositi di rifiuti nel Nord-Italia, in particolare nella provincia di Pavia e in particolare nella Lomellina. Secondo lei perché il Nord brucia?

La Lomellina è stata una zona a lungo sottovalutata anche dalle indagini perché si credeva che la mafia non ci fosse. Pertanto, si è considerata la Lomellina, ma in generale il Nord, una zona franca e questo ha sicuramente favorito la Lomellina nella scelta dei luoghi di smaltimento perché appunto zona tranquilla e non a rischio. Per intenderci, le mafie non vanno ad operare nelle zone che sono notoriamente a rischio, non vanno certo a spacciare droga fuori da una caserma dei carabinieri. Vanno invece nelle zone tranquille e insospettabili.

A questo punto secondo lei quali sono le differenze e le convergenze tra la realtà del Nord e del Sud?

Al sud sicuramente le realtà mafiose sono più diffuse, ma il nord è ormai una terra di investimenti fruttuosi da parte dei mafiosi. Un numero ancora insufficiente di persone al nord è consapevole del fatto che la mafia non sia solo un problema dei meridionali. In questo modo non si alza il livello di attenzione e comprensione di quello che sta succedendo, se non quando succede il fattaccio. Attenzione e comprensione sono fondamentali per una terza cosa: la prevenzione, che è la migliore arma di difesa in questi territori, diciamo così, vergini.

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