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Vita di st(ud)enti [6] – O cucinotto, che già fosti un porto…

di Erica Gazzoldi

È l’approdo di chi cerca un meritato the post-lezioni, di chi deve stipare provviste/avanzi raminghi (augurandosi che ci sia posto nel frigorifero, non si sa mai… E il biglietto col nome, giusto per intendersi) o di chi vuol far quattro chiacchiere coi compagni di corridoio. È il centro di culto per quella “religione del caffè” che sembra non risparmiare alcuno in Italia, dalle famigliole più borghesi agli studenti ruspanti. Il cucinotto comune in collegio è dunque un porto, benché soggetto a fortunali: non si posson chiamare altrimenti quelli che, periodicamente, lo investono lasciando briciole, macchie di vino o incrostazioni di caffè. In altri giorni al contrario risplende, per la generosità finesettimanale di un allievo o l’intervento d’un salariato sempre più simile a un deus ex machina.
Entrare in cucinotto alla mattina può fruttare sorprese, quali gusci di noce e bottiglie vuote: testimoni di festini improvvisati, che entreranno senza scampo nell’aneddotica collegiale.
Qualcuno ha interpretato il cucinotto come strumento per confezionare una pantagruelica cenetta fra amici. Le eventuali riedizioni dell’esperimento sono state scoraggiate da un monito giunto da colà dove si puote/ciò che si vuole: “Ricordiamo che i cucinotti servono per preparare bevande calde, dolci, caffè e per consumare il cibo dai vassoi ritirati in mensa. Per i pasti, c’è il refettorio”. Là dove il refettorio non esiste, la questione si ribalta: ci si ritrova semmai a godersi i manicaretti arrangiati dal fidanzatino in mezzo ai suoi compagni, che riscaldano piadine, buttano la pasta o cercan di ricomporre un pollo crudo in modo convincente. Senza contare i “gialli” sulla scomparsa di uova: «Le avevo lasciate in frigo, nella borsa della spesa… dove sono finite?!»  Se l’ottimo cucinotto potesse parlare risponderebbe che “sasso lanciato e uova sgraffignate non tornano mai indietro.” O meglio: dagli amici ti guardi Iddio…
Tutt’altra faccenda è quella di cioccolatini, biscotti o pasta di mandorle mandati da solerti parenti e lasciati agli appetiti di passaggio: dei tempi di vacche grasse è meglio profittare insieme.
Tra riviste di moda abbandonate fra le arance, posate assenti e bucce d’aglio vagabonde, un pensiero corre al “mare” che ha lasciato quegli “ossi di seppia”. È il parapiglia della vita universitaria. Con un allontanamento da casa che, per molti, è il primo di questa entità. È la “collegiale commedia” dei “fratelli per caso”, che s’incontrano, si scontrano, s’annodano e si sdipanano, nei crocicchi inevitabili del quotidiano.

@EricaGazzoldi

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