Attualità

TTIP IN TRIP

Marzo 2016. Ore tre, forse quattro, di notte. Per me può significare una sola cosa: NBA basketball.

La televisione che trasmette è americana, di conseguenza, lo è anche la pubblicità:

Natale. La mattina di Natale, quando la soffice neve fa da guanciale ai nostri fanciulleschi pensieri. La casa è nella penombra, ma i bambini si sono già svegliati e con entusiasmo iniziano ad aprire i regali. 

Scartano carta colorata e nastrini, in sottofondo una musica bucolica sospende l’immagine nell’eterno: il più fortunato è lui. Lo sguardo si anima, si ravviva, l’espressione incredula: è arrivato il regalo che aspettava da una vita.

La gioia è incontrollabile, così come le lacrime, la felicità, le urla, il sorriso: questa volta i suoi genitori (cioè, volevo dire San Nicola) gli hanno preso esattamente quello che voleva.

Cosa avrà mai portato Babbo Natale a quel bambino mai così tanto felice in vita? 

Un hamburger.

Qualche mese dopo, leggendo un articolo di Stefano Feltri (“TTIP, la fuga di notizie rivela gli obbiettivi degli USA“; Il Fatto Quotidiano, 3 Maggio 2016), compresi che “quella roba lì”, che avrebbe potuto arrivare in Europa, aveva un nome: «ingerenza su cultura e servizi audiovisivi».

Uno dei tanti progetti del naufragato TTIP.

La bocciatura del Transatlantic Trade and Investment Partnership, da questo punto di vista, come da quello della sicurezza alimentare, fa tirare un sospiro di sollievo ai cittadini europei.

Sul tema della sicurezza la Commissione aveva già posto un “alt” alla redazione (di parte) del trattato: «Nessun accordo commerciale dell’Ue abbasserà mai il nostro livello di protezione dei consumatori o la sicurezza ambientale e la tutela dell’ambiente, non cambieranno le regole nostre su OGM e sulla carne sicura» aveva dichiarato la commissaria europea responsabile, Cecilia Malmström.

L’obbiettivo del TTIP, tuttavia, era quello di aumentare lo scambio commerciale tra USA e UE abbattendo non le barriere tariffarie, già minime, ma quelle regolamentari.

Nonostante le pochissime informazioni a noi giunteci – il TTIP è rimasto argomento decisamente t(r)op secret sin dagli albori della discussione, nel 2013 – i punti fondamentali (e più contestati) del trattato riguardavano:

1. L’assenza di riferimenti espliciti riguardo la riduzione delle emissioni inquinanti fissate alla conferenza di Parigi del 2015;

2. L’assenza di riferimenti espliciti al “principio di precauzione” (se, dati scientifici alla mano, non v’è certezza circa la sicurezza di un determinato prodotto, lo si ritira dal mercato – negli Stati Uniti avviene l’opposto: non si deve dimostrare la non nocività prima dell’emissione sul mercato; al contrario, per ritirare un prodotto bisogna dimostrare che questo è nocivo; e spesso non basta);

3. L’assenza di riferimenti espliciti ad altre norme commerciali, previste dal WTO, in materia di protezione ambientale.

Per il momento, dunque, in Europa non troveranno casa quegli alimenti americani che da noi (in virtù delle nostre norme in materia alimentare, nonché culturali e di buon senso) sono considerati nocivi: OGM, carni agli ormoni, alimenti contenenti massicce dosi di pesticidi, etc.

Pare (è sempre il caso di puntualizzarlo) salterà anche l’ISDS, un accordo secondo il quale una multinazionale avrebbe potuto denunciare e chiedere un risarcimento a uno stato se questi avesse promulgato delle leggi danneggianti gli interessi di tale impresa.

Al di là della questione alimentare, che ancora non mi fa comprendere perché dovremmo farci nutrire da un paese che controlla sei (6!) sostanze chimiche (a fronte delle 144 mila controllate in Europa), dove il 96% dell’agricoltura è a base di OGM, dove più del 50% della popolazione è obesa; al di là di quella ambientale (che è poi anche economica), che vede l’Italia uno dei paesi più ricchi al mondo in riferimento all’ecosistema (un esempio: in Italia sono coltivate 140 specie di grano duro differenti; negli USA, “il granaio del mondo”, 6); ciò che emerge, per l’ennesima volta, è la totale assenza di trasparenza all’interno dell’Unione Europea.

Trasparenza. Nell’ambito dei negoziati, delle decisioni che si intendono prendere e degli effetti che avranno: se è necessaria la riservatezza in ambito di relazioni internazionale, lo dovrebbe essere anche la possibilità, per le 820 milioni di persone coinvolte, di conoscere, discutere e potersi fare un’idea.

Da questo punto di vista il TTIP, ancorché naufragato, rappresenta un fallimento dell’Europa, non tanto nel merito, quanto nel metodo: o l’Europa  (al di là della competenza di coloro i quali siedono a Bruxelles, probabilmente tra le migliori) non è in grado di comunicare con la propria opinione pubblica, oppure non ha la minima intenzione di farlo.

Per capirlo, aspetteremo il prossimo trattato.

O una rinegoziazione del TTIP, possibile con l’elezione di Hilary Clinton.

E, forse, con l’aggiunta di qualche OGM.

 

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