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Trump: fu vera gloria?

Il 9 novembre 2016 ciò che non si credeva possibile, si è realizzato: Donald Tump (324° persona più ricca al mondo) è diventato presidente degli Stati Uniti d’America.

Il giorno dopo la sua elezione, il 10 novembre, 2.600.000 persone hanno marciato nelle principali città statunitensi, e non, in segno di protesta.

#Nonsuccedemasesuccede, era questo l’hashtag che il web aveva lanciato nelle ore calde, quelle immediatamente prima del voto e poi dei risultati. Ebbene, è successo. È successo che un uomo che non annovera un solo giorno di esperienza politica è diventato presidente degli U.S.A.; è successo che un settantenne con pendenti per bancarotta, insulti razziali e pregiudizi sessisti, è stato eletto come primo uomo d’America.

Perché?

Questa è stata la domanda che è rimbalzata in poche ore da una parte all’altra dell’oceano, tra gente comune, analisti, giornalisti ed altri leader politici. Una campagna elettorale, configuratasi come un vero e proprio duello, che ha visto, da un lato la candidata dei democratici Hilary Clinton difendere il proprio programma elettorale dagli scherni dell’avversario, per poi essere coinvolta in scandali economici a pochi giorni dal voto; e dall’altro il futuro presidente, che durante i dibattiti si è impegnato più nell’attacco di donne, stranieri, giornalisti, che nell’esposizione programmatica di un piano elettorale. Programma elettorale che comunque prevedeva la costruzione di un muro tra USA e Messico (Trump’s wall), l’abolizione dell’Obamacare e il ripristino della sanità privata, la diminuzione dei permessi di immigrazione e di soggiorno e la guerra all’ISIS. Questo è stato esposto dal futuro presidente in circa 6 mesi di campagna elettorale, durante i quali ha anche sostenuto che le donne siano tutte cagne, che se Ivanka non fosse sua figlia ci andrebbe a letto, che Obama è il fondatore dell’ISIS, che “se Hilary non è riuscita a soddisfare il marito, come potrebbe soddisfare l’America?”, che l’uccisione degli afroamericani da parte della polizia ha sempre una giustificazione.

Non è stata una vittoria di Tump, quella dello scorso 9 novembre, ma una sconfitta dei democratici. donald-trump-make-america-greatLA sconfitta dei democratici. L’elezione del repubblicano è stata un’elezione di pancia. Letteralmente, se ci mostriamo d’accordo con la credenza dell’antica Grecia secondo cui la pancia sia il luogo degli istinti: Trump, durante tutti i dibattiti e le apparizioni pubbliche, ha puntato su un populismo talmente ben strutturato da far sì che l’operaio texano si identificasse con l’inquilino della Trump Tower, riuscendo a fare leva sugli istinti più ancestrali dell’uomo (WASP verrebbe da dire, white-anglo-saxon-protestant). Paura e diffidenza verso il diverso, che minaccia la ricchezza dell’uomo bianco, dell’uomo occidentale; sospetto verso quelle donne che con il loro ruolo mettono in dubbio lo status sociale dell’uomo;  benzina versata sopra quel fuoco di terrore accesso dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.

Lo sconcerto, lo sgomento potremmo dire, è stato profondo, incrementato anche dal discorso di insediamento alla Casa Bianca, tra frasi fatte, accenni ad affari personali da milioni di dollari e nessun fil rouge che fosse di reale interesse per i cittadini statunitensi. Ma ad un anno da quel 9 novembre, cosa è rimasto di tutte le preoccupazioni suscitate, di tutte le promesse suggellate in campagna elettorale?
trump kim

La costruzione del muro ai confini con il Messico non è mai stata cominciata, né tanto meno il Messico sembra disposto a finanziare tale opera; l’Obamacare è rimasto in vigore per volere di quasi la totalità degli esponenti del Congresso; un nuovo capitolo della Guerra Fredda è stato aperto e procede tra un cinguettio di Twitter e l’altro (l’ultimo riguardo l’aspetto estetico del leader della Corea del Nord), non considerando i missili nucleari implicati nella questione; il Muslimban, che avrebbe dovuto vietare l’accesso a persone provenienti da 6 paesi a maggioranza islamica, è stato sospeso dopo poche settimane dalla sua applicazione; decine e decine sono ancora i morti causati dal possesso di armi da parte di privati cittadini.
Per quanto riguarda il consenso tra i cittadini statunitensi, l’operato di Trump non assume aspetti migliori, risultando essere il presidente più impopolare negli ultimi settant’anni di storia statunitense.
Per onestà intellettuale (e solo per questo, come si sarà capito), occorre riconoscere che il 156° uomo più ricco degli USA, sta facendo letteralmente volare l’economia nordamericana con una crescita del PIL che si attesta al miglior valore dal primo trimestre del 2015. In fondo, se ha un patrimonio che si aggira attorno agli 8 miliardi di dollari (secondo quanto da lui stesso dichiarato), una qualche abilità e conoscenza economica la dovrà pur avere.

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