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VENERDÌ PROFANO #25 – KU KLUX CRACK

Prevedere ciò che sarebbe stato dopo l’elezione di Trump – esattamente come per la sua elezione, se non per la sua candidatura – era impossibile. E lo è tutt’oggi. Ma se, visti i suoi discorsi immediatamente successivi l’elezione, ci si poteva attendere un ammorbidimento delle posizioni del miliardario newyorkese una volta eletto, ciò pare confutato dalla realtà. Anzi, dalle nomine del neo presidente.
In particolare, gran scalpore ha destato la nomina a US Attorney General (il responsabile del Dipartimento della Giustizia), una sorta di ministro della giustizia, di Jeff Sessions, senatore dell’Alabama, già noto alle cronache oltreoceano.
Trumpista della prima ora e difensore delle sue discutibili uscite sulla facilità di abbordare una donna (“I don’t characterize that as sexual assault“, ndr), sostenitore del muro ancor prima che questo fosse proposto dal neo-presidente e noto per la sua avversione all’immigrazione (non quella clandestina, ma quella in generale), Sessions ha una storia molto datata.

Nel 1986, infatti, fu indicato dal presidente Reagan per diventare giudice federale, ma la sua candidatura fu respinta (da un senato a maggioranza repubblicana) a causa di alcune sue posizioni abbastanza (sigh!) estremiste. I suoi colleghi, chiamati a testimoniare davanti alla Commissione giustizia del Senato, riportarono alcune sue dichiarazioni secondo le quali, ad esempio, le associazioni che si battono per i diritti umani e delle minoranze (quali la NAACP) sarebbero «anti-americane». In commissione, poi, Thomas H. Figures, un pubblico ministero federale di colore, disse come Jeff Sessions l’avesse messo in guardia riguardo il «fare attenzione a come parla ai bianchi» (“be careful what you say to white folks“, ndr). E fu, inoltre, accusato di aver portato pesanti critiche al Voting Right Act del 1965, con il quale si cercò di evitare che il voto delle minoranze afroamericane fosse boicottato.

Ma il meglio il buon Jeff lo dà in materia di lotta alla droga. Anzi, alla marijuana, che per il 69enne senatore è «pericolosa», «niente su cui scherzare», ma, sopratutto, «consumata esclusivamente da cattive persone» (“good people don’t smoke marijuana“, ndr). Secondo Ethan Nadelmann, direttore esecutivo della Drug Policy Alliance (no-profit che si occupa di lotta alla tossicodipendenza, nel tentativo di sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni riguardo il fatto che un tossicodipendente non sia un “criminale” da sbattere in galera, ma un “paziente” con una dipendenza da curare), «Jeff Sessions è un dinosauro della repressione» (“a drug war dinosaur, which is the last thing the nation needs now“, ndr) che potrebbe mettere in pericolo le legislazioni di alcuni stati statunitensi che hanno adottato politiche non repressive e di liberalizzazione, chi a scopo terapeutico chi ricreativo. Ma non solo.

Già, perché la questione sta particolarmente cara a Jeff, il quale addirittura sostenne (come emerso nel 1986) che il Ku Klux Klan era okay, «finché non scoprii che facevano uso di marijuana».

Ma stava scherzando, dichiarò poi. Che, si sa, sul bianco gli aloni grigi stanno male. Eccome se stanno male.

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