Attualità

La corsa sta finendo, iniziano i dibattiti

[Photo credits: David Goldman/AP]

Le elezioni americane sono ormai il secondo titolo di qualsiasi testata nazionale o internazionale, ognuna di queste ha pronta un’analisi per qualsiasi evento e nei loro siti on-line c’è una sezione apposta per le “2016 Elections”. Gli Stati Uniti sono una delle potenze più influenti nella politica mondiale per storia e per attualità. Quindi se a guidarli è un Elefante o un Asino, una differenza c’è, per tutti. Forse questa volte più di altre. La corsa alla Casa Bianca è stata lunga e laboriosa, sta finendo e siamo al rush finale. In genere questo è il momento più complesso: inizia il periodo dei dibattiti e in teoria i passi falsi sono vietati, tutto il lavoro fatto per convincere, tra Conventions e Caucuses, l’elettorato americano potrebbe andare perso. Solo teoricamente però, perché nella realtà ci sono più passi falsi in questa campagna che proposte costruttive. Per Trump piazzarne una giusta è l’anormalità, per Clinton un nuovo scandalo sarebbe la normalità.

Il rush finale è iniziato ufficialmente lo scorso lunedì, il 26 settembre, con il primo dibattito. I dibattiti presidenziali sono importanti, i due candidati, nominati ufficialmente dai partiti a luglio, si incontrano faccia a faccia, nella stessa stanza, per la prima volta. Per la prima volta si misurano a suon di punchline e accuse velate. In totale i dibattiti saranno tre, i due successivi il 9 e 19 ottobre e il 4 si affronteranno i candidati Vice, Mike Pence (repubblicano) e Tim Kaine (democratico). L’attesa per questo primo dibattito è stata grande, gli spettatori previsti erano circa quelli che ogni anno guardano il Super Bowl (in termini di tifo è l’equivalente della finale di Champions League in Europa), e tanti sono stati. Probabilmente l’attenzione era così tanto elevata perché gli spettatori non erano solo lì per apprezzare la dialettica e le sfumature politiche dei candidati ma per assistere ad uno show.

La campagna elettorale di Trump in effetti è stata scoppiettante, e piena colpi di scena. A posteriori si può dire che la sua ricetta è semplice: dichiarazioni altisonanti, spesso false, accompagnate da promesse irrealizzabili, tutto condito da una retorica facile, comprensibile, forte e tagliente. Insomma Trump è politicamente scorretto, scorrettismo, e piace perché rompe gli schemi. Le sue dichiarazioni sembrano folli, prive di fondamento e spesso di logica, ma ottiene ciò che vuole: l’attenzione è tutta su di lui. Per mesi Trump ha prepotentemente occupato i media all’unico scopo di oscurare i suoi avversari, tutti i suoi avversari.

Proprio questo atteggiamento doveva servire a smontare Hillary, soprattutto se si considera che le indiscrezioni dicevano che Trump non si stesse in alcun modo preparando al dibattito e che si sarebbe affidato alla sua spontaneità.

Ovviamente su queste basi, ad essere interrogati con uno come lui si fa presto a sembrare il primo della classe. Soprattutto se, come Hillary, ci si prepara da tutta la vita a questo momento. Da tempo ormai la Clinton affronta dibattiti, interviste, pianifica strategie politiche e governative, i suoi impegni le hanno permesso di crearsi ad una fitta rete di sostegno per un’eventuale Presidenza, senza dimenticare che lei alla Casa Bianca c’è già stata prima da First Lady e poi da Segretario di Stato. Insomma Hillary è pronta per essere leader. Forse troppo pronta? È stata coinvolta in mille scandali e storie borderline, è quindi forse troppo politica. In altre parole un po’ troppo House of Cards per il modo che ha di mentire e ricorrere a sotterfugi per nascondersi. Non ultima la bugia sulla sua salute, quella per cui ha giustificato uno svenimento (quello avvenuto durante la commemorazione del 11 settembre scorso a New York) come un semplice malore quando invece era in cura per la polmonite. Per cui a tante persone è venuto il dubbio, con tutti gli scandali, se mente con tranquillità su un problema di salute chi garantisce che abbia detto la verità sul resto?

E infatti al dibattito i due candidati sono arrivati quasi in parità, Hillary ha perso tutti i suoi punti di vantaggio nelle proiezioni di voto. Date tutte queste premesse, il dibattito versione Super Bowl era servito.

Oppure no. Al dibattito non è successo nulla di trascendentale dal punto di vista mediatico. Trump non era “The Donald”, la sua versione cabaret, e Hillary è stata brava. Tanto brava da “vincerlo” questo dibattito. Perfetta al limite del costruito, come la sua messa in piega, tutte le sue risposte erano giuste, ben piazzate alcune anche troppo tirate, forse non sufficientemente naturali. Lei aveva previsto tutti gli scenari possibili e si è visto, si era preparata, ci aveva investito tempo ed energie. Mentre i nodi di Trump sono venuti al pettine: è caduto in tutte (tutte!) le provocazioni tese dalla Clinton, per cui ha perso tempo a difendersi e giustificarsi senza di fatto esporre bene le sue proposte. Ma quando aveva tempo di farlo, la spiegazione non era tanto chiara: su Iraq, ISIS e minacce informatiche è stato parecchio confuso. Insomma Trump sembrerebbe non saper gestire un pubblico che non è lì solo per adularlo. Anche se poi ha anche lui lanciato alcune provocazioni, esse non hanno sortito alcun effetto: Hillary ha risposto colpo su colpo senza perdere la calma. Questo e solo questo le ha permesso di uscirne “vittoriosa” perché comunque la Clinton non ha ancora vinto veramente e deve ancora convincerne molti, tanti, forse troppi.

Passando un attimo agli argomenti del dibattito, se ne potrebbe ragionare per ore ma alcuni meritano un po’ di attenzione in più. Il generale riemergere della violenza definita razziale, e tutti gli scontri che avvengono tra polizia e comunità afroamericane, precipitano l’America indietro nel tempo; la facilità di accesso alle armi e i ricorrenti massacri sono un problema che si mescola alle minacce terroriste interne ed è sempre più difficile da risolvere, senza dimenticare poi i problemi di politica estera e di minacce alla sicurezza esterna degli Stati Uniti. Ma anche i due candidati stessi meritano attenzione. Se durante il dibattito entrambi hanno giocato ad accusarsi e smentirsi, chiedendo ai fact checkers di controllare le varie dichiarazioni, nella realtà entrambi sono in guai seri. Trump non ha pubblicato il proprio tax return (banalmente la dichiarazione dei redditi) e al contempo sono emersi durante la corsa gli strani rapporti che legano lo stesso Trump a Putin. Mentre dall’altro lato, la Clinton deve ancora rispondere dello scandalo legato alle mail scomparse che si suppone fossero uno scambio ai limiti della legalità di materiale confidenziale.

Nel day after , i media, oltre a sancire la vittoria del candidato democratico, sono stati nuovamente occupati dalla disamina di alcune dichiarazioni fatte da Turmp. Prima della fine del dibattito egli ha definito una ex-Miss Universo “Miss Piggy” perché troppo grassa, inasprendo le infinite polemiche rispetto alla sua misoginia. Non contento, ha anche detto che “ci è andato piano” con la Clinton per non metterla in imbarazzo e la prossima volta non sarà così gentile. Vedremo. Intanto alcune star si sono mobilitate in un video (giusto un pelino enfatico) per invitare gli americani ad andare a votare, c’è pure il rischio che, non soddisfatto dai candidati, l’elettorato preferisca astenersi.

Anche se tanti sono ancora increduli che il Partito abbia scelto un uomo con così poca serietà nell’affrontare i veri problemi del paese, manca ancora un mese e i giochi non sono ancora fatti. Nell’attesa del D-Day, l’8 novembre, c’è tutto il tempo per approfondire i temi che stanno alle spalle dei candidati e sui quali i due candidati si affrontano. In modo da capire meglio l’America contemporanea, quella stessa America che lascia il proprio primo Presidente nero, e che potrebbe guadagnare la prima Presidente donna o che rischia, in alternativa, di accollarsi il primo Presidente arancione.

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