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Sport e fascismo

di Simone Lo Giudice

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Gli Italiani e lo sport: un sodalizio provato dai fatti, ma ignorato dagli atteggiamenti. La tendenza del viver italico a categorizzare l’esistenza secondo due unità di misura: utilità e inutilità. Come se non fosse doveroso dover studiare tutti gli aspetti della nostra esistenza di uomini. Il fascismo fiutò per primo l’importanza dello sport a fini politici e non. Stalin, Hitler e Mussolini: tre tenori-dittatori, ma un solo vero sportivo. L’ultimo. “Lo sport regala felici parentesi nella vita travagliata”: ecco una frase mussoliniana rilasciata a La Gazzetta dello Sport dell’epoca, una massima di vita impegnata e non. Parliamone politicamente: lo sport è una guerra sublimata, si vince platonicamente, si suda per difendere la patria, ci si allena per migliorare la propria stirpe. E adesso parliamone ludicamente: lo sport è fenomeno di massa, è evoluzione linguistica, è immagine di noi stessi. Il fascismo colse queste due polarità, prima le fece sue, le promosse al prossimo, ma poi le distrusse a furia di leggi razziali, con l’espulsione degli atleti ritenuti “diversi”. O semplicemente se ne dimenticò, perchè posseduto dalla brama espansionistico-guerresca. Dopo la pragmatica introduzione realizzata dal prof. essa Elisa Signori (docente di “Storia contemporanea” presso il nostro Ateneo), Sergio Giuntini e Maria Canella hanno spiegato il proprio intento editoriale: perchè “Sport e fascismo” è un libro che ci aiuta a comprendere meglio noi stessi, spesso troppi immersi nel presente e poco interessati al passato. Perchè se oggi siamo così lo dobbiamo a ieri. Un’ultima nota? La politica vera non può ritenersi immersa nel presente se poi è la prima ad ignorare alcuni aspetti del viver umano. Perchè l’uomo è sì animale politico, ma anche sportivo.

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