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Ridacci oggi il nostro Brunori quotidiano

Non teme i gelidi inverni il pettirosso che cinguetta sulla copertina del nuovo album di Brunori Sas, prodotto dallo stesso Brunori con Taketo Gohara, con cui il cantautore calabrese ha conquistato nei primi mesi del 2020 le classifiche radiofoniche italiane.

A quasi tre anni dall’uscita di A casa tutto bene, album certificato disco di platino, Cip! rinuncia alle canzoni urlate del passato, preferendo cantare dell’Uomo e non degli uomini.

Un inedito gusto pascoliano caratterizza le sue undici tracce fin dalla copertina, che si limita a raffigurare un pettirosso su sfondo bianco, opera di Robert Figlia, uno degli artisti italiani più amati da Dario Brunori. Quest’ultimo diventa, quindi, la personificazione umana del piccolo animale fiero, che non teme di cantare nonostante il freddo fuori e il suo cinguettio – Cip! – costituisce il titolo stesso dell’album.

«La scelta di un titolo sonoro nasce anche dalla voglia di lasciarvi uno spazio. Mi piace l’idea che possiate trovarci un significato associandolo liberamente alle canzoni contenute nel disco », spiega Brunori, che predilige l’uso delle parole come strumento e non come fine. Da qui deriva la necessità di un’onomatopea, che ben si accorda con la molteplicità di suoni e cori presenti nel disco, in cui tutto concorre alla creazione di una dimensione di rarefazione e leggerezza.

Proprio attraverso una leggerezza ricercata, allora, il cantautore opta deliberatamente per un tentativo di allontanamento dai toni estremi delle coetanee copertine, attraverso un cinguettio che si propaga oltre l’intelaiatura di una gabbia, per fa sì che l’interiorità di chi ascolta possa ritrovarsi nelle sue parole.

Già i due singoli che hanno anticipato l’uscita del disco – Al di là dell’amore e Per due che come noi – preannunciavano un profondo rinnovamento nella poetica di Brunori, che sembra spogliarsi del gusto edipico di cui i suoi lavori passati sono intrisi, trasformando l’attenzione precedentemente rivolta dalle sue liriche corali verso la miseria della vita umana in un ripiegamento verso toni più esistenziali e introspettivi.

Una scelta chiara quella dell’autore, frutto di una maturazione o forse semplicemente di un bisogno di “sanremizzarsi” per allargare il suo pubblico, trasfigurando la sua intonazione politicamente scorretta in un tono che sembra solo accennare alle questioni storicamente cruciali, che in una precedente stagione artistica del cantautore, invece, erano urla e grida, denunce chiare e ostinate.

Se la denuncia del rinnovato sentimento fascista dilagante, contenuta ne L’uomo nero di A casa tutto bene, travolge l’ascoltatore ( «Hai notato che gli argomenti / Sono sempre più o meno quelli / Rubano, sporcano, puzzano e allora / Olio di ricino e manganelli »), Al di là dell’amore cede il passo al disincanto e all’abbandono di un impegno politico attivo, seppur solo abbaiato («Fanno finta di non sapere/ Che si parla di uomini qui / Di donne e di uomini »).

L’autore di Cip! è un nuovo Dario affetto dalla sindrome della veduta d’insieme. «È la sindrome di cui soffrono gli astronauti, che, quando tornano sulla terra, non la vedono più come prima, perché osservare quel puntino blu dallo spazio cambia la loro visione della vicenda umana. (…) L’artista lotta da sempre con il suo ego e la centralità nella vita di tutti, mentre io con questo album mi ripeto che in fondo sono un nulla, e va bene così. »

Con queste brevi frasi Brunori si sveste del costume da toreroPassami il mantello nero / Il costume da torero / Oggi salvo il mondo intero / Con un pugno di poesie ») e abbandona il progetto, a prova del più strampalato Don Chisciotte, di fare la differenza in un mondo alla deriva. Non gli fa più paura l’idea di scomparire, perché oramai si rassegna a questo destino («Quando pensi che sei uno su sette miliardi / E che tanto comunque oramai è troppo tardi »).   

Questa nuova disposizione d’animo, infine, non può che coinvolgere anche il principale leitmotiv del cantautorato italiano (non solo contemporaneo): l’amore. Quello di Per due che come noi è un amore per certi versi sornione, capace però di eternarsi per la sua dolcezza frammista al suono degli archi, da sempre usato nel panorama musicale italiano nel tentativo di creare atmosfere dolcemente struggenti. È un amore maturo, passionevole, che di farfalle nello stomaco ha solo quelle del pranzo della domenica; un garbato manifesto amorosoCi vuole passione / Dopo vent’anni a dirsi ancora di sì ») che uno dei Vianello avrebbe potuto dedicare all’altro e che ha il sapore amaro de La coppia più bella del mondo di Celentano negli anni del libero amore.

È un colpo durissimo per chi aveva sofferto per la Rosa del primo Brunori o per chi aveva creduto in quell’amore di Guardia ’82, che negli anni rimane attaccato alla pelle come la sabbia dopo una giornata al mare. Amore non corrisposto, amore ormai sciupato o, più semplicemente, amore così impetuoso che a volte fa star maleUn bacio è un errore non restarci male / Ti voglio bene ma è meglio di no »), come la maggior parte degli amori sbocciati in quelle notti che profumano di gioventù. La stessa gioventù che in Dario Brunori è ormai sfiorita insieme alla sua capacità di restituire all’ascoltatore una tranche de vie che sappia ancora di umanità, di Sud e di miseria, quella dell’uomo, che nelle sue forme non ha mai fine.

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