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Roman Polanski: separare l’artista dal pedofilo

Bill Cosby, Woody Allen, Kevin Spacey, Johnny Depp ed altri: oggi Hollywood è costellata da accuse di violenze sessuali, notizie che spesso noi fan di attori o registi preferiremmo non sentire. Preferiremmo non sentire perché lo scandalo ci costringe ad un’inevitabile riflessione, ad uno sforzo mentale che richiede di capire in che misura possiamo riuscire a separare l’arte dall’artista e continuare a supportare il nostro attore preferito senza tradire i nostri valori. Mentre spesso le accuse rimangono speculazioni, e alla fine siamo noi a dover scegliere da che parte stare “alla cieca”, mai caso fu più chiaro di quello del regista Roman Polanski, che, anche se dichiaratosi colpevole di stupro, continua a ricevere riconoscimenti a livello internazionale per le sue opere cinematografiche. 

Roman Polanski viene accusato nel 1977 dallo Stato della California di violenza sessuale con uso di stupefacenti, perversione, sodomia, atto lascivo su minore di 14 anni e di aver fornito sostanze controllate a minore. Vittima dei crimini fu la allora tredicenne Samantha Geimer, aspirante attrice, che insieme alla madre accettò entusiasta di partecipare come modella ad un servizio fotografico del regista che sarebbe poi dovuto finire sull’edizione francese della rivista Vogue.

La Geimer e Polanski si incontrarono già per una prima sessione di prova, dove lui l’avrebbe fatta spogliare e posare in topless. Seppur non inizialmente d’accordo, Samantha acconsentì poi anche a procedere al secondo servizio: fu così che il 10 marzo del 1977 il regista la portò ad una festa a casa dell’amico Jack Nicholson, dove a fine servizio le avrebbe nuovamente chiesto di posare in topless, per poi invitarla a rilassarsi sul letto, aiutandola con dello champagne e del quaalude – farmaco con azione sedativa – subito prima di stuprarla. 

Tutte le accuse vengono tuttavia respinte dopo che, sostenendo di voler proteggere la Geimer da un processo, l’avvocato di lei propone un patteggiamento: Polanski si dichiara colpevole dell’accusa minore di impegno in rapporti sessuali illegali con un minore, e si aspetta in cambio di ottenere la sola libertà vigilata. Il giudice Lawrence J. Rittenbad viene però intanto convinto dal procuratore distrettuale di Los Angeles a non rilasciarlo, e quando la voce giunge agli avvocati di Polanski, egli decide, giusto poche ore prima dell’udienza di condanna, di fuggire in Inghilterra. In seguito, si sposterà in Francia, dove possedendo la cittadinanza sarebbe stato protetto da un’eventuale richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti.

Da allora Roman Polanski non ha più messo piede su suolo americano. Gli sono state notificate altre quattro accuse di abusi sessuali, e gli Stati Uniti hanno chiesto l’estradizione a Paesi come la Polonia o la Svizzera, che hanno però rifiutato. 

Circa la veridicità dei fatti, per eliminare ogni ipotesi di falsa accusa, il regista non solo si dichiarò colpevole allora, ma raccontò dell’episodio anche nella sua autobiografia, aggiungendo che la vittima non diede risposte negative quando le venne chiesto se le piaceva quello che le si stava facendo (dimenticando che dal 1970 l’età di consenso in California è di 18 anni).

L’ultimo riconoscimento ufficiale a Roman Polanski  è stato quello del premio César al miglior regista per il film J’accuse  (che ha ricevuto altri 2 premi e 10 candidature).  Com’era prevedibile, date le contestazioni dei giorni precedenti, al momento della premiazione il pubblico della cerimonia – alla quale il regista era assente – è insorto. A farsi simbolo di un Me Too francese è stata la candidata a migliore attrice per “Ritratto della giovane in fiamme” Adele Haenel. Anche lei vittima di abusi sessuali dai 12 ai 15 anni, si è alzata gridando «vergogna» ed ha abbandonato la cerimonia, seguita dal suo team. La protesta è poi continuata per le strade.

Procediamo, cercando di separare. Il contributo di Polanski al cinema delle ossessioni è indubbio, e la profondità psicologica di opere come “Rosemary’s baby” (1968) e della restante cosiddetta “Trilogia dell’appartamento” è oggettiva, così come la grandezza di un film come “Il pianista” (2003). Ma proprio perché questi meriti sono certi, è davvero necessario che vengano riconosciuti da cerimonie e festival dal calibro degli Academy Awards o di Cannes? D’altronde nella storia del cinema troviamo film come “Shining” (1980), “C’era una volta in America” (1984), “Le iene” (1992) e “Lèon” (1994), che per quanto snobbati dalle grandi premiazioni ai loro tempi, oggi conservano un valore innegabile.

Vincere un Oscar non comporta nessun bonus in denaro, ma parlando di guadagni indiretti, è stimato che portare a casa una statuetta possa causare un aumento di stipendio del 20% per il vincitore. Lo stesso ragionamento funziona, in misure diverse, per gli altri trofei nel campo cinematografico. Premiando un criminale quindi, non solo lo si sta finanziando, ma si sta accrescendo la fama e la gloria da cui sarà circondato. Ed è così che per l’ennesima volta il talento di un uomo metterà in secondo piano i traumi e la sofferenza delle violenze sessuali.

È stimato che una donna su tre sia vittima di abusi, stato che secondo l’OMS comporta maggiori probabilità di contrarre l’HIV/AIDS, abortire, soffrire di depressione e/o alcolismo, e di incorrere in complicazioni durante la gravidanza. Alla alta percentuale di vittime di sesso femminile si aggiungono inoltre quelle di sesso maschile. La nostra società ancora fatica a prendere le misure necessarie a riguardo: troppo spesso sentiamo di condanne che vengono poi ridotte a pochi anni, se non addirittura sostituite da libertà vigilate, o più spesso di casi che a una condanna neanche ci arrivano. Ma se la realizzazione di un giusto sistema giudiziario può nella pratica risultare un processo troppo lungo e impegnativo, escludere da premiazioni cinematografiche un uomo come Roman Polanski, stupratore e pedofilo dichiarato, non lo dovrebbe essere affatto. Finora un provvedimento del genere è stato preso solo dagli Oscar, che nel 2018 hanno estromesso il regista dalla propria accademia.

Un qualsiasi contributo al cinema, per quanto importante esso possa essere, non sarà mai paragonabile al dolore e alle sfide che le vittime di violenze sessuali si trovano a dovere affrontare ogni giorno. È quindi giusto protestare come è successo alla cerimonia César ed è giusto ricordare al mondo che Polanski da quasi cinquant’anni sfugge a un processo per stupro di minore, continuando a vivere la sua vita da milionario senza avere mai scontato una pena per i propri crimini. Quindi, piuttosto che glorificare e difendere la sua persona, forse sarebbe meglio limitarci a elogiare le sue opere tra amici, in un post su Facebook o a lezione di Storia del cinema, nel rispetto di tutte le altre Samantha Geimer e Adele Haenel, stando sempre attenti a separare l’arte dall’artista.

Fonti: https://en.m.wikipedia.org/wiki/Roman_Polanski_sexual_abuse_case

http://transcripts.cnn.com/TRANSCRIPTS/1010/07/lkl.01.html

https://www.latimes.com/archives/la-xpm-1997-aug-06-ls-19993-story.html

http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2020/02/29/shock-ai-cesar-premiato-polanski-adele-haenel-se-ne-va_2f197dff-e83d-4a31-9dbd-d22cea24953b.html

https://www.instyle.com/awards-events/red-carpet/oscars/how-much-money-do-you-get-when-you-win-oscar

https://edition.cnn.com/2013/06/20/health/global-violence-women/index.html

Annamaria Nuzzolese

Nata ad Altamura. Studentessa di Giurisprudenza all'Università di Pavia. Caporedattrice dal 2019, redattrice dal 2017, ambito d'interesse: geopolitica e attualità.

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