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Recensione – “Il Divo”: tra realtà e menzogna

Giulio Andreotti, pilastro della politica del nostro Paese e sette volte presidente del Consiglio, si è spento a Roma il 6 di questo mese all’età di 94 anni. Durante la sua lunga carriera politica, Andreotti si è ritrovato coinvolto in scandali come l’omicidio del giornalista Carmine (Mino) Pecorelli e concorso esterno in associazione mafiosa, per il quale è stato giudicato nel maggio del 2003 dalla Corte d’appello di Palermo – e infine assolto. Controverso è stato anche il suo ruolo nei confronti della gestione del sequestro Moro da parte delle Brigate Rosse, durante il quale rifiutò ogni tipo di trattativa con i terroristi, guadagnandosi numerose critiche da parte dei familiari di Moro. E da parte di Moro stesso, che durante la prigionia durata 55 giorni accusò Andreotti di non avere umanità, scongiurandolo di aprire trattative per la sua liberazione, venendo invece assassinato nel maggio del 1978.

A tutte queste discusse vicende è particolarmente ispirata la pellicola Il Divo, del regista napoletano Paolo Sorrentino. Il film racconta lo spicchio di vita di Giulio Andreotti dei primi anni Novanta, tra il VII Governo Andreotti e il Processo di Palermo. Presentato in concorso al Festival di Cannes del 2008 ed aggiudicatosi il Premio della Giuria, oltre ad altri numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, il film di Sorrentino dipinge un uomo distaccato, impassibile, tagliente ed incredibilmente cinico, raccontandone ombre e oscurità attraverso l’immagine di Toni Servillo, che veste magistralmente i panni del Divo Giulio (soprannome da cui il film prende il nome).
Quasi a dire che “il buongiorno si vede dal mattino”, Il Divo dopo aver dedicato pochi minuti all’immagine di un Andreotti impegnato a rimediare alla propria emicrania attraverso l’agopuntura, parte con una sequenza di omicidi: da Moro a Dalla Chiesa, a Pecorelli a Giovanni Falcone, sulle note di Toop toop dei Cassius. Tra accuse, battaglie politiche presunzioni di colpevolezza – e battute sarcastiche – la pellicola si guadagna il consenso della critica, sia italiana che straniera, ottenendo successo anche nelle sale cinematografiche di tutto il mondo.
Poco prima della sua uscita al cinema Giulio Andreotti vide la pellicola in una proiezione privata e si dichiarò tutt’altro che soddisfatto, definendo il film «molto cattivo, una mascalzonata che cerca di rivoltare la realtà». Ciò nonostante Andreotti non sporse mai querela, mentre Sorrentino dal canto suo commentava: «Andreotti ha reagito in modo stizzito, il che è un buon risultato dal momento che lui si dimostra spesso impassibile di fronte a qualsiasi avvenimento».
Quanto ci sia di vero e quanto invece sia inganno e menzogna di ciò che è stato raccontato nel film, difficilmente riusciremo a scoprirlo. Ma ancora una volta impariamo come personaggi misteriosi e controversi rimarranno inevitabilmente impressi nella memoria, la nostra e quella del nostro Paese.

3 pensieri riguardo “Recensione – “Il Divo”: tra realtà e menzogna

  • Stefano

    Ci mancava solo che il Governo italiano trattasse con le BR. Quanto alle lettere di Moro, meglio stendere un velo pietoso: quando una persona assume una carica pubblica, rappresentando lo Stato, può aver paura finchè vuole (è normale che sia così), ma non deve mostrarla in pubblico e deve avere gli attributi per resistere.

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  • Quanto ad Aldo Moro, diciamo che ci sono momenti in cui anche un uomo di Stato non riesce ad essere più che un uomo…

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  • Stefano Sfondrini

    Quando lo Stato ti abbandona, non puoi che essere uomo. E un uomo, se è degno di essere chiamato tale, ha dei sentimenti.
    E prima di azzardare commenti bisognerebbe trovarsi in simili situazioni estreme.

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