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Patrick Zaki: l’Italia dov’è?

Lunedì 7 dicembre il giudice della terza sezione del tribunale antiterrorismo del Cairo, in Egitto, ha deciso che Patrick Zaki dovrà restare in carcere altri 45 giorni.

Tutto ebbe inizio 10 mesi fa. Il 7 febbraio 2020 Patrick Zaki venne catturato dalle autorità egiziane all’aeroporto. Era di ritorno dall’Italia per una visita ai parenti, frequentava un master all’Università di Bologna finanziato dal programma Erasmus Mundus dell’Unione Europea.

L’accusa è di propaganda sovversiva, di aver incitato proteste contro l’autorità pubblica attraverso i social network, di aver sostenuto il rovesciamento dello stato egiziano e di aver istigato alla violenza e al terrorismo: tutte accuse che in Egitto di solito vengono imputate a coloro che si oppongono al governo. La libertà di espressione è un diritto sconosciuto nello stato autoritario del presidente egiziano Al Sisi.

Patrick venne torturato per 17 ore e interrogato riguardo alla sua permanenza in Italia, al suo presunto legame con la famiglia di Giulio Regeni e al suo impegno politico per i diritti umani.

Egli si trova attualmente nel Carcere di Tora, al Cairo. La sua udienza e la sua carcerazione preventiva sono state posticipate ogni due settimane fino ad oggi, con la scusa di ritardi per via della pandemia da Coronavirus.

zaki

Sono esausto fisicamente e mentalmente, non posso continuare a stare qui ancora a lungo e mi deprimo ogni volta che c’è un momento importante nell’anno accademico, mentre io sono qui invece di essere con i miei amici a Bologna”.

Queste sono le parole che Patrick ha detto alla madre nel corso di una visita sabato 19 dicembre, suo figlio è allo stremo e lei è preoccupata per la sua salute fisica e mentale.

Ciò che sta accadendo a Patrick è una gravissima violazione dei diritti umani, e l’Italia non può rimanere in silenzio, come diceva Camus non esistono destini individuali, ma una storia collettiva, per questo la storia di Patrick riguarda tutti noi.

È tristemente famosa la violazione dei diritti umani che avviene nelle carceri egiziane, il governo ha strumentalizzato l’epidemia da coronavirus per legittimare il suo potere autoritario.

Secondo uno studio di Amnesty International in Egitto è in forza da 5 anni una repressione senza precedenti. Dal 2016 le autorità egiziane hanno sottoposto a una lunga serie di violazioni dei diritti umani giornalisti che avevano espresso le loro opinioni, incarcerandoli per inesistenti accuse di terrorismo. Il sistema giudiziario è al servizio del presidente Al Sisi e detiene nelle carceri oltre 60.000 persone (l’intera popolazione carceraria italiana) solo per reati d’opinione. Nel 2017 una nuova serie di emendamenti ha concesso ai tribunali il potere di rifiutare alcuni testimoni della difesa e limitare le possibilità di appello. Secondo Amnesty International i cambiamenti hanno “aperto la strada al ricorso massiccio a condanne a morte ed esecuzioni sommarie”.

Negli ultimi anni decine di giudici sono stati costretti al pensionamento, allontanati dai tribunali penali o addirittura processati. Ad aprile la Costituzione è stata modificata per concedere maggiori poteri ad Al Sisi nella nomina dei giudici e dei pubblici ministeri. Spiega un attivista: “Il rapporto tra Al Sisi e il sistema giudiziario mi fa pensare a un burattinaio che muove i fili. È così che funzionano i processi in Egitto. Che senso ha impostare una difesa se alla fine la corte rinnoverà detenzioni violando la legge? La legge c’è, ma negli anni post-golpe ha subito modifiche così sostanziali da essere stata adeguata alle necessità repressive del regime.

“Andrà Tutto Bene” – Murales di Laika, Roma

Cosa deve fare l’Italia? Riconoscere la cittadinanza italiana. Potrebbe essere un primo passo verso la liberazione di Patrick, la sola mobilitazione intellettuale non ha alcun effetto, è necessaria un’azione forte. La cittadinanza onoraria è un riconoscimento simbolico che può essere concesso da un ente locale, come il comune. Sono stati tanti i comuni che hanno concesso la cittadinanza a Patrick come Torino e Milano.

Ma  quando la cittadinanza onoraria è gestita dai singoli comuni non ha effetto giuridico, solo simbolico. La questione cambia quando è lo Stato italiano a concedere la cittadinanza onoraria a uno stranieroquando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello stato”. Il procedimento è più complesso ma solo in questo caso il riconoscimento avrà valenza giuridica.

La possibilità di concedere la cittadinanza è uno strumento per poter attivare garanzie internazionali ed europee, salvare Patrick dalle torture e da un processo sommario. Perché il governo ancora non ha agito? Perché non ha ritirato l’ambasciatore italiano dall’Egitto come richiesto dalla famiglia di Giulio Regeni?

Tanti sono gli interessi economici e politici: la guerra in Libia, il grande giacimento gestito dall’Eni a largo delle coste egiziane, il traffico di armi, la vendita di navi militari.

Il 3 febbraio del 2016 Giulio Regeni veniva trovato senza vita. È arrivata dopo 4 anni la conferma di una verità che tutti noi già sapevamo: Giulio è stato torturato per giorni e giorni fino alla morte.

L’Italia non deve permettere che questo capiti anche a Patrick. Una vita vale molto di più di insulsi interessi economici e politici. Solo ora l’Italia cerca verità per Giulio. Ma bisogna aspettare che un proprio cittadino perda la vita per avere sete di giustizia?  È necessario agire ora, l’Italia deve prendersi le sue responsabilità, avere una posizione forte e non accomodante nei confronti di uno Stato, l’Egitto, che tortura un suo cittadino per le sue idee. Patrick libero!

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