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Venerdì profano #1 – Paese che vai, polizia che ti Cucchi

Da quasi un mese ormai, espletando i miei doveri da pendolare, tornando in quel di Verbania città (sic!), mi capita di osservare uno striscione in giallo, scritta nera, in basso il logo di Amnesty International: «Verità per Giulio Regeni».
La vicenda di Giulio Regeni penso abbia colpito chiunque, nel profondo. Da una parte, perché uno studente mosso da interessi accademici non dovrebbe essere oggetto di barbarie; secondariamente, per la forte reazione (politica e mediatica) che è arrivata dal nostro paese:
«Non accetteremo una verità artificiale e raccogliticcia, siamo l’Italia e non accetteremo mai una verità di comodo. Non c’è business o realpolitik che tenga, non è un optional la verità per Giulio. […] Vogliamo i responsabili veri, con il nome e cognome, perché non è pensabile che si resti senza un colpevole» (Matteo Renzi).
Ma tutto ciò, un simile trattamento riguardo una tale vicenda, ha un confine molto stretto: quello statale.
Se, infatti, uno stormo d’avvoltoi, tanto folto quanto rumoroso, s’è accalcato per depositare sopra la bara di Giulio il tricolore, silenzio assoluto è stato (sempre) riservatoagli omicidi di Stato: quelli di quello italiano. O, in ogni caso, nessuno si sarebbe sognato di dire (al di là della diversità delle vicende), a fronte delle immagini del suo corpo mutilato, che quel «drogato sieropositivo» era morto «per anoressia», come disse Carlo Giovanardi riguardo Stefano Cucchi (nessuno, ad esempio, avrebbe mai mandato al diavolo lo studente di Cambridge, gridando al complotto, come la presentatrice egiziana Rania Yassin). Oltre che per il fatto di esserlo, Giovanardi, l’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, disse quelle parole per una semplice ragione: perché poteva permetterselo.
Così come il SAPPE, Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria, si è potuto permettere, il giorno 3 novembre

cucchi in opitorio
Una foto di Stefano Cucchi dopo l’autopsia diffusa dalla sorella Ilaria.

2014, quando la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, aveva appena parlato con il Procuratore Capo Pignatone, il quale si impegnava rivedere gli atti di quell’indagine, di querelarla in quanto «istiga all’odio e al sospetto nei confronti dell’intera categoria di soggetti operanti nell’ambito del comparto sicurezza» (Donato Capece) per aver mostrato la foto del volto tumefatto fratello; ma, d’altronde, «la sorella di Cucchi dovrebbe ringraziare di vivere in un paese come l’Italia, ovvero il paese dei balocchi» (Ilaria Dimitrio Bonsignore), infatti «in un altro paese tutto questo non sarebbe mai accaduto» (su quest’ultima siamo d’accordo); inoltre, «bisognerebbe smetterla di scaricare sui servitori dello Stato la responsabilità», dopotutto, «chi disprezza la salute, paga» (così che, stando alle sue parole, chiederemo a Capece qual è il prezzo della vita d’un ragazzo).

A sentire, mercoledì scorso (8 giugno), le parole del Procuratore Generale Eugenio Rubolino, che ha chiesto la condanna a omicidio colposo per i cinque medici che ebbero in cura Stefano – il quale «non vorrei morisse terza volta: una prima volta lo hanno ucciso servitori dello Stato in divisa, si tratta solo di stabilirne il colore, la seconda volta lo hanno ucciso servitori dello Stato in camice bianco», «si è fatto in modo che venisse ricoverato lì, in quella struttura protetta da occhi e orecchie indiscrete» dove «la sua morte è arrivata dopo cinque giorni di vera agonia», Stefano «fu vittima di tortura come Giulio Regeni» – le domande restano. E sono molte.
Sarà l’appello bis a fornirci alcune delle risposte – anche se, già nel primo appello, la Corte, nelle motivazioni d’assoluzione degli imputati, scriveva che Cucchi «fu picchiato, ma c’è l’incertezza sulla causa della sua morte e su chi possa essere stato a “pestarlo”».
D’altra parte, in materia di giustizia, compito di cittadini, politici e sistema dei media è quello di chiedere, pretendere giustizia, non quello di farsela da sé, o emettere sentenze: è un diritto, nonché un dovere pretendere dalle istituzioni – statali, straniere o extra statali – la verità.
Purtroppo, in questi casi, così come in molti, chiedere è lecito, rispondere è democrazia: «e se furono due guardie a rubarmi la vita, è proprio qui sulla Terra, la mela proibita; e non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventat, ci costringe a sognare in giardino incantato».

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