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Né bianco né nero: sarà un Mondiale vero!

Intervista a Paul Bakolo Ngoi

a cura di Simone Lo Giudice e Stefano Sette

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Oggi inizia il mondiale di calcio sudafricano, un evento che segna un momento storico per un intero continente, oltre che per il paese ospitante. Come anticipato sull’ultimo numero, vi proponiamo il testo completo dell’intervista a Paul Bakolo Ngoi, scrittore e mediatore culturale congolese attivo anche come giornalista freelance; ha collaborato con Il Giorno e Il Giornale, per il quale ha seguito le partite di Germania 2006.


“Ciao Paul!”. Gli diamo rigorosamente del “tu” sin dall’inizio, perché lui pretende questo. Prima barriera abbattuta. Adesso proviamo ad infrangere la seconda: prendiamo per mano l’Africa e tentiamo di farle guardare negli occhi l’Europa. Siamo in tre, seduti intorno a un tavolo nero come il continente eletto. Siamo scissi in due parti: il corpo in Italia e la mente in Africa. Paul ha seguito tanti Mondiali nella sua carriera, ma uno così non lo ha mai visto. Si è quasi dimenticato delle sue origini congolesi. Perché oggi si sente soprattutto africano. Qua il goniometro e parliamone a 360°: retaggi del Colonialismo, situazione in Sudafrica, attentato in Angola e qualche pronostico sull’erba. Sarà un mese abbagliato da una luce nuova in terra sudafricana, la casa dell’etnicità arcobalenica. Al bando la ruotine europea, ma occhio a non scadere nella retorica africana. Né bianco, né nero: sarà un Mondiale vero!

Inchiostro – L’inno ufficiale di Sudafrica 2010 è This time for Africa. L’Africa ospita una competizione che “ha già vinto”?  Il riferimento è a Francia 98, alla spina dorsale transalpina fatta da cromosomi africani: dall’algerino Zidane al ghanese Desailly fino al senegalese Vieira. Che valore attribuire ai retaggi del Colonialismo?

Paul Bakolo Ngoi – Sì è vero, però se andiamo a vedere bene notiamo che la spina dorsale è africana non solo nello sport, ma anche nella società in generale… non a caso si dice che l’Africa è la culla dell’umanità. Tornando a quello che ci riguarda nel pallone, ci sono Paesi che hanno questo passato coloniale: la Francia, il Belgio, l’Inghilterra hanno una forte presenza di giocatori africani sia a livello delle loro Nazionali che dei Club. Però, parlando per esempio di Zidane, parliamo di un francese… alcuni di questi atleti hanno origine africana però in Africa hanno vissuto pochi anni e poi sono andati via. Desailly, se la madre non avesse sposato questo signore francese non sarebbe mai arrivato in Francia. Zidane gioca per la Francia: lui è francese di origine algerino. Potremmo fare lo stesso discorso per Nicolas Sarkozy, che è francese anche se i suoi genitori non lo erano in tutto e per tutto.

Nel 2001 la FIFA decide di assegnare i Mondiali dal 2010 in poi a rotazione tra i vari continenti, a partire dall’Africa. Nel 2004 ci sono quattro proposte in lizza: la candidatura congiunta di Libia e Tunisia viene respinta, nessun voto per Egitto, 10 voti per Marocco, 14 voti per Sudafrica che si aggiudica l’organizzazione. Ma l’Africa ospiterà il Mondiale nello Stato africano “più bianco” del continente?

Sì, qualcuno lo ha letto così: l’assegnazione del Mondiale al Sudafrica in realtà non è all’Africa, ma a quella parte bianca nostalgica dell’Africa. Ma in realtà no, perché il Mondiale sudafricano è proprio il contrario di tutto questo. È la vittoria di Nelson Mandela e di Frederik Willem de Klerk, l’uomo che ha abolito l’apartheid. Non è un Mondiale organizzato in una terra dei bianchi, perché il Sudafrica è una “rainbow nation”, una “nazione arcobaleno” abitata da persone di diversi colori. Si parla molto delle maggioranze, cioè neri e bianchi, mentre si parla poco delle minoranze. Anche se alcuni Paesi occidentali non volevano che il Mondiale andasse all’Africa, credo che sia stata una bella vittoria. Blatter in prima persona è da felicitare. Io sto con lui.


La Nazionale sudafricana è stata sospesa a più riprese dalla FIFA: nel 1962 la Federcalcio sudafricana manifestò la volontà di schierare in Nazionale solamente giocatori bianchi; fu riammessa un anno dopo, ma dopo la decisione di creare una squadra formata da soli bianchi per il Mondiale 1966 e di soli neri per il Mondiale del 1970 fu sospesa ancora fino al 1974. Come sta oggi il Sudafrica?

In Sudafrica, gli sport popolari sono praticati dai neri in maggioranza, poi ci sono gli sport d’elite che spettano ai bianchi. Schierare una squadra di soli bianchi non sarebbe stato coerente con la storia recente del Sudafrica, perché i neri hanno fatto tanto per riconquistare il proprio posto. Lo sport è quella terra di nessuno dove deve essere data una possibilità a tutti. La popolazione nera in Sudafrica, essendo anche maggioritaria, si ritrova anche nella squadra del calcio. È una questione legata al numero dei praticanti. I neri hanno individuato nello sport un campo in cui si è veramente alla pari. È impossibile accettare nella FIFA un Paese in cui vige l’apartheid, è un controsenso, ecco perché ci sono stati i primi rifiuti. Oggi queste tensioni sono state superate, anche se il Sudafrica rimane una realtà difficile, perché un conto è arrivare a Johannesburg e vedere i grattacieli e un conto è andare nelle bidonvilles. Era stata avanzata l’ipotesi di un piano Germania 2006-bis, nel caso il cui l’Africa non fosse stata pronta. Sarebbe stata una forzatura, sarebbe stato ingiusto perché avrebbe comportato per la stessa Germania investimenti non previsti. E poi con quale spirito le Nazionali africane sarebbero andate a giocarsi un Mondiale scippatogli? Il Sudafrica ha vinto perché è nelle condizioni di poter ospitare un Mondiale.

Gennaio 2010: nell’enclave di Cabinda c’è stato un attentato ai due pullman della Nazionale togolese, diretta in Angola per disputare la Coppa d’Africa.  Il governo togolese ha deciso di ritirare la squadra e indire tre giorni di lutto nazionale. La CAF (affiliata alla FIFA) ha squalificato il Togo per le prossime due edizioni e lo ha multato. Quanto spazio c’è oggi per il calcio vero in un mondo fatto di interesse?

Chi ama lo sport è un sognatore. Oggi come oggi, sappiamo che il calcio non è più quello di una volta, perché il calcio di oggi sono gli sponsor e la televisione, tutta gente che fa business. Io capisco il disgusto provato dal Togo, ma quello che è successo non è né colpa della FIFA né colpa di Blatter. È una questione organizzativa legata alla CAF, che non ha saputo dare un’alternativa. Tra Congo e Angola ci sono state dispute legate all’indipendenza di Cabinda, la cui popolazione parla il lingala (la lingua parlata in Congo) oltre al kikongo (un’altra lingua parlata in Congo). Ho sentito un mio amico giornalista del Togo e anche lui diceva che lo spostamento dei giocatori è a carico di ogni Federazione. Non si può attraversare “una zona di guerra”. Uno spostamento aereo sarebbe stato più sicuro. Io non me la sento di dare una colpa, ci sono più concorsi di colpa. Era qualcosa che si poteva evitare, conoscendo la pericolosità della zona.

Passiamo al lato più tecnico. Le Nazionali africane non sono mai andate oltre la qualificazione ai quarti di finale: ci sono riuscite solamente il Camerun nel 1990 e il  Senegal nel 2002. Sudafrica, Nigeria, Algeria, Ghana, Camerun, Costa d’Avorio: chi può arrivare in fondo al Mondiale 2010?

Sulla carta la Costa d’Avorio è la squadra più forte. Ha giocatori di grande esperienza, a cominciare da Didier Drogba e Salomon Kalou, giocatori che nella Premiership vanno molto bene. Sulla carta il girone della Costa d’Avorio è durissimo, ma poi quando scendi in campo tutto diventa possibile. Le Nazionali africane peccano più a livello di tattica che di tecnica. La Nigeria non è una squadra da sottovalutare, fisicamente non ha confronto con le altre squadre africane. L’Algeria è lì anche se ha avuto problemi per arrivare a qualificarsi. Per me Camerun e Ghana rimangono due punti interrogativi: non so se il Ghana ha una squadra forte come quella del 2006, il Camerun potrebbe creare la sorpresa solo se fa squadra. Credo che fino ai quarti una delle squadre africane ci arrivi, poi non so se si potrà andare oltre. Del Sudafrica non si sa nulla: ha avuto più di un avvicendamento in panchina e un cambio generazionale dei giocatori. Resta il grande punto interrogativo, perché nessuno sa esattamente cosa stanno facendo e come si stanno preparando. Rischiano di essere eliminati al primo turno, perché Francia, Uruguay e Messico sono avversari molto forti. Io seguirò per alcuni giornali le squadre africane al Mondiale: l’ho sempre fatto da Italia 1990 fino a Germania 2006. Mi ricordo ancora della sfida tra Italia e Ghana in Germania: la squadra africana è stata penalizzata dalla sua scarsa tattica. I giocatori africani sono molto tecnici e fisici, ma spesso non seguono alla lettera ciò che gli dicono gli allenatori. Nel calcio gli Africani sono un po’ come i Brasiliani: tengono molto la palla, fanno la giocata e se il risultato arriva bene se no è lo stesso. Vogliono dimostrare di saper dare del “tu” alla palla. Mentre invece dovrebbe essere il contrario: “ti faccio vedere poche giocate, ma ti faccio vedere che so vincere le partite”. Singolarmente i giocatori africani sono pronti ad affrontare qualsiasi campionato del mondo, però come squadra nazionale non so se sono pronti a battere chiunque. Per affrontare una Coppa del Mondo ci vorrebbero molte cose che in alcuni Paesi africani mancano: dalla strutture per preparare i club, fino alle modalità di aggregazione tra giocatori nazionali all’estero e giocatori nazionali in patria. Bisognerebbe gestire la squadra nazionale con più equilibrio. I presidenti delle varie Federazioni dovrebbero pensare a far arricchire la squadra a livello di mentalità e di gioco. Quando i Paesi africani supereranno questa fase si comincerà a vincere. A livello individuale ci siamo, è a livello di organizzazione che deficitiamo. Non a caso i Paesi che vanno avanti sono quelli che hanno adottato nel loro Campionato un semi-professionalismo. Io avevo uno zio che giocava nella Nazionale del Congo, ma intanto faceva l’insegnante di ginnastica per procurarsi da vivere. Se la FIFA deve fare qualche cosa, lo deve fare in questa direzione. In Italia, i calciatori hanno più opportunità per potersi formare, per potersi preparare anche ad una vita futura dopo il calcio, cosa che nei Paesi africani non esiste.

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