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#IJF14 – InChiostroVeritas: Festa mobile, etica stabile

“Festa mobile”: Hemingway associò questa notissima espressione a Parigi, ma probabilmente andrebbe bene anche per definire il Festival del Giornalismo di Perugia che, come tutte le occasioni in cui si concentrano folle eterogenee, dà la possibilità, se si vuole, di osservare da vicino l’Uomo. Perché tutti ricevono l’invito alla “festa”, così come tutti viviamo, ma poi la differenza sta nel comportamento di ognuno, nelle scelte, nel proprio modo di partecipare. In sintesi la differenza la fa l’etica, sempre. E seguendo questa indicazione la linea da seguire è quella di stare nel mondo senza essere maleducati, aggressivi senza motivo o peggio responsabili del dolore altrui.

“Festa mobile, etica stabile”: questo potrebbe essere, a grandi linee, uno dei motti, punti forti dell’esistenza. Peccato che spesso non sia così, e che perfino coloro che svolgono un lavoro dalla grande rilevanza sociale, come può essere il mestiere di giornalista, non si accorgano dell’importanza di questa riflessione. Perché non è che all’IJF non si sia parlato dell’etica e del comportamento del giornalista, ma lo si è fatto poco e male, e con “male” intendo in modo stereotipato, distaccato, cinico e anche un po’ irrispettoso. Tra gli incontri a cui ho partecipato che si prefiggevano l’obiettivo di affrontare questo tema, quello che si è rivelato maggiormente drammatico è stato sicuramente la conferenza organizzata dall’Online News Association dal titolo Raccogliere informazioni sui social: le sfide etichedx. Un’ora di dibattito concentrata su come comportarsi nei confronti delle immagini e delle notizie che un giornalista può reperire dall’account di un utente qualsiasi. Nel caso in cui le informazioni reperite vengano utilizzate in un articolo la persona deve essere pagata? Deve essere citata? Deve essere avvisata? Quello che ne è emerso è che per un giornalista gli utenti dei social network sono una grande risorsa, un modo per “stare sul pezzo” comodamente dalla proprio scrivania. C’è un uragano in Alabama e subito qualcuno ne filma gli effetti devastanti e li carica in rete. Si è verificato un tragico incidente stradale e, il tempo di un click, un passante scatta una foto e la pubblica su Twitter. Ed è proprio qui il paradosso. I relatori, anche davanti a esempi del genere, si interrogavano ancora una volta su come ci si sarebbe dovuti comportare nel caso in cui fossero state usate le immagini reperite dagli spettatori di quei tragici eventi. Però ci ho provato a chiederglielo, a domandargli se non fosse corretto parlare oltre che del giornalista e di questa ipotetica (e alquanto economica) etica del lavoro, anche dell’etica di ogni individuo, della nostra società che è fatta di persone che davanti a un incidente mortale o uno scontro che avviene in pubblico e si conclude in tragedia, non solo si ferma incuriosita, ma addirittura riesce a essere abbastanza fredda da scattare una foto col proprio telefonino e caricarla in Rete. Le risposte che mi sono state date, le riassumo in questa frase:

«Mi dispiace, ma questa curiosità è un istinto ancestrale dell’uomo. Un problema morale non nostro».

Agghiacciante, drammatico.

Ma come! Un giornalista, che con i suoi articoli influenza l’opinione pubblica e dovrebbe avere uno sguardo critico sul mondo, evita il problema? «La notizia prima di tutto», questo è sembrato essere il loro motto reale. E lo si capiva anche osservando alcuni relatori negli spostamenti da una sala conferenze all’altra o mentre interloquivano con giovani aspiranti professionisti dell’informazione: i partecipanti di una festa mobile, che era a tutti gli effetti una serata di gala all’insegna del buongusto, ma in cui loro avevano fatto irruzione con scarponi sporchi di fango e camicie a quadri.

Tutta l’umanità è invitata alla festa mobile per eccellenza che è la vita: si raccomanda la puntualità e un’etica elegante. Perché sì, può ancora fare la differenza.

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