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#ijf13 – L’Università non dà lavoro, le aspirazioni sì

Il lavoro è la priorità.

Questo lo slogan del Primo Maggio. Questa, apparentemente, l’opinione di tutte le forze politiche, salvo però poi annunciare di aver già in cantiere leggi “anti-movimenti” o condoni edilizi. Di fatto quella del lavoro è una questione tanto urgente quanto delicata e nei prossimi mesi non mancheranno scontri tra i partiti su quest’argomento.

Anche il Festival del Giornalismo ha dedicato una serata al tema del lavoro con un incontro tra Maurizio Landini (segretario generale della FIOM), l’autrice del libro “Vivo altrove” Claudia Cucchiarato, il disegnatore Claudio Stassi e la giornalista de la Repubblica Concita De Gregorio. Si è discusso delle difficoltà e delle esigenze dei giovani in cerca di lavoro, ma stranamente l’argomento della formazione, momento in cui si gioca gran parte del destino lavorativo di ciascuno, non è stato toccato. Abbiamo quindi deciso di parlare con Concita de Gregorio proprio dei problemi della formazione a livello universitario e del mancato collegamento tra Università e mondo del lavoro.

Inchiostro – Data la situazione attuale, è ancora possibile per un giovane scegliere il percorso universitario, magari una formazione prettamente culturale, in base alle proprie aspirazioni o bisogna invece orientare le proprie scelte in base a ciò che offre il mercato del lavoro?

De Gregorio – Io penso che più grande sia la situazione di crisi, più netta sia la chiusura del mondo del lavoro e più forte debba essere la spinta a tornare alle proprie aspirazioni e ambizioni. Mi spiego meglio: c’è stato un momento negli anni ’80-’90 in cui i giovani venivano dissuasi dalle famiglie dal seguire studi umanistici perchè “non conveniva”. Le madri e i padri spingevano per facoltà come Informatica o Economia e Commercio consigliando ai figli di “restare nella modernità” per poter trovare lavoro. Molti della mia generazione hanno fatto questa scelta: preferire ciò che conveniva piuttosto che ciò che piaceva. Siccome oggi, anche facendo ciò che sembra convenire, non si trovano sbocchi, il consiglio che sento di dare ai miei figli e ai giovani che me lo chiedono è quello di fare ciò che la passione detta: se c’è un modo, una possibilità di vedere realizzate le proprie aspirazioni è tutta nell’intensità e nell’autenticità di quello che si fa e di come lo si fa. Inutile seguire percorsi già battuti da altri: il valore di ciascuno di noi risiede nella diversità.

Si parla tanto della mancanza di un collegamento tra Università e mondo del lavoro: secondo lei come si può ottenere questo legame?

In realtà non penso che l’Università apra la strada al mondo del lavoro. Focalizzarsi su questo vuol dire seguire una falsa pista: nessuno può aprire la strada al mondo del lavoro se il lavoro non c’è. E il lavoro non c’è. Io credo piuttosto che ci sia bisogno di una grandissima formazione a prescindere. Ti faccio un esempio: durante i giorni in cui ho seguito l’elezione del Capo dello Stato passavo le mie giornate a Montecitorio cercando di capire le dinamiche complesse che si stavano delineando. A un certo punto ho sentito il bisogno di staccare e ho deciso di seguire un seminario di Terzopoulos, un regista greco formidabile, sulla tragedia greca e su come recuperare un senso di collettività attraverso l’ascolto degli altri. Posso dire che ho attinto più informazioni sulla situazione politica italiana da quei due giorni passati al seminario  piuttosto che dalle interviste fatte in Parlamento. Se tu “stacchi” da quello che devi fare e ti dedichi a una cosa che ti piace e che è importante per te come persona allora puoi trovare una voce nuova, una nuova prospettiva.

Riguardo alla formazione di un giornalista, il direttore de La Stampa Mario Calabresi, in un intervista rilasciata qualche anno fa, dichiarò che il futuro è nella settorializzazione: un giovane giornalista deve scegliere qualcosa in cui specializzarsi e da lì cercare di approfondire. Lei ci parla di mantenere un orizzonte più ampio…

Io non sono d’accordo con la specializzazione, anzi sono stata sempre fieramente contraria. Penso che ciascuno di noi debba avere una formazione tale da poter comprendere un po’qualunque cosa – o meglio, avere gli strumenti per provare ad approfondire qualunque cosa. Dobbiamo metterci nelle condizioni di base che ci servono per capire un incontro di boxe, un G8 sul piano di risanamento dell’Europa e una finanziaria. Ad esempio, durante le Olimpiadi di Londra ho scritto un pezzo che ha riscosso molto successo sugli atleti italiani di taekwondo: non avevo nessuna formazione o conoscenza particolare della disciplina e proprio per questo sono riuscita a cogliere degli aspetti diversi della storia di questi campioni che altrimenti avrei trascurato.

Twitter: @ponyilcasoche

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