Cultura

Genio e irrequietezza: Michelangelo, un artista profondamente moderno

Non ha l’ottimo artista alcun concetto
c’un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all’intelletto.

Il mal ch’io fuggo, e ’l ben ch’io mi prometto,
in te, donna leggiadra, altera e diva,
tal si nasconde; e perch’io più non viva,
contraria ho l’arte al disïato effetto.

Amor dunque non ha, né tua beltate
o durezza o fortuna o gran disdegno,
del mio mal colpa, o mio destino o sorte;

se dentro del tuo cor morte e pietate
porti in un tempo, e che ’l mio basso ingegno
non sappia, ardendo, trarne altro che morte.

In questo sonetto, dedicato alla marchesa amica Vittoria Colonna, Michelangelo Buonarroti (6 marzo 1475 – 18 febbraio 1564) sembra dichiarare la propria idea di arte, che lo accompagnerà per tutto il corso della vita: il grande artista deve soltanto liberare le idee dai blocchi di marmo, il quale contiene già dentro di sé l’opera, in potenza, prima ancora che venga alla luce.

Artista profondamente umanistico, volto ad un costante recupero delle forme della classicità, che gli saranno d’ispirazione a partire dalla sua primissima formazione alla bottega fiorentina di Domenico Ghirlandaio, all’età di soli quindici anni, successivamente Michelangelo è riuscito a maturare una profonda cifra stilistica personale, trascorrendo gran parte della sua lunga vita, a mio parere, ossessionato dall’idea che i tratti della sua poetica dovessero emergere incontrovertibilmente da tutte le sue opere.

In un contesto storico in cui il peso delle committenze religiose rischiava di azzerare il principio della libertà creativa, quest’ossessione, di carattere quasi pre-romantico, emerge dirompente nella soggettività delle opere dell’artista toscano, sempre coinvolto in una costante ricerca di una profonda spiritualità, e più generalmente impegnato in un’indagine attenta dei rapporti umani. Rivoluzionario il suo canzoniere di Rime che, pubblicato postumo, per secoli si è creduto dedicato ad una donna, ma che in realtà ha diversi testi dedicati anche a uomini, tra cui l’amico Tommaso de’ Cavalieri, con il quale Michelangelo era legato da un rapporto profondamente sentimentale. La probabile omosessualità dell’artista di Caprese emerge anche dall’attenzione costante per il nudo maschile, realizzato naturalisticamente nelle sue forme (sia i genitali che le masse muscolari), spesso a discapito del tralasciato nudo femminile: non un nudo classico, da cui doveva risultare soltanto la bellezza e la precisione delle forme, ma un nudo ostentato, in cui sembra emergere un coinvolgimento emotivo da parte di Michelangelo stesso.

Diventa particolarmente difficile immaginare come in un blocco di marmo potessero già essere presenti le figure della Pietà, oggi a San Pietro in Vaticano. Schema classico, quello della pietà, ma quella di Michelangelo si caratterizza per una coesione tra equilibrio formale e significato di grande profondità: la Madonna è giovane, perché giovane era quando ha concepito il Cristo; il corpo di Gesù non è orizzontale, ma si appoggia con una naturalezza sorprendente sulle braccia di Madonna; il drappeggio del vestito di Maria è reso ancora più reale dal chiaroscuro, che carica l’opera di intensità drammatica. Un’opera realistica impressionante, ma al contempo decisamente irreale, capace di trasmettere ancora oggi, dopo oltre cinquecento anni, un senso di drammaticità, ma al contempo anche di pacatezza.

Irrequietezza e cifra stilistica marcatamente personale sono le caratteristiche che connotano anche un altro celebre blocco scultoreo michelangiolesco: il Mosè, parte del complesso del Mausoleo di Papa Giulio II, a San Pietro in Vincoli a Roma. Se la visione della Pietà non può non trasportare lo spettatore in una condizione di empatia con la scena rappresentata, il Mosè invece suscita alla vista un sentimento di agitazione, quasi di paura. Una statua di una possanza immensa, con il volto girato in persona dallo stesso artista (solo Michelangelo poteva girare il viso di una statua!), con un’azione volta a proteggere le tavole della legge tenute nell’altra mano, lo sguardo “terribile”, rivolto verso coloro che stanno entrando nella chiesa, un piede inarcato verso l’alto, che dà carica dinamica a tutta la scultura. Leggendaria, ma quanto meno verosimile, l’affermazione che Michelangelo avrebbe pronunciato a scultura completata: «Perché non parli?». Affermazione che potrebbero sottoscrivere anche i moderni visitatori, che nel contemplare il volto del patriarca biblico rivedono i lineamenti dello stesso Michelangelo, cogliendo così il suo animo fiero, irrequieto e terribile.

Michelangelo è stato, a mio parere, un artista profondamente moderno almeno per due ragioni. In primis, ha sempre cercato di vivere delle sue opere, cercandosi personalmente le committenze, realizzando sculture e pitture con l’idea di venderle per poterne trarre profitto. Ossessionato per tutta la vita dall’idea di dover sopravvivere con la propria arte, tanto da essere costretto ad una vita di stenti (come testimonia il Vasari nelle sue Vite), ha incarnato la figura dell’artista che vuole vivere della propria arte, mettendosi in gioco sempre in prima persona. Inoltre non si è mai limitato ad una mera osservazione di dettami, anche di carattere religioso, ma ha sempre cercato di reinterpretare con cifre stilistiche personali tutto ciò che passasse sotto le sue mani, fosse una tela, un blocco di marmo oppure un foglio bianco. Un inscindibile binomio, l’essere uomo e artista, profondamente moderno, che ha fatto di Michelangelo una figura decisamente sopra le righe del suo secolo.

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