Arte

Philippe Daverio: una pennellata fuoriuscita dai confini della vita

Sono molti i fattori che, combinati, contribuiscono a delineare l’identità di un Paese: fattori linguistici, geografici, economico-finanziari, culinari. Un Paese è la sua bandiera, i suoi monumenti, le sue città d’arte, la sua conformazione territoriale, le sue usanze radicate da secoli e gelosamente preservate; un Paese è il suo popolo, e in esso spesso spiccano personaggi indimenticabili, il cui inestimabile valore umano ha la capacità di incrementare il senso di fierezza e di appartenenza tra i connazionali, di acuire il legame affettivo che li unisce alle comuni radici.

Questo 2 settembre 2020 ha confermato come Philippe Daverio ricoprisse a pieno titolo questo ruolo per l’Italia. Omaggi, commiati, parole commosse di colleghi che la passione condivisa ha trasformato in amici di una vita; aforismi incisivi e autentici hanno lambito negli scorsi giorni il pensiero di miliardi di persone e colorato la loro memoria con l’immagine vivace e curiosa di questo omino dagli occhiali tondi e papillon sgargianti. Impossibile e inadatto si rivelerebbe il tentativo di racchiudere sotto un’unica etichetta l’essenza di un individuo così poliedrico: storico dell’arte, critico, gallerista, editore, politico nel ruolo di assessore con le deleghe alla Cultura, al Tempo Libero, all’Educazione e alle Relazioni Internazionali, personaggio televisivo, docente universitario eccetera.  Una voce nota, insomma, capace di parlare agli uomini, di riscaldare la sede dell’interesse, di solleticare le corde della curiosità e poi di farle vibrare alla volta del desiderio di conoscenza. Un volto coerente, esemplare di come un credo possa tradursi in pratica quotidiana di vita, di come un ideale, se fermamente sentito, possa invadere spontaneamente la totalità dell’essere di un individuo. Sono stati i suoi, settantuno interi anni di interessi, studi, progetti, battaglie, conquiste dipanantesi attorno ad un unico centro focale: l’arte. Un’arte comprensibile, comunicativa, distinguibile nei vari contesti spazio-temporali e, insieme, cosmica, in virtù di attributi specifici ma polivalenti; un’arte europeista e cosmopolita, varia ed unitaria al tempo stesso, perché ispirata a codici e valori universali; un’arte che supera i confini e che rappresenta un bene comune da condividere. Esemplificativa dell’avversione daveriana per una concezione elitaria dell’arte, si è rivelata l’iniziativa da lui intrapresa in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’unificazione italiana: in tale circostanza venne sancito l’atto di nascita del movimento d’opinione Save Italy, che concilia l’obiettivo di salvaguardare l’eredità culturale italiana e quello di sensibilizzare i cittadini del mondo, beneficiari e “proprietari” alla pari degli italiani di tale patrimonio artistico (come vuole sottolineare, fra l’altro, la denominazione inglese conferita al movimento).

daverio 5

Ciò non implica il mancato riconoscimento della specificità della disciplina artistica, la quale si differenzia tanto da quella letteraria quanto da quella musicale, poiché unica, secondo Philippe Daverio, ad essere dotata del requisito dell’immediatezza, a non necessitare di interpretazione o traduzione, né di tempi di riproduzione: l’arte è in grado di parlare a ognuno e ad ognuno può comunicare contenuti e sensazioni differenti, eppure in ogni caso corretti. La maggiore densità dell’opera d’arte risulta infatti direttamente proporzionale all’ampiezza di letture a cui quest’ultima può essere sottoposta.

Reduce da studi universitari, condotti presso la facoltà di Economia e commercio all’Università Bocconi di Milano e mai sfociati nel conseguimento del diploma di laurea, Philippe Daverio ha sempre difeso il valore primigenio e autentico del sapere rispetto alla superficialità dei titoli e all’annacquatura delle mode: «in quegli anni si andava all’università per studiare, non per laurearsi». Si trattò di anni determinanti per lui nel riconoscimento dell’arte come centro gravitazionale dei propri interessi e nel processo di acquisizione di quella cultura e dottrina personali che lo hanno reso un abile intrattenitore, capace di arricchire e unire sotto un segno comune un pubblico variegato. «Il compito mio e dei critici è di dare un’indicazione ulteriore; spiegare che con qualche piccola conoscenza in più è possibile anche divertirsi e approfondire maggiormente, destreggiarsi meglio» aveva rivelato nel corso di una conferenza per la presentazione di uno dei suoi numerosi libri.

Philippe-Daverio-4

Da ciò l’invito del critico alsaziano, ripetutamente formulato nel corso dei suoi interventi, rivolto alla trasformazione gratuita dei musei, alla riscoperta delle pinacoteche in quanto regni di inestimabile ricchezza, alla lentezza della contemplazione e all’investimento qualitativo del tempo impiegato nella fruizione dell’opera. La distinzione tra l’umanità e le altre specie animali è insita nel diverso rapporto che queste rispettivamente intrattengono con il regno dei morti: l’uomo possiede la memoria di appartenenza alla specie ed è questo requisito a giustificare l’essenza stessa del museo. L’accesso al museo sancisce il contatto con l’infinito mondo della cultura umana, istituisce un dialogo con migliaia di anni di passato e concede parimenti all’immaginazione di sperare in un futuro. L’immagine diviene testimone della storia della cultura, della storia dell’uomo. Per tale ragione è fondamentale guardare le opere d’arte.

Dopo una vita spesa interamente a beneficio dell’arte, Philippe Daverio ha continuato a persistere sul terreno della metafora artistica anche nel descrivere l’inesorabile momento conclusivo della parabola vitale: «La vita è come un quadro, pieno di pennellate che vanno nel verso giusto, ma ce n’è sempre una che, nonostante l’attenzione del pittore, esce dai confini, macchia il pavimento: ecco, quella è la morte, ineluttabile, fatale, uno strascico blu nell’infinito magniloquente e fantasmagorico, un’esplosione oltre la cornice che tutti vivremo (o moriremo), polvere barbaramente bistrattata quantunque paventasse un volo pindarico». Ed è così, come una pennellata giunta al termine e fuoriuscita dai confini della vita, che lo immaginiamo oggi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *