Letteratura

Considerazioni sul “Teorema” pasoliniano

Teorema è un’opera composita e multiforme, realizzata da Pier Paolo Pasolini nel 1968 in veste sia letteraria sia cinematografica. Questo breve articolo si propone nello specifico di fornire una lettura, in maniera non esaustiva, della forma letteraria di Teorema (il termine romanzo, come vedremo, viene evitato di proposito in riferimento a quest’opera), tenendo conto del suo carattere molteplice.

Il titolo dell’opera riassume già in sé l’assolutezza e l’esemplarità di cui i fatti narrati sono impregnati, fornendone una chiave interpretativa ancora prima di cominciare la lettura. L’opera narra in sostanza dell’iniziazione sacrale esperita da parte dei membri di un mediocre nucleo familiare borghese per effetto dell’irrompere nella loro intimità di un misterioso Ospite. Lo sconvolgimento che questa figura straordinaria porta nella vita dei protagonisti passa attraverso una dimensione fortemente carnale; la rivelazione dalle valenze religiose si realizza infatti nel distacco da ogni norma sociale a favore del totale abbandono a una sessualità primitiva e istintiva.

Il racconto si articola in due parti distinte, separate da un’appendice alla parte prima, per un totale di 197 brevi capitoli, dei quali cinque interamente in versi. Nella prosa si inseriscono poi numerosi inserti di varia natura, riferimenti letterari e commenti autoriali. Inoltre, per la stessa genesi dell’opera, la narrazione è fortemente influenzata dall’arte cinematografica, avvalendosi delle movenze di una sceneggiatura.

Il primo capitolo porta il titolo Dati, termine significativo in apertura di un racconto dai contenuti più simbolici che fattuali. Immediatamente Pasolini annuncia di voler fare una «descrizione» della vita milanese di una famiglia appartenente alla classe ideologica della piccola borghesia, di un nucleo familiare composto da individui assolutamente non eccezionali. L’orizzonte di attesa che il titolo del capitolo può aver creato nel lettore viene in qualche modo smantellato già a partire dal secondo paragrafo, nel quale, con estrema eleganza, l’autore introduce il primo sintomo di quell’ambiguità di fondo che percorrerà la linea spaziale, temporale e narrativa di tutto il libro. L’incertezza, in questo caso sul paese dal quale il suono delle campane proviene, è destinata infatti ad ampliarsi e a velare l’intero tessuto narrativo di un alone di incollocabilità e quindi di universalità; sintomatico questo dell’intenzione di Pasolini di scrivere non un romanzo ma una parabola, ovvero una breve narrazione portatrice di un insegnamento morale o religioso.

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Tanto è vero che questa storia non ha alcun interesse a seguire un andamento cronologico come farebbe invece un testo narrativo strutturato in maniera più tradizionale; anzi la gabbia temporale è scardinata in maniera esplicita e quasi ludica. I primi capitoli che danno l’avvio alla narrazione, presentando in progressione i vari personaggi, si collocano in un mezzogiorno quasi sospeso, in una stagione «imprecisata»; e gli eventi di tutto il libro si legano reciprocamente sulla base di rapporti temporali arbitrari e turbati. Si vedano ad esempio le annotazioni dubbiose in apertura di capitolo («Passa qualche tempo?») e le parentesi extradiegetiche aperte e commentate in prima persona dall’autore-narratore («Questa sera è precedente o seguente al giorno in cui è accaduto il fatto dell’Emilia? Può essere precedente o seguente: ciò non ha alcuna importanza»), a rimarcare l’intenzionale atemporalità di un racconto del quale i fatti, «compresenti e contemporanei», sono inseriti in una dimensione sacrale di universalità.

L’esposizione dei «dati» abbraccia il lasso narrativo che va fino al capitolo sesto (La fine dell’enunciazione, appunto), articolandosi come si accumulerebbero le informazioni all’interno di un referto scientifico, più che di un racconto letterario. Questo accumulo si realizza senza però operare una ricerca di realismo: ogni notizia data sull’identità dei protagonisti riporta a qualcosa di altro, assumendo un valore simbolico in quella che, come abbiamo detto, si propone di essere una parabola religiosa. Vengono singolarmente introdotti i vari membri della famiglia protagonista, a partire dal pater familias, Paolo, del quale il nome, già di per sé significativo per l’intrinseco rimando biblico, non viene immediatamente esplicitato. Il nome del padre verrà anzi svelato molto più tardi, in apertura del venticinquesimo capitolo, Da possessore a posseduto (titolo significativo del superamento della condizione borghese), nel quale anch’egli subirà, come tutti gli altri membri della famiglia prima di lui, l’iniziazione spirituale da parte dell’Ospite, con il quale intratterrà un rapporto omosessuale.

Tutte le figure che abitano la casa attorno alla quale si svolge la vicenda (compresa la domestica, Emilia) proveranno infatti un sentimento di irreprimibile attrazione nei confronti dell’Ospite, il quale fa la sua «apparizione» nel capitolo sesto (pur essendo preannunciato implicitamente dal vuoto creato tra la presentazione dei primi cinque personaggi e quella del postino Angiolino, «settimo personaggio del nostro racconto, o per dir meglio, una specie di jolly»). L’Ospite si caratterizza fin da subito per la sua non ordinarietà e soprattutto per la sua inclassificabilità sociale, distinguendosi da tutti i personaggi presentati finora. Questa eccezionalità si manifesta nell’aspetto fisico del personaggio, «straordinario prima di tutto per bellezza». Tutti i membri della famiglia consumeranno con lui un rapporto sessuale: la domestica Emilia, i figli Pietro e Odetta, la madre Lucia e, infine, Paolo. Il rapporto (dai connotati fortemente religiosi) che si instaura tra i vari membri della famiglia e l’Ospite sarà, da un lato, di disperata e devota adorazione, dall’altro, di rassicurante e paterna condiscendenza; e l’atto carnale assume per i protagonisti al contempo valore salvifico e iniziativo: lo svelamento della nudità comporta e permette la rivelazione di un’umanità emancipata dal fardello dell’apparato ideologico borghese.

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Al termine della Parte prima l’Ospite comunica la sua imminente partenza (significativo come sia il suo arrivo sia la sua partenza vengano annunciati mediante un telegramma portato da Angiolino); evento che costituisce uno spartiacque strutturale e narrativo all’interno del libro. La seconda parte del racconto si articola in una serie di Corollari, i quali osservano le azioni dei singoli protagonisti conseguenti all’avvenuta rivelazione e al definitivo allontanamento dell’Ospite: la follia e la totale chiusura nei confronti del mondo di Odetta; l’espressione della foga artistica di Pietro; la perdizione di Lucia nel cieco tentativo di ritrovare ciò che è perduto. Emilia, ad eccezione di Angiolino (che, come abbiamo sottolineato, è una sorta di personaggio «jolly»), è l’unica figura del nucleo familiare non appartenente alla dimensione borghese e per questo il suo destino si distingue da quello degli altri personaggi. Ritornata al suo paese di origine, la domestica si imporrà un ascetico processo di purificazione e raggiungerà una condizione di miracolosa santità, terminando il suo percorso sepolta da una scavatrice in una profonda buca, dalla quale sgorgheranno salvifiche le sue lacrime. Il padre invece, dopo aver donato la propria fabbrica agli operai che vi lavorano, si spoglierà della propria condizione borghese privandosi fisicamente di tutti i propri vestiti e aggirandosi così sulla pensilina della stazione centrale di Milano. I versi che chiudono il libro riportano la voce, anzi l’urlo, di Paolo, che nudo cammina nel deserto: paesaggio biblico che nella sua nudità e universalità ha un fortissimo valore simbolico e che si inserisce in un rapporto di chiara contrapposizione rispetto non solo alla Milano in cui la vicenda è ambientata, ma anche all’intera società umana.

«Dio fece quindi piegare il popolo per la via del deserto.»

                                                                                 Esodo, 13, 18

 

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