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Intervista a Carla Stracci: l’arte della Drag Queen (terza parte)

Ecco la terza e ultima parte dell’intervista a Carla Stracci. La favolosa artista pavese ci rivela la sua realtà da protagonista del mondo artistico, dinamico ed emozionante delle drag queen. Figura di spicco nelle esibizioni da palcoscenico regionale e nazionale, Carla risponde ai nostri interrogativi e si racconta dal cuore della sua vita artistica.

Chi è Carla Stracci?
Carla è una Drag Queen che si autodefinisce la figlia illegittima dell’étoile della Scala, quindi in realtà, essendo la figlia mai riconosciuta, sono “l’e-toilette del sottoscala”. Se mia madre ha studiato danza classica, io al massimo mi posso attaccare al palo e far girare la borsetta. Bionda e scema sono dei tratti distintivi del mio carattere e soprattutto ho i “globuli biondi” non i globuli bianchi. Un’artista fallita completa o completamente fallita.

Come hai conosciuto il mondo delle Drag Queen e com’è nata la passione per lo spettacolo?
Attraverso degli spettacoli che avevo visto a Pavia nei locali e che mi avevano sempre affascinato. C’era una grande capacità nell’interpretare una maschera che, in realtà, prendeva vita in un modo portentoso e mi sono chiesto quanto studio e quanta preparazione ci fosse dietro alla costruzione di un personaggio. Poi, combinazione vuole che, a Pavia, nell’associazione Arcigay ci fosse un gruppo di Drag Queen molto ruspanti che stavano cercando nuovi adepti: da cosa nasce cosa ed è nata Carla Stracci!

Perché hai scelto di diventare una Drag Queen?
Perché ho sempre avuto voglia di interpretare qualcos’altro che non fosse solo me stesso. Io vengo dalla danza e l’arte mi è sempre piaciuta, però la libertà di poter fare delle cose che, forse senza un tacco e una parrucca, non sarei mai riuscito a fare e a dire in un certo modo, con un certo tono o con una certa forza, mi ha dato la spinta per far nascere questa idea. Poi la necessità, nel gruppo in cui sono nata, di trovare qualcuno che partecipasse attivamente mi ha spinto a propormi prima come ballerino e poi ad essere trascinato nel provare qualcosa d’innovativo come la Drag Queen, e da quel momento non mi ha fermato più nessuno.

Quali sono le doti che deve avere una Drag Queen per emergere e farsi ben volere dal suo pubblico?
Una fortissima presenza scenica e una grande capacità di studio; se non si studia non si va da nessuna parte in tutti i sensi, soprattutto nell’arte. Bisogna avere il fuoco sacro o la scintilla certo, ma quella non basta, bisogna studiare tanto e coltivarla. Senza una presenza scenica non si riesce a fare nulla. Non importa essere ballerini favolosi, interpreti drammatici e pazzeschi o essere al top di tutto. Fare la Drag Queen vuol dire fare tante cose, ma avere una forte personalità e una grande presenza scenica in grado di far ridere facendo anche solo due espressioni.

Che consiglio daresti a chi vuole intraprendere il tuo percorso?
Studiare, studiare, studiare, studiare. Non vuol dire fare per forza corsi di teatro o di trucco, certo sono cose utili che possono servire, ma non sono obbligatorie. Non bisogna pensare di essere arrivati al proprio obiettivo dopo il primo spettacolo, non arrendersi, non pensare che i complimenti degli amici siano veramente il traguardo. Il traguardo lo poniamo noi e sappiamo perfettamente cosa dobbiamo migliorare e quanto possiamo fare di più. Bisogna sapersi anche affidare a qualcuno che ha più esperienza, che non ha remore a “cazziare”, ma anche a consigliare nel modo giusto, senza tagliarti le ali. Guardare ciò che c’è già e non pensare che ciò che è già stato fatto è stato fatto male da chi ci ha preceduti perché forse, se possiamo farlo oggi è perché qualcuno ci ha dato la possibilità di farlo. Libertà di costruirsi da zero un personaggio, cercare quello che non è ancora stato fatto e in cui possiamo eccellere al meglio. Chi ha enormi doti canore può cantare dal vivo invece che in playback e nel frattempo curare l’immagine. Venire dal mondo della danza è un enorme vantaggio, ma non bisogna arrendersi mai e continuare a mettersi in gioco. Infine, quando si realizza che si portano in scena sempre le stesse cose e che ci si annoia, allora bisogna reinventarsi e rimettersi in gioco.WhatsApp Image 2018-06-28 at 13.46.46

Ci sono stati dei pregiudizi da superare e quali?
Tantissimi, innanzitutto perché all’interno della comunità LGBTI chi fa la Drag Queen viene vista come un paria o come qualcuno da evitare, a meno che non ci siano degli appassionati. Questo accade perché non si riesce a scindere il fatto che una Drag si metta un tacco e una parrucca soltanto per fare uno spettacolo e che questo personaggio non appartenga alla vita quotidiana di tutti i giorni. Si pensa che questo possa in qualche modo minare “l’immensa mascolinità” che ci contraddistingue. Purtroppo, molte persone della comunità anche sui social, quando palesi la tua attività artistica di Drag Queen, mostrano del ribrezzo. Molti eterosessuali invece, apprezzano il personaggio e apprezzano tutte queste peculiarità, per questo motivo si arriva molto più facilmente e in modo molto più immediato alla gente. Spesso, questi ultimi dicono delle cose che non direbbero ad una persona che non è nelle vesti di una Drag Queen. È vero anche che chi non ha una conoscenza di questo tipo d’arte e di spettacolo s’immagina chissà cosa di squallido, di morboso, di sessualizzato e frainteso. Anche i miei genitori hanno fatto molta fatica a capire cosa facessi.

Da cosa nasce il pregiudizio che la gente ha sulle Drag Queen?
Dalla mancata conoscenza. In tanti ambiti la paura di quello che non si conosce può creare delle difficoltà. Il fatto che l’uomo si vesta da donna in una società etero normata è un problema perché si degrada il proprio status di “superiorità” maschile nei confronti del “sesso debole” femminile. Al giorno d’oggi, spesso si vede la femminilizzazione di un uomo, anche per motivi artistici, come una forzata sessualizzazione, dove il ruolo femminile è associato all’enfatizzazione della sfera sessuale. È importante ricordare, però, che questa forma d’arte esiste dall’antica Grecia, dove gli uomini recitavano parti femminili anche in vesti da donna e ciò è parte integrante del patrimonio storico-teatrale. Credo che spesso ci si dimentichi della nostra storia e di tanti attori bravissimi che hanno recitato travestiti per motivi artistici. Non ci si può rifare alle forme d’arte canoniche attuali per considerare l’arte della Drag come qualcosa di volgare, squallido o sessualizzato. Quindi quello che spiace è che spesso non ci si ricorda neanche da dove siamo venuti.

Tanti pregiudizi e spesso confusi, ma aiutaci a fare chiarezza: qual è la differenza tra transessuali e Drag Queen?
La differenza è soprattutto tra transessuali, travestiti e Drag Queen. C’è una differenza immensa, la persona transessuale non si riconosce, del tutto o in parte, nell’immagine che vede di sé. Non riconosce che il suo corpo, o parte di esso, corrisponda alla propria identità di genere e quindi intraprende un percorso di cambiamento e di adeguamento della propria immagine corporea perché nella vita di tutti i giorni non si sente a proprio agio nel corpo in cui vive. Una persona transessuale, fino a quando non raggiunge l’obiettivo di avere un corpo che assomiglia all’idea che ha di sé stesso/a, non sta bene e quindi deve per forza vivere ogni giorno questa forma di disagio. Questo status si risolve solo quando una persona decide che il cambiamento è arrivato al punto in cui permette a sé stessa di sentirsi a proprio agio. La transizione di una persona transessuale spesso dura un’intera vita, ma non è qualcosa che si può mettere da parte la sera: è una condizione quotidiana. Il travestitismo invece è un feticismo, ossia quando una persona indossa panni dell’altro sesso per provare piacere a prescindere dall’identità di genere e del suo orientamento sessuale. La Drag Queen è una forma artistica, una persona che indossa i panni dell’altro sesso e lo fa solo per motivi di spettacolo, vale a dire che indossa parrucca, tacchi e trucco in viso per stare in scena. Finito il motivo dello spettacolo ci si strucca, “sparrucca” e si torna ad indossare i panni della vita di tutti i giorni, esattamente come un personaggio teatrale o un attore. La Drag Queen è un hobby che si fa in determinati contesti di spettacolo come serate, cabaret in pizzeria piuttosto che alcuni eventi particolari, ma non di certo nella quotidianità. Una persona transessuale non si traveste: è effettivamente donna o uomo pur essendo nato del sesso opposto e quindi tutti i giorni è sé stesso/a. Non dimentichiamoci inoltre, che una persona trans non si vestirà mai come una Drag che è sempre un eccesso, un caratterizzare in modo folcloristico ed in modo esagerato alcune caratteristiche femminili o maschili, quindi con trucchi esagerati e sgargianti, tacchi altissimi, parrucche enormi e molta visibilità.

Abbiamo parlato dei tanti lati positivi del mondo dello spettacolo Drag, ma ci sono dei lati che non ti piacciono?
Non mi piace che spesso ci sia poco clima di sorellanza. C’è molta poca intelligenza emotiva e ciò è dannoso per i rapporti tra colleghe. Il mercato è in crisi e tutte sgomitano per avere una serata in più, ma questo dovrebbe far alzare il livello artistico e la competizione in modo sano, non certo per distruggere quello che si tenta di fare in un modo buono e bello. Io ho tentato sempre di costruire e non di distruggere e non sempre ci sono riuscito. È difficile ritrovare, come in altri contesti, il clima di sorellanza o di “Mother-Drag” che c’è in America. C’è una cultura molto diversa, afroamericana, nera, gay, trans e Drag che è anche molto più presente ed accogliente, contraddistinta dall’essere una casa ed una famiglia unita. In Italia prevale una cattiva competizione. Bisogna stare assieme ed essere comunità, altrimenti non si va da nessuna parte.

C’è stato un momento in cui hai pensato di mollare tutto?
No, mai, neanche un secondo. C’è qualcuno che mi ha detto, ma perché continui? Continuo per una semplice questione: se una cosa mi piace, mi fa star bene e non fa male a nessuno non vedo perché dovrei smettere. Rimane una parte che mi dà felicità, che mi riempie la vita di creatività, qualcosa di mio su cui nessuno ha mai potuto mettere paletti e che posso gestire come voglio e quando voglio, è proprio la forma più alta di libertà che ho potuto esercitare nella mia vita.

Le Drag Queen sono personaggi in continua evoluzione. Quali sono le idee per il futuro del tuo personaggio?
In realtà, come tante che iniziano prima a voler essere soltanto favolose e belle, anche io inizialmente mi rispecchiavo in questo desiderio. Poi ho capito che in realtà potevo dare e dire qualcos’altro, ossia far sorridere e ridere. Da quel momento, ho incominciato a giocare un po’ sulla mimica facciale, sul fatto di poter avere una presenza sul palco che non fosse solo quella della sexy di periferia e ho deciso di puntare più sul lato comico e che quello doveva diventare uno dei tratti distintivi e più iconici di Carla. Successivamente ho deciso di investire un po’ di più sull’immagine, migliorando il trucco e il look. Insomma, si cresce e si cerca sempre di portare qualcosa di nuovo in scena, anche nuovi personaggi e ho persino provato a fare l’impersonator. Infine, si mischiano un po’ tutte le esperienze per maturare un personaggio dinamico e per offrire tanti tipi diversi d’intrattenimento artistico.

Diventare Drag non è un percorso semplice. C’è qualcuno che devi ringraziare che ti ha supportato in questa tua crescita?
Io devo ringraziare più persone che mi hanno accolto in Arcigay Pavia anche come Drag e che sono state la mia prima vera famiglia, nella quale sono nata artisticamente. Sorelle Drag scoppiate, sciroccate e allo sbaraglio, ma con un gran senso di stare insieme senza competere. Un bellissimo clima, in cui si potevano condividere tante cose oltre al fatto di fare spettacolo. C’è stata una grande sorellanza in una comunità molto “sui generis”. Devo ringraziare anche chi mi ha detto di fare il salto e di non limitarmi a un contesto piccolo e locale perché ha vis dato la spinta per far nava portare ad un palcoscenico più grande e un pubblico più importante. Drag che mi hanno invitato a farmi vedere e chi mi ha dato dei consigli importanti. Devo ringraziare un sacco di persone che non mi hanno tarpato le ali, ma mi hanno permesso di volare.

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