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Goya in mostra: «Follia e ragione all’alba della modernità»

El sueño de la razón produce monstruos e questi mostri, disegnati, sono arrivati a Pavia, sotto forma di 200 opere create dall’autore della celebre frase, ed esposte al Castello Visconteo.

Inaugurata il 31 marzo, «Goya. Follia e ragione all’alba della modernità» resterà aperta fino al 24 giugno e per chi ha meno di 26 anni il prezzo del biglietto è di 4 euro.

Premessa importante per coloro che immaginano dipinti vivaci o delicati ritratti è che qui non ne vedranno. Il Goya che viene mostrato è quello dei grandi Tu-que-no-puedes-Non-si-puo-Caprichos-42-Goyacicli grafici, un mondo in bianco e nero realizzato ad acquaforte, acquatinta, puntasecca e bulino. Ma proprio questi ultimi lo hanno reso, allo schiudersi dell’Ottocento, l’innovatore geniale e anticonformista che ha aperto la via ad un nuovo modo di intendere l’arte.

Per la Spagna della seconda metà del Settecento, Francisco de Goya y Lucientes fu il pittore per eccellenza, nominato addirittura da Carlo IV Pintor de Cámara del Rey. Ciononostante, non restò indifferente allo scandalo di quella stessa società che lo aveva reso importante, e reagì concependo nel 1797 I Capricci: in 80 incisioni, con due tonalità e una fantasia senza briglie, sviluppa una satira all’eterna miseria umana vista attraverso i costumi del suo tempo.

Dal momento che per arrivare al tema prescelto l’incisore segue tragitti inusuali e sghembi, decisivo è il ruolo dei titoli annessi, ma che, sfortunatamente, per il fruitore moderno non sufficienti a comprendere gli argomenti in questione, rendendo necessaria la lettura di un blocchetto con le spiegazioni.

L’impressione che ne risulta è che il tema prevalente sia Hieronymus_Bosch_-_Triptych_of_Garden_of_Earthly_Delights_(detail)_-_WGA2516in ultima analisi il senso del grottesco. L’ambito del mostruoso e del minaccioso è sempre stato caro all’Arte e l’esempio più famoso arriva dall’olandese Hieronymus Bosch, attivo nella seconda metà del 400, i cui dipinti, costellati di figure simboliche e inquietanti, suscitarono molto interesse in Spagna. Se tuttavia nelle visioni di Bosch il bene e il male trovano ciascuno il proprio posto, nei Capricci non c’è neanche un mondo buono che contrasta uno cattivo. Il pittore che ha dipinto le Maja desnuda e vestida, capace di quadri luminosi, colorati e belli fa in questa occasione qualcosa di quasi sgradevole, ma rivoluzionario, perché anticipa la deformazione come mezzo di espressione di un malessere, che tornerà a inizio ’900 con Munch e l’avanguardia tedesca del Die Brücke.

Goya si preoccupò di ribadire che i Capricci erano un’opera di pura fantasia (come diremmo noi oggi, ogni riferimento a fatti  e/o a persone era da ritenersi puramente casuale) e chiese agli intenditori di scusarne le mancanze in quanto, se già l’imitazione della natura è difficile e ammirevole, dovrebbe essere a maggior ragione oggetto di stima colui che “allontanandosi del tutto da essa, fu costretto a esibire forme che fino a quel momento esistevano solo nello spirito umano, oscurato e confuso dalla mancanza di rischiaramento o surriscaldato dalla sfrenatezza delle passioni”. Ovviamente, niente di tutto questo era vero e i suoi contemporanei non tardarono ad accorgersene, al punto che il Tribunale dell’Inquisizione decise di ritirare l’opera dalla circolazione.

I Capricci non ci dicono molto sulla nostra società, e parte dei vizi non li riconosciamo neanche: fortunatamente alcuCon-o-senza-la-ragione-Con-razon-o-sin-ella-With-or-without-reasonne pratiche si sono estinte. Quello che è attuale e rischia di esserlo sempre è il ciclo successivo, i “Disastri della guerra”, che prendono spunto da una guerra per noi semisconosciuta, l’invasione della Spagna da parte dell’esercito napoleonico, ma che poi riescono ad andare al di là del contingente grazie al fatto che, oltre alle sofferenze del popolo, mostrano anche le violenze compiute dagli stessi contadini spagnoli. Come a dire che la guerra è inutile e sbagliata a prescindere da chi compie le atrocità.

La terza serie esposta, Le follie”, dipinta da un Goya ormai anziano e da tempo sordo per una misteriosa malattia, è ancora più oscura da comprendere. Una stampa in particolare cattura lo sguardo, grazie alla bellezza di un cavallo bianco che si staglia su sfondo nero. Tra lo stupore generale, una donna sembra stare in equilibrio sulla groppa dell’animale, che poggia gli zoccoli su una fune. Solo se si guarda con più attenzione si nota che la fune è però appoggiata a terra: non dobbiamo quindi lasciarci ingannare.

“Le tauromachie” concludono il percorso, mostrando in tutto il suo splendore la rilevanza che aveva la corrida all’epoca. Ma, dopo aver visto 200 stampe sui terribili costumi settecenteschi e su violenze di ogni genere, sorge il dubbio che questa sia solo un’ulteriore follia umana.

In4961 mezzo a tanti disegni ignoti, spicca un’opera famosissima: è Il sonno della ragione, che, uscendo dai confini dei capricci, è diventato opera a sé e poi addirittura simbolo, quasi universale, delle conseguenza dell’ignoranza, che spesso citiamo davanti agli orrori dell’uomo. Dal vivo non sembra invece così straordinario e la famosa frase è anche sbiadita: il suo potere non ha quindi a che vedere con l’opera d’arte in quanto tale, ma con la forza dell’idea che Goya, artista e insieme razionalista, è riuscito a concretizzare.

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