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I pittori di Oliver Sacks: due racconti

L’interazione tra cervello umano e stimoli circostanti può produrre straordinarie forme d’arte. Ma cosa accade quando questo rapporto viene alterato o addirittura stravolto? Nel libro Un antropologo su Marte il neurologo Oliver Sacks (1933-2015) presenta una serie di “racconti sulla natura, sullo spirito umano e sui modi inaspettati in cui essi sono entrati in collisione”, tra i quali compaiono due casi che hanno come protagonisti due pittori, il primo colpito da cecità cromatica e il secondo intrappolato nel sogno di un’infanzia lontana nella cittadina toscana di Pontito.

Il caso del pittore che non vedeva i colori 

Sacks racconta di aver ricevuto la richiesta di aiuto da parte di Jonathan I., un pittore di 65 anni che in seguito a un incidente automobilistico aveva temporaneamente mostrato difficoltà nel riconoscere le lettere dell’alfabeto, che apparivano infatti come caratteri o ebraici, mentre non riusciva più a distinguere i toni cromatici: il suo mondo era in bianco e nero e giorno per giorno anche i ricordi del colore erano sempre più sfumati.

Dalle analisi condotte da Sacks emerse che il signor I. soffriva di acromatopsia, una patologia che risultava problematica per diversi aspetti della vita del pittore, dai più quotidiani — come distinguere un semaforo verde da uno rosso, riconoscere il cibo in tavola o capire come abbinare i colori del vestiari — fino a sconvolgerne il lato lavorativo e artistico. Aveva l’impressione di vivere in un mondo “forgiato nel piombo”, inconsistente nel suo grigiore, e i suoi quadri apparivano come una giustapposizione confusionaria di tinte, che acquistava un senso solo se fotografata in bianco e nero, così da rivelare l’ossatura del disegno.

L’artista sviluppò una sorta di repulsione per ciò che lo circondava e credette di aver ormai perso il suo contatto da sempre speciale con il mondo dell’arte, nel quale non possedeva più un orientamento. La svolta arrivò circa cinque settimane dopo l’incidente, quando vide il sole sorgere sull’autostrada mentre si recava allo studio, e gli sembrò di assistere a un’esplosione nucleare dai contorni neri e fiammeggianti. Dopo questo episodio iniziò a creare pitture astratte, esclusivamente in bianco e nero, caratterizzate da una forte carica simbolica: superfici frammentate, forme simili a volti rabbiosi e angosciati, corpi smembrati, il tutto a testimoniare la complessità del nuovo mondo che aveva davanti, in cui realtà e immaginazione erano indistinguibili.

Dopo diversi studi, Sacks e la sua equipe arrivarono alla conclusione che a essere danneggiata era la corteccia visiva secondaria del signor I., una porzione non più grande di un fagiolo che coordina la capacità di percepire, immaginare e ricordare il colore. Per questo tipo di lesione non esiste una vera e propria soluzione: il pittore ricevette un paio di occhiali da sole a lenti verdi che gli permettevano di avvertire più nettamente il contrasto e i contorni delle forme. 

Tre anni dopo, il neurologo Israel Rosenfield avanzò l’ipotesi di addestrare l’altro lato del cervello del signor I. al fine di porre rimedio all’acromatopsia: una proposta affascinante e senz’altro rivoluzionaria, che il paziente però rifiutò, ormai abituato e pago di un mondo in cui alla percezione cromatica si erano sostituite nuove abilità, come la visione notturna e la straordinaria acuità visiva, che gli permettevano di cogliere una realtà personale e forse più pura di quella che si nasconde sotto il manto del colore.

Il paesaggio dei sogni

Oliver Sacks ebbe occasione di conoscere il pittore Franco Magnani nell’estate nel 1988, ad una sua mostra tenuta all’Exploratorium di San Francisco. Ciò che lo colpì al punto da desiderare di approfondire la conoscenza dell’artista fu che i cinquanta quadri esposti ritraevano con sensazionale precisione lo stesso paese — che poi seppe essere Pontito, un paese in provincia di Pistoia — arroccato sulle colline. Gli scorci rappresentati erano sempre diversi, ma ciò che li accomunava era senz’altro la ricchezza di dettagli — confermata dalle fotografie scattate da Susan Schwartzenberg che affiancavano i dipinti — un fatto strabiliante perché il pittore non faceva ritorno alla città natale da oltre trent’anni. 

C’era qualcosa di più di un semplice attaccamento alla patria in quei quadri: essi trasudavano “nostalgia, compulsione e arte” e non erano pertanto un esercizio di pura memoria, ma il chiaro tentativo di fissare —di imprimere — un ricordo.

Nel tentativo di dialogare con Franco, amici, parenti e lo stesso Sacks ammisero di aver faticato nell’intento di seguire un filo logico, perché  la mente e discorsi di Magnani contenevano un unico riferimento, legato alla propria infanzia: Pontito, Pontito, Pontito. Riferimento che si ripeteva all’infinito nei suoi quadri, ma che non si presentava come centro dei ricordi, piuttosto li riempiva e li annebbiava con una sola immagine declinata in mille modi.

Quella che però Magnani aveva saputo tramutare in arte non era soltanto un’ossessione: dopo l’infanzia felicemente trascorsa a Pontito e in altri paesi toscani, l’artista decise di trasferirsi a San Francisco nel 1965 per motivi lavorativi, abbandonando per decenni la propria patria. Proprio in procinto di prendere la dolorosa decisione, lo assalì un malessere fisico, comprendente febbre alta e delirio. Fu allora che cominciarono le visioni, notturne e a poco a poco diurne della sua città natale, visioni che gli lasciavano una sensazione mistica — così la definiva lo stesso artista, rifiutando di sottoporsi ad accertamenti medici e abbracciando l’idea di aver ricevuto un dono e una missione, quella di ricordare Pontito — mandandolo in trance nel bel mezzo delle sue attività quotidiane, tanto da apparire posseduto, “con lo sguardo fisso, le pupille dilatate e il rapimento dell’attenzione”.

La vita di Magnani era sdoppiata, una proiezione della sua coscienza: da un lato il presente e il lavoro a San Francisco, dall’altro la vita nel passato, tra le vie del villaggio toscano.

Il pittore Franco Magnani, il cui caso viene descritto da Oliver Sacks, intento a dipingere
Franco Magnani al lavoro

Sacks prese in considerazione che il pittore soffrisse di attacchi psicolettici, studiati per la prima volta dal neurologo John H. Jackson nel XIX secolo, e poi dall’americano Norman Geschwind. Egli ipotizzò che l’epilessia del lobo temporale (TLE) potesse aver avuto impatto nella vita e nell’arte di Dostoevskij: una teoria che ebbe discreto successo, prendendo il nome di “sindrome di Waxman-Geschwind” (o più semplicemente “sindrome di Dostoevskij”) e che descriveva soggetti colpiti da una progressiva intensificazione della vita emotiva accompagnata da un’eccezionale produttività creativa.

Sacks obiettò che l’epilessia del lobo temporale poteva innescare le visioni di Franco, ma sicuramente intervenivano altri fattori, come la personalità del pittore, la forte nostalgia e il sentimento di attaccamento alla madre, alla quale aveva promesso di ricostruire Pontito dopo l’occupazione tedesca del 1943. 

Un fatto singolare era che Magnani non era mai tornato nel villaggio toscano, anzi sembrava che facesse di tutto per evitarlo; il neurologo lo convinse a compiere il viaggio nel 1990, e questo ebbe ripercussioni sulla sua arte. Franco venne infatti colpito da visioni apocalittiche e sperimentò l’incapacità di dipingere per oltre dieci giorni, in preda alla confusione: anche se Pontito era rimasta tale, a cambiare erano gli occhi con cui la guardava, immerso com’era in una scissione tra la dimensione immaginata ricordata e quella del presente rivisto.

La crisi condusse ad un nuova rappresentazione: la cittadina, che prima vedeva e immaginava come se non fosse mai stata abitata — spopolata, “postnucleare”, dove il luogo si era fisicamente ed emotivamente sostituito agli affetti di Franco — ora recava i segni della presenza umana.

Dopo questa esperienza, Franco cominciò a tornare al paese natale, riuscendo a conciliare la Pontito vera e quella idilliaca e immaginaria: lui stesso ammise di non vedere la fine della sua attività pittorica, e Sacks parla di una “vasta, addirittura infinita enumerazione” di tutti gli aspetti esteriori del villaggio, un metodo per compensare il suo vuoto interiore.

Franco Magnani a Pontito: il suo ritorno avvenne grazie a Sacks
Franco Magnani nella Casa/Museo situata nei sobborghi di S. Francisco

Ma Pontito è viva e grazie a lui dotata di una nuova energia: forse dunque l’artista della memoria — così Magnani amava definirsi — ha davvero compiuto la sua missione, e il paese dei sogni è tornato ad essere realtà.

Maria Bovolon

Maria Bovolon è nata il 4 maggio 2000 a Legnago. Laureata triennale in Lettere Classiche, è ora iscritta alla magistrale di Storia Globale delle civiltà e dei territori presso l'Università di Pavia. È alunna del Collegio Ghislieri.

2 pensieri riguardo “I pittori di Oliver Sacks: due racconti

  • Buongiorno
    La didascalia sotto l’ultima foto “Franco Magnani a Pontito” è errata. La fotografia ritrae Franco davanti alla sua Casa/Museo situata nei sobborghi di S. Francisco – California – U.S.A (dove abita)
    Un cordiale Saluto dal
    CIRCOLO RICREATVO
    P O N T I TO

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    • Maria Bovolon

      Grazie mille per la segnalazione, abbiamo provveduto ad aggiornare la didascalia!

      Rispondi

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