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“Fratello, dove sei?” dei fratelli Coen

Ieri sera, presso l’Aula del ‘400 dell’Università di Pavia, ha avuto inizio il cineforum annuale (suddiviso in cinque serate) organizzato dall’Associazione ACERSAT Studenti Collegio Borromeo, dal titolo Chissà quando tornerò. Gli organizzatori hanno optato per il tema sempre molto attuale – di questi tempi, forse ancor di più – del viaggio, da intendersi sia in senso proprio che metaforico.

Per il primo appuntamento è stata proposta la visione di Fratello, dove sei? (O Brother, Where Art Thou?, 2000) dei fratelli Coen, introdotto dalla professoressa Antonia Rizzi, dirigente dell’Istituto di Istruzione superiore “P. Calamndrei” di Codogno. La docente, con un esordio divertente e autoironico riguardo al suo – difficoltoso – approccio giovanile alla filosofia, ha fornito il suo breve commento (pregnante, ma forse troppo carico di spoilers) al film, sottolineando in particolare il legame tra questo e l’Odissea, da cui la pellicola è liberamente tratta.
La vicenda è ambientata nell’America degli anni ’30, in Mississippi. Il protagonista, che si chiama, evocativamente, Everett Ulysses McGill (George Clooney), convincerà – complice la sua notevole parlantina – i compagni di prigionia Delmar O’Donnel (Tim Blake Nalson) e Pete Hogwallop (John Turturro) a evadere insieme a lui, con la promessa di andare a recuperare l’ingente refurtiva di un suo grosso colpo in banca. Da quel momento, per i tre (di cui il primo si dichiara il capo, anche a causa dell’evidente carenza d’intelligenza degli altri due) inizierà un viaggio mirabolante, contraddistinto da una variegata gamma di peripezie che farebbero invidia anche al signore di Itaca. Il viaggio, qui, risulta quello effettivo, geografico (dal centro di detenzione alla città natale di Everett), contrassegnato da scene veramente epiche: l’incontro con un Tiresia sui generis, inseguimenti e sparatorie varie contro la polizia (un minuto di silenzio per le mucche che periscono nell’impresa), un concerto, una coreografica adunata del Ku Klux Clan, un battesimo nel fiume, l’imboscata di tre “sirene” e l’inganno di un Polifemo venditore di Bibbie, solo per citarne qualcuna. Ma, come ogni pellicola e romanzo che parla di viaggio, con questo si intende anche quello che avviene all’interno dei protagonisti…a prescindere dalla meta e dal conseguimento o meno del risultato che esso porterà. Everett, infatti, oltre a ambire a capelli perfetti e a ordire grandi discorsi (spesso decisamente auto-contraddittori), da perfetto Ulisse ha qualche problema a dire la verità. Lo troveremo diverso, migliore alla fine?
Il pellegrinaggio dei nostri eroi si sviluppa attraverso le ampie distese campestri americane, verdi e dorate, ma a tal proposito, è da notare la pressoché costante presenza dell’acqua in tutta la durata della vicenda: i protagonisti sono quasi sempre, se non direttamente a mollo, almeno bagnati e, in caso contrario, utilizzano espressioni che rimandano al campo semantico dell’acqua, del mare e della navigazione, in senso del tutto metaforico. Sono dei marinai senza nave, rimpiazzata ampiamente dalla svariata serie di mezzi di trasporto (per lo più rubati) adottati per arrivare a destinazione.
Tutto ciò si svolge sulle note di una colonna sonora (vincitrice di un Grammy Award come Album nel 2002) d’accezione che, passando attraverso bluegrass, country, gospel e blues, giunge alle radici della musica popolare americana. In particolare un brano, cantato e inciso dai protagonisti nel corso di una delle loro avventure, I am a man of constant sorrow, si inserisce perfettamente nel senso complessivo dell’opera, rimarcando lo status del nostro Ulisse-Everett:

I am a man of constant sorrow
I’ve seen trouble all my day
I bid farewell to old Kentuckyhttp

the place where I was born and raised.

O-Brother-Where-Art-Thou-George-Clooney-surprised[1]

Penny, sua moglie, riuscirà a resistere al fascino del marito (mettete un uomo sul palcoscenico, fatelo cantare o suonare e vedrete che cosa succede…) inaffidabile, ma che ha fatto ritorno, forse, cambiato, o sposerà il suo nuovo pretendente-procio Mr. Waldrip?

Insomma, come potrete intuire, si tratta di un film divertente (la sceneggiatura, scritta dai Coen è a dir poco eccezionale – se sentivate ridere sguaiatamente dalle prime file è colpa mia e dei miei amici…) e pieno di colpi di scena, ma non certo frivolo. Anzi, come ci ricordava la professoressa all’inizio, esso possiede qualcosa di intrinsecamente filosofico. Ci ricorda, una volta di più, che, come spesso accade per le più grandi avventure, l’importante non è l’esisto in sé del nostro andare, ma lo sono i compagni di viaggio con cui condividiamo l’esperienza, l’andare con, l’andare e basta.
Vi saluto ricordandovi l’appuntamento di settimana prossima (17 novembre), stesso posto e stessa ora con il film Wild Jean-Marc Vallèe.

A Giovedì!

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