AttualitàRiflessioni

Lettera a Hillary Clinton

Cara Hillary Clinton,

Vorrei poter parlare di molte cose dopo questa notte di novembre, parlare a lei e agli americani, a quelli che l’hanno votata e a quelli che non l’hanno fatto. Vorrei chiedere per capire e non per attaccare, vorrei attaccare chi credo abbia sbagliato ma nessuno che attacca può capire, quindi la vena passionale, che nel bene o nel male questa notte ha ravvivato, va messa da parte. I miei pensieri avranno un peso inconsistente per lei dopo una sconfitta che potrà apparirle troppo ampia e reiterata troppe volte. Ma le scrivo perché sapere di avere qualcuno che crede nei propri stessi ideali è il modo migliore per non sentirsi soli e per affrontare la maggioranza che si oppone sicuri che la minoranza non è andata via.

Le scrivo perché lei era la mia candidata anche se non sono americana. Non ho il diritto di votarla per guidare il mio Paese, ma avrei voluto guidasse un Paese e lo facesse proprio ora che i Paesi sono così “poveri” di tante cose e cercano guide nuove che li rimettano in piedi. Io non conosco la “sua” storia, conosco quella che lei ci ha voluto raccontare, quella pubblica nelle sue proposte, quella privata nei suoi modi di fare, ma non conosco lei e di sicuro la conosco meno degli americani che hanno votato. Gli elettori hanno una storia popolare che dà loro buone e cattive ragioni per sceglierla, così come io ho le mie quando voto il mio parlamento e gli inglesi avevano le loro per votare pro o contro la Brexit. Ma oltre le buone doti civiche, gli elettori sono anche uomini che non sanno cosa sia meglio fare o peggio fare, che in questi anni così instabili su ogni questione, dove la loro moneta non sempre compra i loro beni, dove i politici sbagliano come o più di loro ma su di loro, e dove bisogna stare attenti tutti i giorni a chi ci siede accanto nell’autobus, sono confusi e quasi preferiscono non votare. Chi vuole votare vota per chi è “meno peggio” perché non si identifica con nessuno, non perché crede di essere senza macchia e migliore di colui che vota, ma perché quando si vota lo si fa pensando ad un uomo che deve essere la versione migliore di se stessi. I suoi errori hanno giocato un ruolo molto forte quando gli americani e le americane dovevano vedere in lei la migliore versione di se stessi, il problema è che non trovavano punti in comune nemmeno per trovare in lei la versione normale di se stessi. Molti hanno pensato questo. Si chiederà che uomo hanno visto in Donald Trump e ha ragione a chiederselo, ma io le risponderei che hanno visto semplicemente il loro tipo di uomo al momento, e accetto il loro voto così come lo fa lei. Hanno pensato che scegliere Trump fosse meglio che scegliere lei, così come i suoi votanti hanno pensato il contrario. Immagino non sia bello essere considerati il “meno peggio” di qualcuno, ma i leader non sono sempre o totalmente amati o totalmente odiati, non dovrebbe pensare al perché fosse antipatica agli americani ma al perché non andasse bene. Questo tempo di precaria coscienza rende tutto la metà di quello che è, e la realtà non ci aiuta a vedere di più, scoraggia le vecchie convinzioni che ci sembravano buone e scoraggia le nuove che potevano essere buone. Se né il vecchio né il nuovo vanno più bene, cosa dobbiamo scegliere? Non esiste una terza categoria, oggi abbiamo davanti solo piccole categorie fatte di un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Quando tutto sembra indebolito, il popolo si sposta verso le proposte radicali che non saranno mai deboli. Io capisco l’elettore che ieri ha votato, capisco cosa abbia mosso l’elettore a non votarla ma io non l’avrei fatto.

Per me Hillary Clinton non era la candidata democratica alla Casa Bianca, lei era la mia candidata perché vederla vincere non mi avrebbe fatto sentire sola. Veder vincere Trump è stato come veder vincere un popolo che condivide ormai valori diversi da quelli dell’ex Presidente che solo da poco tempo ha lasciato lo studio ovale, e che loro avevano votato ben due volte. Il voto degli americani è stato un voto reattivo, troppo “attivo” per essere il frutto di una scelta dove la vena passionale viene messa da parte. Molti hanno reagito alla paura, alla rabbia, all’insoddisfazione, hanno votato mossi da questo e per valori che, anche se non condivisibili, ora andavano bene. Un voto reattivo, ad un’elezione così importante, mostra un popolo che, volendo votare il “meno peggio”, ha scelto il cittadino (ai loro occhi) meno peggio e non la guida meno peggio. Vedere la sua sconfitta questa notte mi ha fatto capire che le priorità non sono più le stesse per molti, o meglio, che valori per me scontati non hanno più la stessa posizione tra le priorità del popolo. Non è così ovvio, a quanto pare, considerare i diritti civili, per esempio, una priorità immobile sulla quale far muovere tutte le altre. Il problema non è la libertà di opinione: ognuno può scegliere che posto dare alle sue priorità in maniera libera, ma se non esiste una base comune (base che mi sembra traballi) non ci sarà accordo, lei lo sa. Tutto sarà sempre una lotta continua tra un’opinione valida e un’opinione opposta ma altrettanto valida, entrambe però poggeranno solo su se stesse e non ci sarà mai una soluzione del conflitto. Il problema non è criticare l’opinione di Trump per dare ragione alla sua, ma rendersi conto che lei poggia le sue opinioni su valori buoni come la parità dei sessi, la parità tra abili e disabili, la parità di ceto di fronte all’istruzione, e che non è pronta a sostituire la posizione di queste priorità con altre più urgenti. Le altre priorità avranno la giusta attenzione ma non sostituiranno mai le priorità fondamentali. Io condivido il suo tentativo di essere la migliore versione di se stessa anche se non sempre le riesce, condivido i suoi valori e li insegnerò ai miei figli, per questo non è sola, perché quello che crede, anche se non è più ovvio per molti, lo è per molti altri. La sua sconfitta è una terribile sconfitta in questa prospettiva, ma lei è una donna che si rimbocca le maniche e che vuole che lo faccia anch’io, così come tutti gli elettori americani, nessuno escluso. Fare un “buon lavoro” è un suo ideale e lei so che spera che diventi l’ideale del nuovo Presidente e di tutto il popolo americano. Io spero che lei, il suo lavoro, non l’abbia concluso.

Mi scuso se questa lettera può far infuriare i sostenitori del nuovo Presidente, voleva essere il mio personale saluto alla mia candidata e una lunga ballata sulle mie contestabili posizioni. Contestatele, contestatele bene punto per punto, così come farebbero gli elettori che io voglio stimare.

Concludo la mia lettera ora, la saluto e le auguro un buon lavoro così come lo auguro al nuovo Presidente.

 

Sandra

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *