Cultura

Festeggiare la morte per celebrare la vita?

Quali immagini riaffiorano alla mente pensando al giorno dei morti?

A molti verrebbero in mente abiti scuri, visi tristi, chiese affollate, famiglie che visitano i cimiteri, donne anziane che pregano d’innanzi alle tombe dei cari scomparsi e credenti che si raccolgono in silenzio per ricordare i defunti. Magari qualcuno si ferma davanti alle lapidi e posa fiori freschi nei vasi, sotto le foto commemorative.

E se vi dicessi che non tutti i cristiani celebrano, o meglio, festeggiano così i morti?dm2

Il 2 novembre infatti viene festeggiato in Messico il Dià De los Muertos (Giorno dei Morti), la ricorrenza dedicata ad onorare la memoria dei defunti. Il culto messicano coincide con quello cattolico di “Ognissanti”. Tuttavia, ci sono profonde differenze tra le due feste perché in Messico il giorno dei morti viene vissuto come se fosse il carnevale. Gli scheletri vengono decorati con pitture sgargianti e ornati di piume colorate, mentre i crani, pitturati con le più vivaci e stravaganti fantasie, sono esposti in ogni angolo delle città. Le piazze e le strade si riempiono di gente travestita da spettri multicolori e pupazzi di cartapesta che presentano la Morte come se fosse un caleidoscopio. Questi allegri scheletri sfilano accompagnati da musica festosa.

Credo che vi stiate domandando il motivo per cui pochi giorni dopo il rientro dalle vacanze di Pasqua, io presenti un articolo sul culto dei morti. La risposta non è solo perché ho difficoltà ad interpretare il calendario, ma la verità è che volevo far risaltare il fatto che, in Messico, si festeggia la Morte per celebrare la vita. Tale festa,  per i messicani significa l’importanza di ricordare di essere vivi, motivo per cui la Morte stessa assume una rappresentazione ironica, i teschi hanno un’espressione goliardica, quasi come se la festa fosse una grande beffa verso la tristezza.

I cattolici vedono nella Pasqua la vittoria della vita sulla Morte, i messicani, invece, nel Dià de los Muertos, esaltano l’importanza della felicità per vincerla e ricordano con un sorriso i propri cari defunti.

Le origini di questa festa risalgono a quando l’antica civiltà degli Aztechi popolava il Messico. Gli Aztechi festeggiavano il giorne dei morti a partire dal 16 luglio fino al 5 agosto. Dopo la colonizzazione spagnola, la festa fu adattata secondo la tradizione cristiana e spostata al 2 novembre. Secondo le antiche popolazioni mesoamericane, la vita ultraterrena era determinata dal modo in cui avveniva la morte. Coloro che morivano a causa dell’acqua, erano destinati al Talocan, il paradiso di Taloc, il dio della pioggia. L’Homeyocan, il paradiso del sole, veniva custodito da Huitzilopochtli, il dio della guerra, egli accoglieva tutti coloro che morivano in combattimento o venivano sacrificati in onore degli dei e  ospitava anche le donne decedute dopo il parto. Nell’Homeyocan, si danzava e si festeggiava il sole e dopo quattro anni le anime dei defunti ritornavano in vita sotto forma di uccelli. Il “Mictàlan” ospitava i morti per cause naturali, era abitato da Mictlantecuhtil e Mhuatlictacacì, il dio e la dea della morte. Secondo le antiche credenze azteche, i morti destinati al Mictàlan dovevano affrontare una lunga strada tortuosa e ricca di insidie prima di raggiungere il luogo del riposo eterno. In fine nel Chichihuacuauhco vi erano i bambini morti in tenera età che, nel momento della scomparsa del genere umano dalla Terra, avrebbero dovuto ripopolare il mondo.

Il 16 luglio iniziava la celebrazione della festa dei morti e secondo la credenza le anime ritornavano sulla Terra. La cerimonia iniziava con il taglio della corteccia dell’albero chiamato Xocotl, in seguito il tronco veniva adornato da fiori ed offerte.  Mentre, il giorno conclusivo della festa, il 5 agosto, in cui si ricordavano i defunti importanti, veniva abbattuto lo Xocotl e venivano allestiti ovunque altari in onore dei morti.

Oggi, invece, il culto è ridotto ad un solo giorno durante il quale si usa allestire un altare detto Offrendas, in ogni casa. Sull’altare è immancabile il Papel Picado, carta velina ritagliata a forma di teschi. L’acqua e il cibo vengono fatti trovare sull’altare affinchè l’anima del defunto ne assorba l’essenza. Tutte le porte delle case vengono lasciate aperte in modo tale che chiunque possa visitare l’offrendas. Per le vie vengono depositati i Cempasùchil, tipici fiori messicani viola sparsi lungo le strade in segno di cordialità verso i defunti e sull’uscio di ogni casa ci sono cuscini e coperte, nel caso lo spirito intenda riposarsi.

In questa ricorrenza, si usa mangiare il Pan de muerto ed i Calaveras, dei teschi fatti di zucchero e acqua. I Calaveras, inoltre, sono dei versi dedicati agli spiriti, oppure dei necrologi che prendono di mira politici o personaggi noti. Durante la sera viene anche eletta la Catrina, cioè la più fantasiosa maschera della festa. Dipingersi il volto in stile Catrina, deriva dalla famosa opera del pittore messicano Josè Gualdalupe Posada, chiamata La Calvera Catrina, rappresentazione che raffigura un cranio con un copricapo festoso e colorato.

Per la sua bellezza e originalità il Dià de los Muertos, si è aggiudicato il riconoscimento dall’UNESCO di capolavoro del Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità.

E voi, invece, come preferite rendere onore a chi non c’è più? Con un minuto di silenzio ed un abito nero in segno di lutto oppure con ghirlande di fiori viola al collo, festeggiando il ricordo dei cari come il trionfo della vita e dell’allegria sulla morte?

 

 

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