Cultura

Frida Kahlo al Mudec: un’artista prima dell’icona

«Non sono malata. Sono rotta. Ma sarò felice fintanto che potrò dipingere»

 È difficile trovare qualcuno che al giorno d’oggi non abbia mai sentito parlare di lei, Frida Kahlo. Attualmente, pare quasi che sia nota più come icona che come artista. Associata al femminismo negli anni ‘70, non fu mai una vera attivista, ma col suo stile di vita e il suo carattere audace e fiero divenne l’esempio di una forza intraprendente e libera che ogni donna vorrebbe sua.

Al MUDEC – Museo delle culture di Milano, si assiste alla ricostruzione della sua vita attraverso più di 200 opere provenienti dalle due principali collezioni al mondo, quelle del Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e della Jacques and Natasha Gelman Collection, e da altri musei internazionali.

Lo scopo della mostra è quello di andare “oltre il mito” che la stessa artista incarna, proponendo cioè nuove chiavi di lettura delle opere che superino quelle precedenti, che appaiono ripercorrere in maniera semplicistica il filo che ne relaziona biografia e opera. Un’associazione imprescindibile, quella vita-opera, assolutamente necessaria al fine di capire la sua intera produzione, rappresentazione della sua realtà interiore e profonda, a sua volta specchio di quella esteriore e concreta. Un’analisi estremamente difficile quindi, frutto di sei anni di studi e di nuovi incredibili ritrovamenti. Andare “oltre il mito” significa staccarsi dalla figura di Frida-icona e dalla concezione che ne abbiamo attualmente, per ripercorrere la sua esistenza considerandola innanzitutto come una persona dall’incredibile cultura e dalla sensibilità profonda, ma soprattutto considerandola come artista.

A tale scopo, lo stesso curatore della mostra Diego Sileo ha proceduto all’analisi dell’enorme e prezioso contributo apportato dai ritrovamenti raccolti nell’archivio Casa Azul e resi noti per la prima volta nel 2007, in onore del centenario della nascita di Frida. Queste testimonianze permettono di individuare le nuove chiavi di lettura necessarie per rivalutare questa iconica figura sotto il punto di vista artistico.

L’intera esposizione si articola in quattro tematiche principali, che rappresentano delle costanti nell’opera dell’artista messicana. La prima tappa ruota attorno alla parola Donna.

autoritratto con treccia
Autoritratto con treccia, 1941
Autoritratto con collana, 1933

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Dipingo per me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio»

Qui si delinea la figura di Frida, si racconta la storia della sua famiglia, degli incontri importanti per la sua vita. Si struttura in una serie di autoritratti, pezzi forti della sua produzione, che la vedono protagonista indiscussa di una piena e consapevole ricerca dell’io e dell’affermazione di sé stessa come identità concreta. Sono qui raccolte inoltre fotografie dell’artista e della sua famiglia, lettere provenienti da alcuni dei più grandi archivi che la riguardano, quello di Isolda Kahlo – la nipote, per la quale nutriva un amore materno –, di Miguel N. Lira, scrittore messicano con cui teneva una intensa corrispondenza, e Alejandro Gomez Arias, l’innamorato di Frida ai tempi dell’incidente che le segnò la vita.

La seconda tappa del percorso è rappresentata dalla parola Terra. Attraverso l’interesse per la natura e per le culture del mondo, Frida riuscì a rappresentare nei suoi quadri una vita di continua intensità, in cui la sua figura e quella della Terra, dell’Universo e della Natura, sono in piena comunione. Un aspetto molto importante è stato sottolineato, ossia quello della concezione politica che Frida aveva della terra: una rappresentazione della fatale disintegrazione, una terra come tomba e luogo di decomposizione dell’identità politica. Nelle opere esposte in questa sezione è evidente la meravigliosa capacità della pittrice di integrare le diverse culture e tradizioni iconografiche che conosceva e che l’appassionavano: l’amore per quella mesoamericana – le sue radici più profonde -, l’attrazione per quella orientale e l’attenzione all’iconografia europea delle opere sacre, ripresa in alcuni casi come a “sacralizzare” la composizione. Ci si immerge in un ambiente dall’atmosfera quasi mistica, ma ferocemente reale e schietta, resa da uno stile pittorico primitivista e ispirato ai retablos che l’artista e l’amato Diego Rivera erano soliti collezionare e adorare.

autoritratto con collana di spine
Autoritratto con collana di spine, 1940
l'abbraccio d'amore dell'universo
L’abbraccio d’amore dell’Universo, la Terra, 1949

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si giunge poi alla sezione dominata dalla Politica. La sua intera produzione è intrisa di una connotazione politica, anche se talvolta velata e resa attraverso una particolare simbologia. In questa sezione si propone un’analisi di alcuni dipinti che vedono il corpo dell’artista manifesto dell’opposizione e della protesta, che pare quasi esposto in funzione sacrificale. È anche qui che si esprime in maniera prorompente la “messicanità” di Frida, il profondo attaccamento alle sue radici e la sua appassionata lotta per il Partito Comunista.

Self Portrait on the Border between Mexico and the United States of America, 1932 (oil on tin)
Autoritratto alla frontiera tra Messico e Stati Uniti, 1932

 Prima di raggiungere l’ultima sala, si attraversa un corridoio che introduce la figura di Diego Rivera, uno dei più grandi pittori muralisti messicani di tutti i tempi e unico vero e immenso amore di Frida. La loro storia d’amore, tormentata e potente, non può essere ignorata. Video e foto inedite scorrono sotto gli occhi dello spettatore sopra le note di “Diego ed io”, canzone ispirata alla coppia e composta ed eseguita dal cantautore Brunori Sas.

Frida-Kahlo-and-Diego-Rivera
Frida Kahlo e Diego Rivera
Diego nella mia mente
Diego nella mia mente, 1943

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Ho subito due grandi incidenti nella mia vita… il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego»

 Dolore. Si giunge all’ultima tappa del percorso, quella forse più significativa, quella più cruda ed estremamente reale e concreta, la costante indiscussa non solo dell’opera, ma anche dell’intera vita di Frida. Nel 1922, a causa di un incidente stradale, si ruppe la gamba e il piede destro, la colonna vertebrale in tre punti e un palo di ferro le trafisse da parte a parte il ventre. Più di 30 operazioni, bustini di gesso e di ferro, periodi di completa reclusione in un letto; pochi anni più tardi l’incontro con Diego, che le stravolse la vita, seguito dai numerosi aborti spontanei che le causarono un senso di impotenza e di incompletezza incolmabili. Il dolore, interiore e fisico, traspare in ogni opera dipinta da Frida, senza censure. Il suo corpo e il suo volto, impassibile, dallo sguardo fisso e penetrante, sono i primi veicoli di questo costante tormento. In un certo senso, l’artista sembra rassegnarsi alla sofferenza e alla tristezza, credendola destino, una predestinazione. Nonostante questo, sempre forte è la sua gioia interiore, la sua capacità di vivere appieno sia il dolore che la bellezza, di esaltarla e celebrarla perché esistente nonostante tutto, un dono della vita. Questo è ciò che la contraddistingue: la forza di abbracciare una vita segnata da un destino avverso, di riconoscerne le qualità profonde e trasmetterle attraverso la sua arte. Per questo è importante considerarla e rispettarla come artista: una grandiosa pittrice che si servì della sua opera così personale e potente per celebrare un continuo e vivace inno alla vita.

 «Piedi, a cosa mi servono se ho ali per volare?»

il piccolo cervo
Il piccolo cervo, 1946
colonna spezzata
La colonna rotta, 1944

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