CulturaLetteraturaSenza categoria

Eloquente mangiare – Pietanze letterarie

A tutti piace mangiare, soprattutto agli scrittori. Lungo un percorso di millenaria durata, passando dalle topiche immagine dantesche (una su tutte la mensa dei dotti nel Convivio), alle quasi oggigiorno stereotipate madeleine di Proust, il cibo compare nelle opere degli scrittori con andamento costante e funzionale. Nell’impossibilità di fornire un catalogo sistematico dei mille e uno usi (e significati) che esso riveste in letteratura, sembra interessante fornire, invece, una microscopica rassegna di “sapide” esperienze.

Iniziando da un genere letterario al quale siamo vicini dalla più tenera età, la fiaba, un esempio da manuale è senza dubbio Hänsel e Gretel dei fratelli Grimm. La casa di marzapane è un’immagine che nessuno dimentica, un’immagine dalla sostanza incredibilmente tentatrice, dietro la quale si celano terribili rischi.

Gli psicologi vedrebbero anche dell’altro e, per esempio, nel suo saggio Il mondo incantato – Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe (ed. Feltrinelli, 2015), Bruno Bettelheim ha fornito un’analisi completa del racconto, individuando nella casa la rappresentazione dell’avidità infantile che il bambino elabora e impara a superare attraverso il racconto, espressione di significati in un linguaggio più vicino all’infanzia.

Cambiando genere, cambiando autore, non si può non ricordare il banchetto nel palazzotto di Don Rodrigo, descritto nel V capitolo de I Promessi Sposi. È durante questo momento che fa nel romanzo la sua apparizione il signorotto del luogo, in mezzo ad un gran frastono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra tutto di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi. Mentre lui banchetta e gozzoviglia fuori infuria la carestia e un simile contrasto non è che uno dei molti espedienti usati dal Manzoni per mettere in scena le meschinità di una nobiltà oziosa. Il cibo (e più in generale il momento del pasto tutto) diviene quindi mezzo per caratterizzare una polemica sociale.

Un banchetto inserito nel racconto per raffigurare le usanze conviviali che riflettono rapporti sociali è anche quello della marchesa d’Ateleta (ne Il Piacere) della quale sappiamo che metteva più cura nella preparazione di una mensa che in un abbigliamento. C’è di più. In queste pagine del romanzo di D’Annunzio si assiste ad una defunzionalizzazione del cibo in sé che non è più elemento per nutrire il corpo, ma strumento per celebrare e costruire un momento che sia più opera d’arte che ristoro.

Forse un alimento più nobile conoscevano gli antichi Greci. Nella tradizione lirica antica l’immagine dell’ispirazione poetica come nettare che dona la Musa è quantomai topica e i dialoghi platonici hanno spesso come ambientazione un momento conviviale; quand’anche questa mancasse, non è però assente il riferimento ad essa.

Ancora, Deipnosofisti di Ateneo di Naucrati (II secolo d.C.) è un’opera che risulta vincente sotto questo profilo, poiché il confine tra cultura e pietanza scompare del tutto. L’opera, una sorta di compendio del sapere antico, vede filosofi che, banchettando, citano passi di opere famose e nel far ciò si lasciano guidare dalle pietanze poste di fronte a loro. Spingendosi un poco al limite, si potrebbe affermare che la parola letteraria in questo caso nasca “solo” in relazione cibo.

Interessanti spunti di analisi (oltre che interessanti letture di per sé, è ovvio) vengono forniti da Le assaggiatrici di Rossella Postorino (ed. Feltrinelli, 2018) e da Ho sognato la cioccolata per anni di Trudi Birger (ed. Piemme, 2008). Sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale, le vicende delle protagoniste, ispirate da fatti realmente accaduti, ci mostrano il volto di un’umanità disperata che ricerca nel cibo la salvezza più elementare: non più una fame intellettuale, ma una fame primitiva, che regredisce l’uomo al suo stadio di essere animale.

Al termine di questa brevissima rassegna possiamo affermare che l’universo letterario è pervaso da riferimenti a svariate pietanze. Alcune vengo asetticamente descritte, come fanno i buoni ricettari, altre invece si lasciano plasmare dalla volontà creativa dello scrittore in immagini ad alto potenziale. Gli scrittori, sfruttando tutte le possibilità conferite dalla parola e dall’arte del “ben mangiare”, si fanno creatori di percorsi densi, carichi di aspettative e curiose sorprese per il lettore. Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo, recita un aforisma di Oscar Wilde. La lettura, certamente, si colloca su questa scia.

Tommaso Romano

Redattore per «Inchiostro». Studente di «Antichità Classiche e Orientali» presso l’Università di Pavia, è appassionato di troppa roba. Cento ne pensa, cento ne fa, cento ne scrive (o vorrebbe).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *