AttualitàMedicinaSenza categoria

Coltivare l’attenzione

L’immagine di un pittore realista restituisce ai nostri occhi riflessi, ombre e tonalità di un colore che ci sarebbero sfuggite se fossimo passati in quel luogo di persona; non avrebbero catturato la nostra attenzione, e sarebbero rimasti inosservati. Perché l’attenzione è come un filtro, che ci permette, nonostante il nostro limite nel processare informazioni, di concentrarci su ciò che conta e scartare tutto il resto; è il meccanismo con cui un oggetto o un flusso di pensieri possiede la nostra mente, che oggi sembra sfuggire dal nostro controllo. Come possiamo prendercene cura?

Martin Rico y Ortega, 1869, on the Seine
Martin Rico y Ortega, 1869, on the Seine

Le componenti dell’attenzione

Micheal Posner, uno psicologo ricercatore nel campo dell’attenzione – non il cantautore di “I took a pill in Ibiza” – sulla base di studi con risonanza magnetica funzionale dei circuiti cerebrali, scompone l’attenzione in tre sistemi che collaborano: vigilanza, orientamento, e funzioni esecutive. La vigilanza è uno stato di allerta: ci dice quando attivarci e stare attenti. Ma a cosa? Qui entra in gioco l’orientamento, che seleziona l’obbiettivo e ignora tutto il resto. L’esperimento del “gorilla invisibile”, facilmente reperibile su internet ne mostra bene i limiti.

L’ultimo sistema sono le funzioni esecutive, che sfruttano le connessioni tra il lobo frontale della grigia corteccia e i gruppi di neuroni, anche loro “grigi”, che si trovano sotto. Anche le funzioni esecutive selezionano, ma al posto di guardare all’esterno coordinano le nostre operazioni mentali. La definizione di funzioni esecutive potrebbe sembrare semplice, ma la sua importanza esce dal solo campo dell’attenzione, e comprende la memoria di lavoro, il ragionamento e la creatività.

Phineas Gage, operaio ferroviario americano nato il 1824, rimuoveva con della dinamite alcuni massi per livellare il terreno. Stava spingendo con una trave di ferro l’esplosivo all’interno della roccia, e improvvisamente si udirono scoppi, e la trave, che prima lo aiutava, gli aveva trapassato il cranio. Sappiamo, anche dopo recenti ricostruzioni scientifiche, che l’incidente danneggiò irreversibilmente il lobo frontale – una stazione importante dei circuiti esecutivi. Secondo le opinioni dei conoscenti, Il danno l’aveva trasformato in una persona irascibile, profana e irresponsabile; perse le inibizioni alla miriade di impulsi e istinti che compaiono durante una giornata. Non avendo misure precise sui suoi cambiamenti comportamentali prima e dopo, è difficile fare conclusioni, ma il caso clinico dimostra come le funzioni esecutive comprendono tante abilità, e la correlazione tra una e l’altra rimane ignota.

Stiamo perdendo questa abilità?

Perché questi antichi sistemi dell’attenzione oggi sembrano indomabili? Qualche anno fa il problema è stato trattato da diverse riviste, citando dubbie ricerche su una presunta soglia d’attenzione di qualche secondo, ma è molto difficile misurare un’attenzione media: i motivi per cui ci distraiamo possono essere interni o esterni, influenzati dal sonno, dalla nostra motivazione, dalle emozioni, dalla fame e la salute fisica in generale. Una singola causa ai nostri problemi di attenzione potrebbe non esistere, e per contrastare il problema, attaccarlo da tante angolature sembra il modo migliore. Le buone notizie sono due: L’attenzione e le funzioni esecutive, nonostante la fatica per farlo, si possono allenare a tutte le età, e possiamo porre limiti agli stimoli che tanto ce la rubano– spesso anche senza che ce ne accorgiamo. Ma come? Alcuni videogames, le arti marziali, il teatro, suonare uno strumento e la meditazione, sono tutte strategie che possono allenare le nostre funzioni esecutive. Mantenersi in salute, avere un sonno regolare e una buona rete sociale sono utilissimi ad evitare che decadano però. Differenti attività sembrano stimolarle, ma per vedere risultati ci vuole un ingrediente segreto, forse banale, ma sfuggente alle diverse tecniche miracolose che promettono di trasformarci in macchine super attente: lo sforzo. Ciò che sembra contraddistinguere tra una strategia e l’altra, è proprio lo sforzo e il miglioramento progressivo: proprio come andare in palestra e guardare i pesi non ci farà crescere, fare attività cognitive evitando lo sforzo non aiuterà. L’analogia dell’allenamento muscolare ha i suoi limiti, ma mostra bene anche i risultati che ci possiamo aspettare: nessuno prevede di diventare Schwarzenegger in pochi mesi di allenamento, non abbiamo la sua stessa genetica e nemmeno il suo allenamento alle spalle.
Per quanto riguarda i limiti alle distrazioni, alcuni studi citati dal blog dell’università di Stanford hanno notato minori capacità di attenzione nelle persone che riferiscono di esser più spesso in multitasking; non si sa se il multitasking ne sia la causa o la conseguenza, ma eliminare le distrazioni ci fa sprecare meno energie, e ci permette di impegnarci davvero in ciò che stiamo facendo.

Quando lo sforzo non basta

Una diagnosi che sta ricevendo più consapevolezza negli ultimi anni è proprio l’ADHD, o attention deficit hyperactivity disorder, un disturbo dell’attenzione riconosciuto dal 1902 e introdotto nel manuale diagnostico per psichiatri DSM già dalla terza edizione del 1980.
L’ADHD è una condizione principalmente pediatrica, anche se, con minori probabilità, potrebbe esser diagnosticata in età adulta; In America, nonostante ci sia un problema di sovra diagnosi, si stima che solo il 2.5% degli adulti ne soffra, contro l’8% dei bambini. La diagnosi è infatti controversa: si basa sulla quantità di sintomi in cui anche una persona normale potrebbe riconoscersi, come il non riuscire ad ascoltare gli altri, non riuscire a completare attività che richiedano concentrazione, o aspettare il proprio turno.  In grandi quantità, per quanto sfumata possa esser la soglia della normalità, questi comportamenti ostacolano il benessere, e sebbene un ambiente fortemente incentrato sulla produttività potrebbe influire sul numero di diagnosi, la malattia esiste, e oltre allo sforzo è fondamentale un intervento medico specialistico.Delle abitudini che ci permettano di coltivare la nostra attenzione in diversi contesti quotidiani, portarla ad esprimersi al massimo potenziale, e farla riposare, se non la riporta sotto il nostro controllo, sicuramente ci renderà più consapevoli di come la utilizziamo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *