Scienza

Il brigantino di Darwin: questione di naso

“Nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. La celebre frase di Theodosius Dobzhansky può sembrare forse dogmatica, ma si rivela veritiera in qualsiasi ambito biologico, che si parli a livello di popolazioni, singoli esseri viventi o geni. Oltre a esercitare un fascino innegabile nella sua (apparente) semplicità, la teoria evolutiva di Darwin nacque in maniera decisamente interessante, prendendo origine dall’essenza “marittima” dell’Inghilterra.

L’11 maggio 1820 fu varato sul Tamigi il brigantino di classe Cherokee HMS Beagle, ricevendo il proprio nome dall’omonima razza canina. Le navi di questa classe erano considerate “bare fluttuanti” per la loro prontezza nel prendere acqua e affondare, e quasi a confermare i presagi funesti il primo viaggio della Beagle portò il capitano Pringle Stokes a una crisi di nervi con annesso suicidio in America del Sud.

Il successore di Stokes, Robert FitzRoy, era un aristocratico che prese molto a cuore le sorti del brigantino, arrivando anche a pagare di tasca propria un suo restauro completo. Prima però di partire nuovamente, il gentleman inglese (il cui zio si era suicidato similmente a Stokes) cercò innanzitutto un compagno di viaggio che potesse conversare con lui in giro per il mondo, con il pretesto di raccogliere campioni biologici e geologici.

Per una serie di circostanze fortuite (e di dovute raccomandazioni) si ricadde infine su Charles Darwin, un giovane studente fuggito dalla violenza e dal sangue della medicina e approdato alle scienze naturali. In realtà non fu una scelta favorita dalla sorte: Darwin fu costretto a nascondere una misteriosa malattia che lo perseguitò per tutta la vita e che gli dava un fastidioso dolore al petto. Tuttavia, ciò che quasi gli costò il viaggio fu in realtà il suo naso, che secondo FitzRoy, fautore della mirabolante e oggi divertentissima fisiognomica, dimostrava una certa mancanza d’animo.

Il secondo viaggio del Beagle, durato dal 27 dicembre 1831 al 2 ottobre 1836, portò il naturalista dall’Inghilterra fino all’America meridionale e all’Oceania, toccando anche l’Africa. I campioni raccolti, non solo di esseri viventi ma anche geologici, furono moltissimi e suscitarono clamore in Gran Bretagna anche prima che Darwin potesse ritornare. Ancora più importanti furono però le osservazioni dello studioso sul luogo; tra i più svariati esempi, diversamente citati in qualsiasi libro scolastico di biologia, si può ricordare il fringuello delle Isole Galápagos, che presenta un becco diverso a seconda dell’ambiente in cui si trova.

Una volta conclusa l’esperienza, Darwin pubblicherà il Viaggio di un naturalista intorno al mondo (The Voyage of the Beagle), che verrà poi seguito da L’origine delle specie (1859), dove la teoria dell’evoluzione venne finalmente alla luce (seppur proposta separatamente anche da altri studiosi): gli esseri viventi non sono immutabili ma si adattano al proprio ambiente nel corso delle generazioni, affrontando il cosiddetto processo di selezione naturale.

Anche la teoria darwinista, fedele al proprio Autore, si è evoluta, adattandosi alle scoperte nel campo della genetica e biologia molecolare dello scorso secolo. Ciò che resta incredibile è che comunque essa abbia superato qualsiasi prova le si sia posta davanti, nonostante i continui attacchi che subisce ancora oggi.

Il naso di Darwin quindi non solo ha vinto, ma ha anche dimostrato un certo fiuto.

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