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I voti di Madison County. Verso i caucus dell’Iowa

L’Iowa è un’enorme distesa di granoturco posta nel cuore dell’America.
Spesso, citandola con interlocutori meno attenti, viene confusa con l’Ohio. Tra i più attenti, invece,
riporta spesso alla mente un fortunato film con Clint Eastwood e Meryl Streep (nella peggiore delle ipotesi, il secondo album degli Slipknot).
Novantanove contee abitate da più di tre milioni di persone, circa ottantacinquemila fattorie, quasi
il 20% della popolazione impiegato nel settore primario e più di un terzo residente in contesti
rurali. Quando la politica si avvicina all’Iowa, il suo carattere fondamentalmente agricolo non può
essere escluso.
Basti pensare ai suoi più alti rappresentanti: la senatrice repubblicana Joni Ernst, nel 2014, lanciò
la sua prima campagna elettorale con una pubblicità al vetriolo capace di attrarre su di sé i riflettori
dei media nazionali ed internazionali: «Sono cresciuta castrando maiali in una fattoria in Iowa»,
diceva, prima di promettere di “castrare i maiali” di Washington (a scanso di equivoci, a distanza
di un decennio si può tranquillamente dire che Joni Ernst è diventata un nome assai istituzionale
nell’ambiente della Capitale, capace di rappresentare appieno l’eredità della fazione neocon).
Oppure basti pensare all’altro senatore locale, Chuck Grassley, un arizillo vecchietto di
novant’anni – più di metà dei quali passati in Campidoglio – e dare un’occhiata al suo profilo
Instagram: anche in questo caso il richiamo alle questioni agricole e le foto di visite a fattorie e
campi di mais non si contano.


L’ampio coinvolgimento della popolazione di questo Stato del Midwest nelle vicende politiche è
un fatto identitario. Dal 1847, primo anniversario del suo ingresso nell’Unione, la bandiera dello
Stato reca il motto Our liberties we prize and our rights we will maintain: basterebbe questo a
spiegare l’essenza del sistema dei caucus, le assemblee pubbliche che, qui, sostituiscono le
primarie propriamente dette e la gelosia con cui questa terra custodisce il ruolo di First in the
Nation
, primo Stato a votare per i candidati dei due principali partiti nel lungo cammino verso la
Presidenza (in realtà, in questo 2024, i Democratici hanno delegato il ruolo alle primarie del New
Hampshire, interrompendo una tradizione cinquantennale).
Dagli anni ‘70, quando il calendario elettorale vi previde l’inizio del lungo processo elettorale, il
motto poc’anzi menzionato divenne sinonimo di lunghe assemblee elettorali nelle grandi città
come nelle più remote e spopolate contee, di campagne grassroots fatte di volontari instancabili,
di un numero sproporzionato di eventi politici rispetto alla non numerosissima popolazione
dell’Hawkeye State.

Comizio di Donald Trump a Coralville, Iowa
Un comizio di Donald Trump, ex Presidente ed attuale frontrunner repubblicano, a Coralville (Iowa). Crediti: Teamtrump (Instagram)


In un anno elettorale normale dalle primarie repubblicane sarebbero emersi candidati conservatori,
capaci di far leva sulla popolazione evangelica delle aree rurali: successe nel 2008, quando i caucus
furono vinti con ampio distacco dal governatore dell’Arkansas e pastore battista Mike Huckabee.
O nel 2012, quando per pochi voti vinse Rick Santorum, già senatore della Pennsylvania, autentico
ed inaspettato outsider capace di galvanizzare quella che, in Europa, sarebbe la destra religiosa.
Nel 2016 fu il turno di Ted Cruz, “conservatore costituzionale” e dai tratti a metà strada tra il
libertarismo di destra e, ancora una volta, il conservatorismo protestante.
C’è ragione di credere che, anche quest’anno, le pianure e le colline dell’Iowa sarebbero state un terreno fertile per i candidati
capaci di muovere il voto rurale ed evangelico: l’ex vicepresidente Mike Pence o il
senatore Tim Scott, cinquantottenne afroamericano che iniziò la sua campagna elettorale con lo
slogan Faith in America, entrambi già ritiratisi dalla corsa. Oppure Ron DeSantis, governatore
della Florida la cui campagna, in seria difficoltà dopo gli entusiasmi di inizio 2023, sembra aver
imbracciato una narrativa più marcatamente conservatrice sui temi sociali, in modo da
differenziarsi maggiormente dalla proposta trumpiana, ottenendo il sostegno della sua locale collega Kim
Reynolds. Questo in un anno normale.

Le primarie del 2024, però, ruotano attorno alla figura di Donald Trump e sono da considerarsi un
test sulla sua rilevanza all’interno del Partito Repubblicano otto anni dopo la prima conquista della Casa Bianca. Nel corso degli ultimi
mesi un numero vieppiù alto di esponenti conservatori ha imparato che, al netto delle questioni
giudiziarie che lo hanno visto protagonista negli ultimi anni, l’ex Presidente gode ancora di
un’immensa popolarità nella base repubblicana ed è semplicemente impossibile pensare che la sua
figura sia aggirabile. Anche l’Iowa non è esente da questo paradigma.
O, meglio, anche l’Iowa risente di quella tendenza diffusa tra l’Inland Midwest e la Rustle Belt a
rispondere positivamente all’“America First” promessa da Donald Trump e, quindi, quanto appena
scritto risulta in queste terre decisamente amplificato: nello scorso mese di agosto, NBC/Des Moines Register pubblicò un sondaggio secondo il quale “solo” il 55% dei caucus-goers si definiva “religiosamente [molto] devoto”, a fronte del 67% “anti-woke”, del 71% “esausto dalla politica” e dal 77% “scontento nei confronti del governo”: è in questa differenza di percentuali che si può trovare, in buona parte, la marcia in più della terza campagna di Donald Trump rispetto a quelle dei suoi avversari repubblicani.
L’avventura politica del 45° Presidente è un evento che, nel corso degli ultimi otto anni, ha
riposizionato in maniera determinante il rapporto degli Iowans – e non solo gli iscritti al locale
Partito Repubblicano – con la politica: appena un decennio fa si poteva considerare questo Stato
pienamente competitivo in ottica elettorale e, infatti, venne sempre vinto da Barack Obama con un
discreto margine di vantaggio. Nel 2016 il messaggio protezionista di Trump ha raccolto
ampissimi consensi nel sud e nel nord-est, galvanizzando l’elettorato blue-collar e quella small
town America
che, qui, vale più della metà dell’elettorato. Questo spiega anche la facilità con cui
l’ex Presidente ha potuto aggirare senza timore di ripercussioni politiche il consueto dibattito tra
candidati repubblicani al Thanksgiving Dinner organizzato dall’associazione evangelica
conservatrice The Family Leader (realtà, questa, assai importante anche grazie al suo presidente
Bob Vander Plaats, per più di un decennio kingmaker della “destra cristiana” locale e, per
quest’anno elettorale, solido alleato di DeSantis), preferendogli un incontro con gli agenti del Border Patrol al confine tra Messico e Texas.

Sfidanti Trump Iowa
Alcuni degli sfidanti di Trump alle primarie repubblicane. Da sinistra, l’imprenditore Vivek Ramaswamy, il governatore della Florida Ron DeSantis e Nikki Haley, ex ambasciatrice americana alle Nazioni Unite. Crediti: The Family Leader (Facebook)


E mentre il risultato dei caucus appare annunciato – la vittoria di Donald Trump è indubbia, resta solo da capire con quale margine di vantaggio – maggiori sono i dubbi su quale candidato possa essere il runner-up. Se è vero che dopo le Mid Term del 2022 il nome di Ron DeSantis sembrava indiscutibilmente quello del leader del futuro per i repubblicani, è altrettanto vero che la campagna presidenziale del governatore della Florida è entrata in crisi già mesi
fa: come si diceva precedentemente, sembrerebbe infruttuoso persino l’ultimo tentativo di convincere
l’elettorato conservatore e le migliaia di evangelici e cristiani rinati che parteciperanno ai
caucus con una particolare attenzione alle tematiche etiche e sociali. Solo il grande sostegno ricevuto dall’apparato locale potrebbe permettere al giovane governatore d’origine abruzzese di sperare in un secondo posto. D’altra parte, sembrerebbe in ascesa anche il nome di Nikki Haley,
già governatrice della South Carolina e ambasciatrice presso le Nazioni Unite nel biennio 2017-18; candidata neocon ed assai gradita all’entablishment del partito che, a differenza dei due appena citati, potrebbe guadagnare cospicui consensi nelle zone universitarie dello Stato e nelle grandi città, recuperando grazie ad esse preziosi punti percentuali.


Il 15 gennaio, nel consueto gelo che l’avvolge in inverno, questa enorme distesa di granoturco, questi chilometri di pianure verdi e gialle intervallate da fattorie in legno e silos daranno il via al lungo percorso verso le elezioni presidenziali di novembre. Poi, per quattro anni, gli ascoltatori meno attenti torneranno a confonderla con l’Ohio e quelli più attenti a pensare a “I ponti di Madison County” o a una numerosissima band metal. E, forse, è questo l’aspetto più romantico di una terra semplice che ama definirsi First in the Nation.

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