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Molti nomi (e ben confusi): le primarie in New Hampshire

Un piccolo frammento di costa oceanica, montagne dalla forma dolce che in autunno si accendono dell’originale ed iconico foliage. Nomi di città che rievocano un’antica madrepatria: Portsmouth, diretto omaggio al luogo di partenza di un mondo, Dover, Manchester, Concord. Se esiste un luogo che a buona ragione è chiamato New England, il New Hampshire ne costituisce il cuore. Live free or die, dicono le targhe delle auto che percorrono le strade costeggiate da boschi di faggi, aceri, abeti e da abitazioni in stile vittoriano e coloniale. Un motto di età rivoluzionaria, estratto da una lettera di John Stark, eroe locale della Guerra d’indipendenza, e che rispecchia i valori che, da lungo tempo, contraddistinguono il Granite State. L’enfasi sulla libertà personale, qui, si traduce in una diffusa opposizione della popolazione ad aumenti della tassazione e della spesa pubblica, nonché in un’ampia partecipazione popolare alle questioni di governo: è utile ricordare che la locale Camera è il quarto organo legislativo più grande al mondo (400 Rappresentanti, uno ogni 3300 abitanti) e che il mandato del Governatore dura appena due anni, segno della volontà dei locali di evitare lunghe ere legate ad un singolo esponente politico.

Nel 2001 Jason Sorens pensò di avviarvi il suo Free State Project: l’allora dottorando a Yale, in un accorato appello lanciato ai libertari americani dalle colonne digitali del The Libertarian Enterprise, propose un movimento di migrazione interna finalizzato alla creazione, in questo piccolo e poco popolato Stato della Nuova Inghilterra, di comunità libere dall’azione governativa. Si calcola che, in un ventennio, circa seimila persone abbiano risposto positivamente all’appello di Sorens.

Il governatore del New Hampshire Chris Sununu e Joe Biden all’aereoporto internazionale di Portsmouth nel 2022. Crediti: Official White House Photo, via Flickr.

Questa tendenza, questa attitudine al “vivere liberi o morire” spiega, almeno in parte, perché in uno Stato tendenzialmente più bianco, anziano e istruito rispetto alla media nazionale, il bilancio delle forze politiche sia tale da farlo considerare uno Stato in bilico. Il New Hampshire, una volta roccaforte repubblicana, si è allontanato dal Grand Old Party quando questi ha recepito, a livello nazionale, una piattaforma vieppiù conservatrice sui temi sociali. Eppure, a differenza del confinante Vermont, che fino all’epoca Reagan ne aveva seguito le fortune, non ha mai abbracciato con convinzione le soluzioni economiche dei Democratici. Ne consegue che il New Hampshire vota, in genere, per candidati percepiti come moderati: il governatore Chris Sununu ne è un esempio piuttosto chiaro: repubblicano ed ultimo rampollo di una famiglia politica piuttosto fortunata, si è distinto per il netto conservatorismo fiscale e la critica alla faziosità partitica dell’apparato di Washington uniti a una certa moderazione, se non un diretto progressismo, sui temi etici e sociali. Da un trentennio, quindi, i new hampshirite, eleggono più repubblicani nel locale, preferiscono mandare a Washington politici moderati e sono indecisi per le elezioni presidenziali.

Chris Sununu con la candidata repubblicana Nikki Haley. Crediti: Nikki Haley (Facebook)

Questa lunga premessa ci pone nella condizione di capire perché in New Hampshire esista un doppio livello, per quanto riguarda le elezioni primarie dei partiti. Da una parte, la campagna elettorale “seria”, quella dei grandi nomi e degli altrettanto grandi PAC, le organizzazioni di raccolta fondi con scopi politici. Dall’altra un coacervo di candidati sconosciuti e talvolta bizzarri, capaci di rendere il New Hampshire un unicum a livello federale.

Il primo aspetto è quello delle primarie vere e proprie, di un campo repubblicano divenuto un’impari corsa a tre e di uno democratico nel quale al Presidente Biden si contrappongono due avversari ben poco conosciuti: Dean Phillips, Rappresentante del terzo distretto del Minnesota, e la scrittrice e “coach spirituale” (qualsiasi cosa voglia dire) Marianne Williamson. E, se per quanto riguarda le primarie democratiche tutto sembra un pro forma (pur nell’assenza di Biden dalle schede elettorali locali, cosa che comporterà la sua vittoria come “write-in”, ovvero come nome aggiunto manualmente sulle schede), maggiori sussulti potrebbero essere regalati dalla nottata elettorale repubblicana. Molti sondaggi, nelle ultime settimane, hanno messo in luce l’assottigliarsi della distanza, in questo stato, tra Trump e l’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite Nikki Haley. Nel mentre la cinquantaduenne della South Carolina ha ricevuto l’endorsement di Chris Sununu e ha potuto tirare un sospiro di sollievo al ritiro della candidatura di Chris Christie, moderatissimo ex governatore del New Jersey che aveva impiegato il suo tempo e le sue risorse proprio in vista delle primarie di questo Stato. La sequenza di eventi sembrerebbe costituire le basi di un buon risultato – che certamente non riaprirebbe la corsa alla nomination ma, più realisticamente, potrebbe darle un po’ di brio.

Il consueto dibattito dei candidati minori al Saint Anselm College di Goffstown (NH). Crediti: Independent Political Report (Facebook).

Al di sotto di tutto questo, in New Hampshire, si è sviluppato, come succede ogni quattro anni in virtù di un regolamento elettorale estremamente permissivo (basta, infatti, pagare una tassa di 1000$ per poter correre alle primarie), un fitto intreccio di nomi altrimenti sconosciuti, di candidati di bandiera e di avventurieri della politica: i democratici troveranno sulla scheda elettorale ben 22 nomi, mentre i repubblicani dovranno scegliere tra 20 candidati. Alcuni di questi hanno ricevuto una certa attenzione mediatica: tra i repubblicani, Ryan Binkley, pastore ed imprenditore texano e John Anthony Castro, commercialista che ha annunciato la candidatura presidenziale con l’obiettivo di ottenere la notorietà necessaria per «diventare presidente dell’IRS» [l’Internal Revenue Service, agenzia per la riscossione dei tributi]. Dall’altro lato, ha ottenuto una certa visibilità Terrisa Bukovinac già presidente di Democrats for Life, che ha sviluppato una piattaforma marcatamente progressista e altrettanto fortemente antiabortista.Altri candidati sono, più semplicemente, divenuti iconici: uno su tutti Vermin Supreme, candidato satirico alla sua nona candidatura presidenziale (questa volta con i Democratici, ma in passato anche con i Repubblicani e con il Partito Libertariano). L’uomo, residente proprio nel Granite State e autodefinitosi anarchico, si è distinto negli anni per eventi di disturbo dei candidati principali e per proposte decisamente provocatorie, quali ad esempio l’introduzione dell’obbligo di lavaggio dei denti, la promessa di un “pony di cittadinanza” e dell’investimento di parte del bilancio federale in ricerche sui viaggi nel tempo e nell’implementazione di difese in previsione di un’apocalisse zombie.

E, se martedì notte sarà interessante vedere i risultati delle primarie dei candidati “veri”, altrettanto curioso osservare i voti ricevuti da questi candidati minori: riuscirà il candidato dallo stivale in testa a superare il “clamoroso” risultato dei 268 voti raccolti nel 2016?

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