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Mi chiamo Matteo Messina Denaro

“Mi chiamo Matteo Messina Denaro”, dice al carabiniere intento ad arrestarlo. Ma facciamo un passo indietro.. chi è costui?
Noto anche come U Siccu e Diabolik, Matteo Messina Denaro nasce a Castelvetrano, in provincia di Trapani, il 26 aprile del 1962. Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, il capo di Cosa Nostra era latitante dall’estate del 1993. L’ultima volta che qualcuno lo aveva visto libero, era in vacanza a Forte dei Marmi con i suoi fidatissimi amici Filippo e Giuseppe Graviano. Da allora più nulla, fino a poco tempo fa. Le storie su di lui avevano modellato la figura di un mafioso spietato, più furbo di altri e senza ombra di dubbio più prudente, ai limiti della paranoia.
Tra i tanti omicidi da lui commessi, colpisce per l’efferata crudeltà quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito il quale, dopo 779 giorni di prigionia, venne strangolato e sciolto nell’acido all’età di soli 15 anni. 

Messina Denaro
Crediti: sito web palermotoday

Insieme a Totò Riina e Bernardo Provenzano, Messina Denaro è stato tra i mandanti delle stragi avvenute tra il 1992 e il 1993 durante la guerra di mafia tra l’organizzazione criminale siciliana Cosa Nostra e lo Stato Italiano. Anni, che videro la violenza mafiosa – corroborata da qualche funzionario dello stato condannato poi nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia del 2018 – responsabile della morte dei giudici Falcone e Borsellino, nonché dell’attentato a Roma e delle stragi di via dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano. Messina Denaro, perciò, non è solo un semplice capomafia di Castelvetrano, bensì l’ultimo vero vertice di Cosa Nostra, terminale dei rapporti tra la mafia siciliana e la ‘ndrangheta calabrese, e custode dei segreti delle trattative Stato-mafia degli anni Novanta.

Conferenza stampa, arresto Messina Denaro

L’arresto della “primula rossa” è avvenuto nel corso della mattina del 16 gennaio 2023 mentre si trovava all’interno della clinica privata La Maddalena di Palermo, struttura in cui si stava curando in day hospital da oltre un anno sotto il falso nome di Andrea Bonafede. Insieme a lui, è stato arrestato per favoreggiamento Giovanni Luppino, che lo aveva accompagnato in ospedale. Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo Dalla Chiesa che utilizza la meticolosa raccolta di informazioni confrontate tra i tanti reparti dei Carabinieri e le banche dati dello Stato, a cui sono associati il lavoro di investigazione in strada, gli interrogatori e le intercettazioni telefoniche.

carabinieri, arresto Matteo Messina Denaro

Immediatamente dopo la sua cattura, si è fatta strada tra i commenti istituzionali la solita retorica con frasi del tipo “lo Stato ha vinto e la mafia ha perso”. Ora, che l’arresto di un latitante come Messina Denaro non possa che essere concepito come un esito positivo, è fuori discussione. La cattura di uno dei più importanti responsabili delle stragi di mafia è certamente una notizia storica, che fa esultare. E come ci insegna la saggezza popolare.. “meglio tardi che mai”. Ma c’è un tempo per i festeggiamenti e uno per la riflessione. Se la sua latitanza è durata così a lungo è perché ha potuto godere di una fitta rete di protezione e di variegate correità, sia a livello locale che nazionale. A tal proposito, alcuni palermitani, un paio di giorni dopo l’arresto, si sono ritrovati davanti al comando della Legione Carabinieri di Sicilia non solo per dimostrare sostegno alle forze impegnate nella sua cattura, ma anche per manifestare la volontà di ottenere delle risposte. La loro speranza è che Messina Denaro ora parli e collabori con la giustizia svelando tutte quelle verità taciute per decenni. 

Le mafie, da sempre, hanno potuto contare sul consenso popolare e sulle coperture politiche, come dimostrano le storie comuni di Riina e di Provenzano. In realtà, dunque, al netto dell’arresto di Matteo Messina Denaro, oggi la mafia è tutt’altro che sconfitta. E la ragione risiede nel fatto che si tratta di un’organizzazione strutturata e non di un’emergenza temporanea, ossia, fa perno sui suoi principali esponenti ma è organizzata per sopravvivere ad essi. Le mafie, tutte le mafie, in questi trent’anni hanno cambiato volto, imparando dai loro errori e mutando al passo con la società. Il loro nuovo aspetto è ora camaleontico, imprenditoriale, fondato sulla corruzione, sulla tecnologia e sempre meno sulle armi. Con questo non si vuole certo lasciare intendere che non uccidano più, affermarlo sarebbe non riconoscere la realtà nonché mancare di rispetto alle migliaia di vittime innocenti della criminalità organizzata. Al contempo, pensare che l’arresto di una sola persona, per quanto potente ed enigmatica, possa infliggere alle mafie un duro colpo, comporterebbe un errore ingenuo.

…Finirà? Giovanni Falcone era sicuro, sicurissimo, che in un giorno felice di chissà quale anno la mafia, come tutti i fatti umani, avrebbe raggiunto anch’essa una fine. Che fosse troppo speranzoso? Chissà, certo è, che la sua parola oggi sembra per molti arresi dispersa nell’aria come un vapore di profumo. 

I giudici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fotografati a Roma in occasione dell?inaugurazione dell?anno giudiziario. 1992 – Archivio ANSA

Alla luce di ciò, è forse bene ricordare che la mafia e la criminalità cittadina sono due cose ben distinte. La criminalità è radicata, cronica e deve la sua forza ad una brutalità insofferente e priva di sistema. La mafia invece, è una struttura delittuosa dotata di una distintiva valenza politica, ovvero capace di azione politica, intesa non solo come esercizio e/o detenzione di potere, bensì come azione finalizzata a quest’ultimo. Si basa anzitutto sul consenso dal basso e dunque sulla complicità di chi sente lo stato assente. Ragiona in forma strategica e ha ambizioni governative: diventa potente perché sa corrompere, ricattare e uccidere. Un vero e proprio Stato nello Stato quindi, che dispone di ingenti quantità di denaro ed usufruisce di una rete diplomatica e politica internazionale. 

La mafia, perciò, si batte se tutte le istituzioni e la società civile, comprese la cultura e la scuola, si muovono nella medesima direzione, vale a dire quella che mira a bloccare ogni condotto attraverso cui gli interessi criminali si espandono. Perché esiste una zona grigia, dove bene e male si sovrappongono e dove i confini tra buono-cattivo, legale-illegale si sfumano, di complici che sostengono i boss e ne consentono il potere, la ricchezza, l’influenza politica ed economica. E quella zona va prosciugata non solo in Sicilia e nelle altre aree di Calabria e Campania in cui Cosa Nostra, la ‘ndrangheta e la camorra continuano ad esercitare la propria influenza. Va illuminata anche nelle regioni del Nord, a partire dalla Lombardia, le cui cosche mafiose si sono pericolosamente radicate inquinando, come un grave tumore, il tessuto economico e politico locale. 

“La mafia uccide, il silenzio pure.” – Peppino Impastato 

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