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Le Recensiony | (Elliott) Il drago invisibile

Se dovessi paragonarlo ad una giornata questo film sarebbe uno di quei giorni in cui ti svegli e per qualche motivo il mondo ti sorride e verso mezzogiorno ti sorprende pure. Ma non tutto è rosa e fiori, e arrivi alla sera che sei distrutto, come se avessi vissuto almeno due giornate in una.

In effetti i film di oggi sono due, Elliott il drago invisibile del 1977 e Il drago invisibile del 2016.

I remake sono spesso infelici, disastrosi talvolta, ma non è questo il caso.

Entrambe le pellicole si aprono e spiazzano lo spettatore nel giro di due minuti. La produzione del ‘77 ci riesce perché è incredibilmente trash, fastidiosa; quella di quest’anno invece è in grado di disegnare in pochissimo un quadretto in cui ci si ritrova subito, idilliaco e nei canoni tipici di questo genere, ma al contempo la morte improvvisa e per niente telefonata ci lascia lì, quasi come se fossimo sul ciglio della strada a guardare l’incidente in tempo reale. A questo punto, nella pellicola più recente, avviene l’incontro con il drago in CGI: credibile, immerso nel contesto e al limite del realismo. Di contro nella pellicola di quarant’anni fa cercano in tutti i modi di farci capire quanto il drago sia palesemente finto, nella sua tecnica mista piuttosto grezza. Certo, tutti concordiamo sul fatto che fossero gli anni ‘70, ma hey, guardate un po’. Nello stesso anno usciva il primo Star Wars, invecchiato decisamente meglio.

Il millenial poi prosegue mostrandoci un salto temporale di sei anni in cui il bambino cresce e il rapporto fra i due diventa un misto tra un’amicizia e una relazione genitore-figlio. Vengono presentati gli altri personaggi, la famigliola del nuovo millennio (padre vedovo, con figlia, che convive con una donna pur senza essere sposati, go Disney), il fratello cattivo e ambizioso, il nonno moderno a cui nessuno dà troppo corda, se non i bambini. Qui troviamo il primo punto di contatto, soprattutto nei personaggi che incarnano le figure materne, Nora nel film del ‘77, Grace in quello del 2016; entrambe le donne hanno un padre per certi versi strampalato, il primo è l’ubriacone simpatico in stile zio Reginaldo de Gli aristogatti, e l’altro un fantasioso signore a cui nessuno, soprattutto la figlia, crede. Sono figure forti e autonome: una, guardiana del faro, l’altra, una guardaboschi.

Ed è qui, con Nora, che finalmente il film originale comincia ad acquistare quel minimo di dignità di cui può affrancarsi. Ben poca a dire il vero, ma non per colpa di questo personaggio.

Andando avanti, l’Elliott del primo film si rivela una creatura magica, un pasticcione che fa fin troppi danni ed è sostanzialmente causa di ogni disgrazia; l’Elliott moderno è invece un animale, una bestia con abilità particolari e più intelligente del comune, ma si comporta da animale e spesso ha veri e propri atteggiamenti da cane. Ancora una volta viene ricercato un certo realismo nella finzione, cosa che nel film precedente manca assolutamente.

Si prosegue in maniera didascalica e banale nel film originale con quei tempi tipici dei vecchi film, che oggi risultano inutilmente allungati; il remake non è da meno, nella prima metà; ben presto cade la noia e il fastidio per l’eccessiva semplificazione della narrazione. Complice anche un boscaiolo che nel bel mezzo del turno di lavoro, mentre tutti sgobbano, suona la chitarra. A caso. Il perché? E chi lo sa.

Con la leggerezza solita dei film Disney di quegli anni, si svolgono in scena le situazioni più ridicole, adatte più ai cartoni animati che ad un film in live action. Non si motivano, se non per il puro divertimento dei più piccoli ai quali è in effetti dedicato il film, scenette come l’arrivo del dottore-ciarlatano o Elliott che si “ubriaca”; o ancora, la stupidità travolgente della campana che suona palesemente da “sola”, ma hey, diamo la colpa al bambino seduto in classe. Perché? E poi le canzoni. Oh. Mio. Dio. Le canzoni, il male di vivere. Dodici. DODICI musichette diverse.

Se il film originale violenta le orecchie, quello nuovo stupra gli occhi. Con quella sua atmosfera sempre verdognola. Certo, si capisce il perché; dovrebbe richiamare il colore del drago, e sulla carta probabilmente era un’idea brillante o per lo meno interessante, ma la realizzazione, la resa finale è fastidiosa e finisce per rovinare l’intera fotografia.

Ma di cose insulse ne è pieno anche il film del ‘77. Non si capisce per quale motivo la famiglia che ha comprato dall’orfanotrofio il bambino, che veniva maltrattato prima che scappasse, è ora alla sua ricerca. Seriamente, sono curioso di conoscere la motivazione. Si salva con la lieve critica al capitalismo, davvero leggera, ma la si apprezza sempre.

Un altro punto di contatto e allo stesso tempo di differenza sta nella ricerca di Peter, il bambino, di relazioni umane. Nel film originale il giovane cerca dapprima di trovare una comunità che lo accetti, visita il paesino in cui si ritrova e finisce per affezionarsi a Nora; il Peter odierno invece ha fiducia solo in Grace e nella figlia acquisita della donna e alla fine trova una comunità intera, non senza mille fatiche. Inoltre in entrambi i casi i draghi alla fine vanno per la loro strada: nel primo film Elliott, dopo aver difeso con le unghie e con i denti il ragazzino, decide senza apparenti motivi che fosse ora di andare ad aiutare qualcun altro; nel secondo, in maniera più sensata ma sentimentalmente distruttiva per lo spettatore, Peter vuole iniziare la sua vita da umano ma senza rinunciare al suo amico e difensore, e fortunatamente non è costretto a farlo; molte lacrime dopo, non mie.. forse, solo un po’, il film si conclude nei migliori dei modi. Cosa che non posso dire della pellicola originale che alla fin fine è una delusione, una vera e propria lagna da 100 minuti che sembra non finire mai, fatta di suoni fastidiosi (i versetti del drago), dinamiche banali, fin troppo infantili; la narrazione è continuamente interrotta da orribili (ma questo è mio disamore per i musical) canzonette e balletti; i cattivi sono tutti brutti e sporchi, i buoni puliti e belli; l’ambientazione degli Stati Uniti di fine ‘800, dipinta come un posto di sempliciotti che vivono idillicamente è particolarmente fastidiosa; la stupidità insulsa tipica dei cartoni ma non adatta ad un film in live action lascia sconcertati. Non ha sostanzialmente nulla a suo favore, se non la figura di Nora.

Quindi sì, ci troviamo di fronte ad un caso da manuale in cui il remake è decisamente migliore dell’originale; questo non significa che sia un film perfetto ma è perfettamente godibile, d’intrattenimento per la famiglia, per i bambini e per tutti quelli che non hanno enormi pretese sui film di questo genere.

Se il film del 2016 è Il drago invisibile, quello del 1977 è “Il drago inguardabile”.

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