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Dieci giorni da Venezia 73

Avete mai immaginato di poter entrare in una pasticceria e avere il permesso di assaggiare tutti i dolci che volete? Ecco, questa è esattamente la sensazione che ho provato approdando al Lido di Venezia per partecipare alla 73˚ Mostra internazionale d’Arte 20Cinematografica (31 agosto-10 settembre). Un Festival fatto di e per i film, inserito nella romantica cornice della Laguna, con l’azzurro del cielo e del mare, il rosso scarlatto del red carpet, davanti al quale fans provvisti della costanza di samurai attendevano ore e ore per poter anche solo intravvedere i propri idoli (una sera delle ragazze si sono addirittura arrampicate su un alberello, con la spImm.2eranza di fotografare James Franco. Inutile dire che hanno fatto un bel capitombolo). Insomma, così tanto da vedere, da non sapere quasi da che parte cominciare e, una volta iniziato, fare fatica a fermarsi. Quasi una prova di resistenza psico-fisica: trascorrere pressoché l’intera giornata guardando un film dopo l’altro è decisamente un’esperienza che rasenta il mistico (ma il dolore alle gambe e alla schiena, vi assicuro, era decisamente un qualcosa di terreno). Per fortuna un’oasi di cuscini colorati – se si aveva la prontezza di assicurarsene uno – offrivano la possibilità di un break sull’erba prima di entrare nuovamente in sala. Ovunque tanti volti, tante storie anche solo accennate, di chi ormai al Festival viene ogni anno e di chi, come me, era lì per la prima volta. Superato lo spaesamento iniziale, geografico e logistico – decifrare il (perverso) funzionamento degli accrediti non si è rivelato affatto scontato – il tempo e lo spazio si sono annullati, in favore di un’unica dimensione, quella dello schermo.

Ma veniamo al punto: chi sono i vincitori di quest’anno? Il Leone d’Oro per il miglior film è stato assImm. 3egnato al regista filippino Lav Diaz per Ang Babaeng Humayo (The Woman Who Left). Per la prima volta in gara all’interno della sezione ufficiale in concorso (Venezia 73) dopo aver partecipato per diversi anni in quella Orizzonti – categoria che ospita opere rappresentative di nuove tendenze espressive ed estetiche a livello mondiale – Diaz ha catturato la giuria di Sam Mendes con un lungometraggio (è il caso di dirlo: 226 minuti totali!) definito dalla critica “fluviale”, anche se paradossalmente breve rispetto ai suoi lavori precedenti (nel 2007 si era presentato al pubblico veneziano con Land of Encantos, pellicola di 9 ore). Attesissimo dai super esperti della settima arte, questo film risulta sulle prime un po’ ostico per il grande pubblico, complice la lentezza con cui i personaggi agiscono e si muovono sullo schermo in un onirico mondo in bianco e nero. Tuttavia, se durante i primi minuti lo spettatore profano si sente perso, ben presto si ritrova ammaliato dalla tragica storia di Horacia, appena uscita di prigione, dopo 30 anni di reclusione per un crimine mai commesso.

Dopo un’assenza di settImm4e anni il regista-stilista Tom Ford torna al Lido per aggiudicarsi il Leone d’Argento-Gran Premio della Giuria con il thriller Nocturnal Animals (nelle sale italiane dal 17 novembre), definito “inebriante e provocatorio” dalla critica. Realtà e finzione, passato e presente si (con)fondono sullo schermo, attorno alle vite dei due protagonisti (i bellissimi Jake Gyllenhaal e Amy Adams).

A pari merito per la miglior regia troviamo Paradise di Andrei Konchalovsky e La Regiòn Savaje (The Untamed) del messicano AmaImm. 5t Escalante. Due pellicole diversissime: il primo, un film storico-introspettivo, in bianco e nero, sull’Olocausto, il secondo un mix tra horror, fantascienza e soft porno. Se il regista russo non delude le aspettative, Escalante, per la troppa smania di stupire e provocare, offre al pubblico un’opera girata magistralmente, ma di fatto meno scandalosa di quanto si andava chiacchierando all’apertura del Festival (anche se non so quanti mangeranno serenamente un’insalata di mare dopo la visione di questo film).

Grazie a Noah Oppenheim, Jacimm. 6kie di Pablo Larrain ha vinto il Leone d’Argento per la migliore sceneggiatura. Una parziale delusione, forse, per un film che aveva trovato giudizio unanime in critica e pubblico in merito alla sua regia brillante e all’eccezionale performance di Natalie Portman (che supera a pieni voti la prova di impersonare un tale “mostro” della storia americana), straordinariamente simile alla First Lady moglie di JFK. Il risultato: 90 minuti intensi, struggenti. Un film che commuove dall’inizio alla fine. 

Anche La La Land di Damien Chazelle, il musical che ha aperto la Mostra, ha disatteso i pronostici iniziali, assicurando “solo” la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Emma Stone (purtroppo, per vederla piroettare sullo schermo insieme all’affascinante Rayan Gosling dovremo aspettare fino al 26 gennaio del prossima anno). Il corrispettivo maschile del premio va a Oscar Martìnez, il Daniel Mantovani in El Ciudadano Illustre dei registi Mariano Cohn e Gastòn Duprat. Opera arrivata in sordina al Lido, ha riscosso subito un’accoglienza molto positiva, complice la semplicità del suo stile e l’ironia dolce-amara dello scrittore protagonista.

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Ma che altro, oltre a trofei e coppe? Fuori Concorso Paolo Sorrentino ha presentato in anteprima due episodi della sua nuova serie tv, The Young Pope (dal 21 ottobre su Sky Atlantic): la rocambolesca ascesa al soglio pontificio di Pio XIII (Jude Law), Papa inventato ad hoc dal regista, tutto made in USA. Amir Naderi in Monte (Premio Jaeger-LeCoultre Glory to The Filmaker 2016) ha avvinto il pubblico spingendo ossessivamente i protagonisti della sua opera – Andrea Sartoretti e Claudia Potenza – ad andare oltre i propri Imm. 9limiti, in una sfida contro la natura e loro stessi. Da segnalare anche In Dunious Battle dell’attore-regista James Franco, (adattamento fedele di un testo di Steinbeck), che mette in scena un tentativo di rivolta popolare nell’America degli anni ‘30. Antoine Fuqua conclude il Festival in grande stile, realizzando il remake dei Magnifici Sette (dal 22 settembre in sala), con il dichiarato (ed efficace) intento di rilanciare il western e diimm 10 realizzare un film che sia intrattenimento puro (con Danzel Washington – arrivato a cavallo sul red carpet – e Chris Pratt a capo di un cast stellare).

Veniamo a due tra i film-documentari più azzeccati di questo festival. One More Time With Feeling (il 27 e 28 settembre su Nexo Digital) di Andrew Dominik nasce come la ripresa delle performance di Nick Cave and the Bad Seeds in occasione dell’uscita del loro nuovo album (Skeleton Tree, disponibile dall’8 settembre – lo sto ascoltando proprio ora); dai magnifici giochi di luce e dalle note struggenti dei brani, emerge a poco a poco il dolore di Cave, colpito dalla morte improvvisa di suo figlio, lo scorso anno. Austerliz di Sergei Loznitsa mostra “semplicemente” i turisti in visita a un campo di concentramento, più interessati al pranzo al sacco e a farsi selfie davanti ai forni crematori che a ricordare quanto è successo in quel luogo di morte.

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Nessun riconoscimento per i registi italiani in concorso. Giuseppe Piccioni porta al Lido Questi Giorni (già in sala dal 14 settembre), mentre Roan Johnson Piuma, “il film più leggero dell’anno” (dal 20 ottobre al cinema); loro denominatore comune è la giovane età dei protagonisti, alle prese con gravidanze inaspettate e viaggi on the road quasi metaforici. Il primo giudicato troppo impostato e nostalgico, il secondo decisamente un outsider posto accanto ai grandi nimm 13omi in concorso. Massimo D’Andolfi e Martina Parenti ci provano con il documentario Spira Mirabilis (tra pochi giorni in sala), un capolavoro visivo – ma di non facile comprensione – che unisce arte, musica e scienza.

Nella sezione Fuori Concorso, Gabriele Muccino ha proposto L’estate addosso e Kim Rossi Stuart Tommaso (entrambi già al cinema). Definito ermeticamente “mucciniano” il primo, per il secondo invece rimbalzano sui giornali parole come “pretenzioso” e “autoreferenziale”. Per le Giornate degli Autori ricordiamo Caffè – prima coproduzione italo-cinese – di Cristiano Bortone (uscita: 13 ottobre) il racconto di tre storie collegate dall’aroma della bevanda omonima. Mentre La Ragazza del Mondo di Marco Danieli (da non perdere, nelle sale dal 3 novembre), grazie alla parabola intensa dei suoi protagonisti (Sara Serracchio e Michele Rondolino), conquista il pubblico.

Dalle stelle alle stalle, si dice. The Bad Batch ha suscitato molte perplessità, a dispetto delle alte aspettative che si erano create intorno al secondo lavoro dell’emergente regista Ana Lily Amirpour (addirittura paragonata dalla critica a un nuovo Tarantino). Film che si aggira indeciso tra lo splatter, il western e il post-apocalittico, fa più sorridere che restare con fiato sospeso, nonostante la presenimm 14za di spietati e dubbi individui (provvisti di machete e di singolari appetiti!). Anche Martin Koolhoven tenta – senza risultare convincente – la strada del mix di generi con Brimstone, tramite la storia di Liz e del malefico uomo che la perseguita. Wim Wenders Ha messo a dura prova la resistenza del pubblico con Les Beaux Jours d’Arananjuez (al cinema dal 2 novembre), film “ben fatto, ma non per tutti” (e da non guardare post pranzo). Mel Gibson torna alla regia con Hacksaw Ridge, colossale film di guerra che racconta la vera storia del soldato Desmund Doss – medaglia d’oro militare durante la battaglia di Okinawa – opera tuttavia definita troppo “densa, retorica e pesante” dalla critica. Il serbo Emir Kusturica non propone nulla che non sia già stato visto con il suo On the Milky Road, rumorosa fiaba moderna, inserita nel contesto della guerra balcanica. Il regista-filosofo Terrence Malick propone un nuovo documentario, ma delude con Voyage of Time: Life’s Journey: i quattordici milioni di anni del nostro pianeta, raccontati (dalla voce suadente di Kate Blanchett) in 90 minuti non convincono critica e pubblico.

L’ultima sera, con uno Spriz in mano, mi sono guardata intorno e ho pensato che, veramente, avevo respirato cinema quasi 24 ore al giorno. Ho pensato che avevo avuto a pochi passi da me – a volte nella stessa stanza – attori, registi, sceneggiatori: i rappresentanti di tutto quel mondo che si trova dall’altra parte dello schermo. Fantastico, semplicemente. Esperienza da rifare. Che altro dire? Venezia, ci vediamo l’anno prossimo.

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