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#CineSport: “Veloce come il vento”

Benvenuti in #CineSport, la rubrica di “Birdmen” sullo Sport nel Cinema. Qui tratteremo dell’incontro di due mondi che vivono di emozioni, e sfrutteremo lo Sport come trampolino per parlare di Settima Arte, di storie, di chi le ha vissute e di chi le racconta.

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Se dovessi paragonarlo ad una giornata questo film sarebbe una di quelle dove ci si ritrova ad una lezione su Primo Levi. Oggi parliamo di Veloce come il vento, pellicola del 2016 di Matteo Rovere, già produttore del povero The Pills – Sempre meglio che lavorare e della giustamente fortunata trilogia di Sibilla Smetto quando voglio. La trama – direbbe il buon Frusciante – è delle più semplici. La famiglia De Martino è immersa nelle corse automobilistiche, e perfino la figlia diciassettenne Giulia corre il campionato GT. Quest’ultima è interpretata da Matilda de Angelis che, ai tempi 21enne e alla sua prima prova sul grande schermo, se non perfetta, si dimostra comunque in grado di migliorare e di stupire in futuro, con un po’ di esperienza in più; al momento è nuovamente nelle sale, dal 25 aprile, con Youtopia.  Lasciati soli prima dalla madre, poi dal fratello e infine anche dal padre stroncato da infarto, la ragazza e il fratellino Nico cercano nelle gare il modo per affrontare il lutto ma soprattutto il modo per rimanere a galla. Il padre infatti aveva dato la casa di famiglia come garanzia del prestito contratto con l’avversario Minotti in cambio dei soldi necessari per le gare del campionato. Il fratel prodigo, Loris, dopo un decennio, si presenta sulla porta di casa come nulla fosse, e Giulia è costretta ad accettare questa convivenza per evitare che Nico venga portato via. Stefano Accorsi è qui in stato di grazia, e interpreta il tossicodipendente Loris perfettamente. Sguardi vuoti, sorrisi ebeti e sdentati lo caratterizzano, insieme ai mille “vaccaboia” e ai dialettalismi vari accompagnati da un marcato accento. Il ballerino, così viene chiamato da chi conosce il suo passato, non tarda a dimostrare di valere ancora qualcosa e Giulia ammorbidisce, per amor di gara, il suo atteggiamento. Si susseguono velocemente, come in ogni buon film sportivo, le immagini della preparazione atletica. Per allenare la guida, bisogna allenare il corpo, e Loris, nonostante abbia ormai un corpo distrutto da anni di vita ai margini e dalle droghe, dimostra di sapere il fatto suo. Pian piano scopriamo la ragazza dietro alla pilota. Giulia è un’adolescente costretta a crescere troppo in fretta, prima per l’assenza della madre, poi per il fratellino, per le gare, per la morte del padre che significa dover prendere tutto sulle proprie spalle. In pista il ritmo cambia, diventa più serrato, parte Sail di Awolnation e allora si capisce che si fa sul serio.

veloce-come-il-vento-giulia-2-e1461061325511I De Martino cominciano a scalare la classifica, corsa dopo corsa ma Minotti li avverte che vincere il campionato non sarebbe bastato a saldare i debiti; propone a Giulia di correre con lui l’Italian Race, una gara clandestina e pericolosa dove già molti hanno perso la vita. Determinata verso la bandiera a scacchi, la giovane non si lascia tentare e continua per la sua strada. Il clima di apparente tranquillità viene bruscamente interrotto. Loris fa danni, nonostante le buone intenzioni, dimostrando la sua difficoltà a relazionarsi con la realtà. In questo senso il film cerca di affrontare il problema della fama che sfuma e di come un campione si ritrovi ad essere nulla, costretto a vivere ai margini e a correre gare solo nei trip. Toccato il fondo, la sua stessa famiglia tossica lo rifiuta e Loris si trova di fronte alla realtà. Deve riscattare se stesso e soprattutto il futuro della famiglia biologica. La sorella, impossibilitata a concludere il campionato, perde la casa e Nico viene portato via dagli assistenti sociali. Rimane una sola cosa da fare. Con la sua vecchia “bara”, la Peugeot 205 turbo 16 Loris corre l’Italian Race. Il pathos, la voglia di riscatto, il rettilineo, il buio. In coda un flashforward da lieto fine.

Veloce_come_il_ventoIl film si caratterizza per una certa ricerca di realismo, di un mondo grezzo, senza fronzoli, polveroso come le piste. Nonostante sia la storia romanzata di Carlo Capone, campione GT degli anni ottanta, nulla è rosa e fiori. È un mondo sfaccettato e i personaggi, soprattutto i due fratelli protagonisti, hanno un ventaglio di emozioni realistiche. Giulia è sempre fredda e razionale perché tesa a proteggersi e a proteggere il fratellino. Ma non appena esce da quel ruolo, ricorda di essere una ragazzina con bisogni aderenti alla sua età. Loris risulta sempre eccessivo, stralunato, inopportuno, ma dimostra un passato non meglio specificato fatto di dolore, di fatica, di capacità sprecate in un cilum. Quasi dolorosa la scena della riscoperta della “bara” sotto al telo.

All’inizio dicevo che è una lezione di Primo Levi non di certo per i temi, ma per la figura di Loris. Lo scrittore ebreo autobiograficamente parla della storia di milioni di Ulisse che prima scendono agli inferi in Se questo è un uomo per poi risalire alla luce, ritrovando se stessi ne La tregua. Certo il paragone è forte, l’Ulisse dantesco e quello omerico sembreranno esagerati per questo film, ma è sostanzialmente quello che succede. Nonostante ci sia il lieto fine con la famiglia ricongiunta, non abbiamo un riscatto totale, non è tutto perfetto. Si mantiene quella patina di realismo che contraddistingue tutto il film. Loris rimane Loris; semplicemente ora ha intorno qualcuno che forse può aiutarlo a tenere le mani sul volante lungo una strada in salita.

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