Concorsi

2°. La danza del tempo – Jessica Palmieri

di Jessica Palmieri

Prima o poi dovrai spiegarmi perché un grande pittore come te se ne viene in cerca di ispirazione in un posto come questo.” … “Cos’ha questo posto che non va?” Chiese lui alzando il naso dalla sua tela per guardarsi intorno. Il molo minuscolo, la banchina stipata di casse di pesce, lo sprezzante sguardo, quasi di sfida, che i gabbiani lanciavano ai pescatori… Quella piccola nicchia di mondo un po’ in disparte riusciva ogni volta a commuovere il pittore. “Cos’ha questo posto che non va?!” L’amico iniziò a gesticolare incredulo, agitando le braccia come il protagonista di una pantomima un po’ grottesca, indicando i barili abbandonati che spuntavano un po’ ovunque in mezzo agli scogli, e i tubi di scarico malamente nascosti che finivano dritti in acqua. Il pittore semplicemente rise e ritornò ai suoi pennelli: “Almeno qui posso fare ritorno ogni volta che voglio, senza temere che svanisca tutto nel nulla.” Lo sussurrò piano, quasi a se stesso.

A lui quel circo non piaceva. Non era mai stato un ragazzino fifone ma c’era qualcosa tra quelle tende che non lo convinceva, soprattutto quando con il suo gruppetto di amici ci sgattaiolavano in piena notte, nelle sere in cui gli artisti non si esibivano. L’ enorme privilegio di poter scorrazzare dietro le quinte e tra i camerini se l’erano guadagnati qualche anno prima, quando avevano fatto amicizia con la figlia dell’ammaestratore di leoni, ormai diventata “una di loro”, una del gruppo; e così durante gli ultimi giorni di primavera di ogni anno si ricongiungevano alla piccola viandante straniera, quando il circo quasi magicamente faceva la sua comparsa alle porte della città. Noah tuttavia non riusciva a condividere l’entusiasmo degli altri ragazzini: non appena la carovana di artisti itineranti cominciava a baluginare all’orizzonte, ancora poco più che un miraggio, il cuore del ragazzo già singhiozzava inspiegabilmente. Era ormai in grado di prevedere il momento esatto in cui il primo compagno di classe ad avvistare l’arrivo dei carri avrebbe fatto l’annuncio, gridando e indicando con gran fervore la strada che si srotolava fuori dalla loro finestra. Noah avrebbe potuto precederlo, che il suo respiro di un tratto mutava colore e l’animo gli si riempiva di strane ombre. Non aveva mai fatto parola con nessuno di quella sua insolita inquietudine, semplicemente, in quei giorni dell’anno – “i giorni del circo”, li aveva ribattezzati lui- si barricava in un silenzio non convenzionale, la bocca perennemente contratta in un quasi impercettibile broncio. Nonostante questo, continuava a seguire i suoi amici dovunque andassero, anche quando la meta delle loro spedizioni segrete era per l’appunto il circo; e per quanto fosse riluttante ad ammetterlo, una piccola parte di lui, la parte più sconosciuta, meno visitata, sapeva bene che in realtà di quelle spedizioni non ne avrebbe persa una neanche per sbaglio. Quella sera il vento sussurrava agli alberi parole di tempesta. Il tendone principale pareva gonfiarsi e restringersi come animato da presenze capricciose, e quella notte più di sempre, Noah avrebbe voluto che i suoi amici si stancassero presto di restare in quel posto. Se ne stava seduto su una balla di fieno rettangolare, sprofondato nella giacca del fratello dalle maniche un po’ troppo lunghe, e giocava svogliato a calciare le carcasse dei palloncini sgonfi… “Tu qui non ci vuoi mai venire, eppure torni sempre.” A quelle parole Noah alzò lo sguardo senza riuscire a mascherare la sorpresa; era Leyla, la piccola straniera, che doveva essersi stancata di giocare a nascondino insieme agli altri, lei del resto i nascondigli di quel posto li conosceva tutti… “Chi ti dice che non ci voglio venire?” Raffiche di vento scombinavano il mondo, frammentando la loro conversazione… “Lo dici tu, dalla punta delle scarpe fino alla punta dei capelli”, e nel rispondere questo, a Leyla uscì una limpida risata, gentile ma disarmante. “Mah, è un posto come un altro.” Era il vento o qualcos’altro a scomporre in fremito le parole di Noah? La ragazzina lo guardò intensamente, socchiuse gli occhi come se stesse valutando a fondo una questione estremamente importante, e dopo qualche interminabile secondo, interrogò seria il ragazzo: “Un posto come un altro. Ne sei sicuro?” Noah ricambiò con un’espressione curiosa e quasi per niente sorpresa. Leyla allora sorrise, si avvicinò a lui delicata e prendendogli un lembo della giacca tra le dita, gli disse con un soffio di voce lieve: “Vieni con me, ti

faccio vedere.” Lui le andò dietro, sparendo insieme alla bambina nel gigantesco tendone a righe. Se si fosse voltato indietro avrebbe visto il mondo sospendersi, la tempesta acquietarsi… “Dov’è tuo padre, dove sono tutti?” … “Probabilmente si saranno rintanati in qualche bar in città”, rispose la piccola, e poi in tono di sfida aggiunse: “Seguimi!” Cominciarono a correre attraverso l’ampia pista circolare, si infilarono tra i palchi delle prime file e proseguirono facendosi largo tra i vari attrezzi del retroscena, sgusciando in corridoi stretti che il ragazzino non aveva mai visto prima. Più tempo passavano a sfrecciare in quell’intricato labirinto, più a Noah girava la testa; sfinito, gli sembrava di stare diventando più inconsistente di un sogno. All’improvviso Leyla si arrestò, facendo quasi inciampare il ragazzo; davanti a loro una curiosa porta intarsiata, con una targhetta appena leggibile a lato: “Prendetevi cura delle vostre ombre”, si riusciva a intravedere. D’istinto il ragazzino afferrò la maniglia per entrare ma di colpo Leyla lo fermò: “No, è proibito. Puoi solo sbirciare da lì”, disse indicando la bizzarra serratura sfrangiata. Più titubante, Noah si accostò alla fessura e i suoi occhi scivolarono al di là. Al di là del mondo. Al di là del tempo. I colori esplosero in migliaia di forme geometriche pulsanti, o forse non erano forme, non erano forme ma trapezisti, trapezisti e giocolieri che giocavano a tirarsi addosso barattoli di vernice, o forse ancora stelle, stelle in collisione. Vide scintille e maschere, animali e bambini riunirsi intorno ai cantastorie, e foreste incantate e valli stregate e anime maledette di grandi sognatori che tentavano di riscrivere il mondo. Vide la sorgente di ogni ispirazione che correva alla foce cantando, trascinando con sé qualsiasi cosa fosse abbastanza leggera da poter danzare in quel limpido fiume in piena. Vide le radici del mondo, i salti nel vuoto, un bambino su una balla di fieno, una strada all’orizzonte, una carovana in movimento. Poi tante altre. Come ultima, scorse l’ombra di un vecchio su un molo arrugginito, pennello e tavolozza alla mano, intento a ritrarre qualcosa oltre l’orizzonte. Poi ogni cosa collassò su se stessa, e la vista si oscurò. Risvegliatosi nel suo letto, Noah trasalì alla luce del sole. Si precipitò in cucina in tutta fretta, chiedendo alla madre il permesso di uscire e corse più veloce che poté fino alle porte della cittadina. Nello spiazzo dove fino alla sera prima c’era un circo, non trovò più niente, se non qualche volantino orfano e un vago odore di luoghi esotici impigliato nell’aria. Restìo ad andarsene, si sedette a terra e se ne rimase un po’ lì, ad annusare ricordi già lontani.

Una leggera brezza sollevò qualche onda, portando con sé voci di pescatori e risate lontane. Dopo ore di lavoro il pittore si concesse di riposare, cullato da quel vento soffice. L’amico se ne era andato da tempo. Gli occhi socchiusi, rivolti verso un orizzonte fumoso, sorrideva al tepore del sole, o forse a una luce ben più remota. Poi con affetto accarezzò i bordi del quadro appena terminato. Dalla tela, un luccicante occhio di bambino pieno di meraviglia ricambiò lo sguardo del vecchio, da dietro la sagoma abbozzata di una curiosa serratura. Il pittore sorrise anche a lui, e con la tela sottobraccio si avviò verso casa.

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