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Way to Santiago #4 – Molinaseca

Una citazione a cui sono particolarmente affezionata e che mi piace utilizzare sempre in casi come questo recita più o meno così: “Dovrai fare molta fatica nella scalata, ma ricorda che una volta che si arriva in cima, la vista è bellissima“. Durante il cammino verso Santiago mi è capitato di pensarlo diverse volte, quasi naturalmente, ma, per la prima di queste, in un’occasione particolare che sa quasi di paradosso. Perché nel ripetermela sottovoce, in quel momento, non mi ritrovavo in cima a una montagna, bensì ai suoi piedi.

Molinaseca. Questo il nome di una graziosa cittadina castigliana attraversata dal rìo Meruelo, e situata nella valle alle pendici del monte de las Dos Hermanas e del monte de Cabezo. Quinta tappa del nostro percorso; il mio inferno personale, “morte e rinascita” del mio essere pellegrina.

Quel giorno ci trovavamo a partire da Rabanal del Camino con obbiettivo El Acebo, una ventina di chilometri, una mattinata semplice di cammino a tenore abbastanza tranquillo. Su consiglio di Alessandro, un pellegrino veterano che ci aveva consigliato di non proseguire oltre per evitare di percorrere otto chilometri in discesa ripida rischiando di farci male e di non riuscire a proseguire il giorno seguente. Dopo quella che a noi era sembrata nient’altro che una passeggiata, arrivate a destinazione, ci siamo dedicate al pranzo e alle pubbliche relazioni, e ci siamo messe alla ricerca di un posto dove dormire. Salvo poi decidere di cambiare completamente tutti i nostri piani per una momentanea e fugace sensazione di rilassatezza e carica di positività, fisica e morale. Abbiamo perciò deciso di aggiungere a quei 20 altri 8 chilometri, in teoria non più di un paio d’ore di cammino. In pratica, un intero pomeriggio sotto il Sole in una “cordata improvvisata”, in discesa lungo il pendio di una montagna disseminato di massi spigolosi e dal terreno sdrucciolevole. Quando ci avevano parlato di una discesa di otto chilometri, a dirla tutta, un po’ ci eravamo preoccupate. Forti del nostro entusiasmo e della smagliante forma fisica di quel giorno, però, con una baldanza effettivamente, giudizio a posteriori, un po’ esagerata, abbiamo proseguito dopo il pranzo e con jamòn serrano e tortilla di patate ancora in pancia, ci siamo incamminate. Noi quattro e una nuova amica, una ragazza tedesca gentile e silenziosa conosciuta il giorno prima in albergue e aggregatasi a noi per quella tappa. Per i primi due chilometri abbiamo cantato, riso e scherzato, tanto, forse anche preso in giro chi, giudicandoci inesperte, deboli, ci aveva sconsigliato di intraprendere quel tratto nella stessa giornata, a quell’ora.

Poi sono arrivati i massi, le radici, i sentieri esposti al Sole, l’assenza di appigli per scendere; la borraccia vuota; il mal di ginocchia, sempre piegate per rallentare la velocità della discesa e per molleggiare, per sentire meno il “macigno” sulla schiena. Discesa, commento, tratto piano. Discesa, imprecazioni, tratto piano. Discesa… e poi sono arrivate le lacrime ed è scomparso il piano. Nessuna di noi parlava più, sguardo rivolto verso il basso, a guardarsi i piedi, doloranti; oppure diretto verso le pendici della montagna alla ricerca di un paese, di un segnale di vita e di vittoria. Io mi sono ritrovata a guardare il cielo e a pensare: che avevo bisogno d’aiuto e che non sapevo se a Molinaseca ci sarei mai arrivata. Inutile dire che dell’errore commesso ci siamo accorte quasi subito, anche nel vedere che attorno a noi non c’era nessuno perché tutti si erano fermati prima, così ora ci trovavamo completamente sole, circondate da sterpaglia e nient’altro che le montagne. E’ davvero difficile descrivere a parole la disperazione di quel momento, lo sconforto, la sfiducia e la voglia di sedersi a terra e mollare. Invece, ormai strisciando i piedi sulla polvere, respirando velocemente, asciugandoci la fronte madida di sudore, abbiamo proseguito e alla fine, come una pompa di benzina in autostrada, ecco un cartello e la scritta “Molinaseca”. Dubito che quel pannello abbia mai visto qualcuno tanto felice di incontrarlo, né tantomeno che abbia mai ricevuto così tanto affetto e abbracci “in vita sua”.

Di Molinaseca mi rimarranno impressi il percorso tortuoso, la scelta sbagliata -consapevolmente- passo dopo passo, la bellezza della città, il dolore fisico e la stanchezza mentale. Ma ancor di più l’abbraccio e il pianto di gioia di cinque ragazze spossate, provate, stremate, ma ancora convinte che, “una volta arrivati in cima (o ai piedi) di una montagna, la vista è bellissima”. Lo è davvero.

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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