RiflessioniViaggi

Way to Santiago #3- “Siete pellegrine?”

Una delle cose che più spaventano chi decide di partire per Santiago, oltre alla paura delle vesciche, delle tendiniti, dei dolori vari, del rischio di dormire à la belle étoile e di collassare per strada per la stanchezza, è quello di trovarsi completamente fuori posto, senza sapere come comportarsi o se si riuscirà a vivere questa esperienza nel modo giusto. Chi inizia il suo cammino ricerca fin da subito un senso di appartenenza, vuole capire come dovrà affrontarlo, chi conoscerà e soprattutto chi diventerà.

Prima di partire la norma è quella di recuperare una Credencial, una sorta di “passaporto” ufficiale del pellegrino dove raccogliere timbri dagli albergues (gli ostelli per pellegrini), e non solo (spesso è possibile ottenerli in negozi, parrocchie, uffici del pellegrino e comunali), nelle varie tappe, e da presentare una volta giunti a Santiago per ricevere la Compostela, l’attestato di compiuto pellegrinaggio. Addirittura è raccomandabile fare richiesta per la credenziale diversi mesi prima della partenza perché viene inviata dalla Confraternita di San Jacopo, a Perugia, e va richiesta tramite una delle associazioni che permettono di farlo e che si trovano tranquillamente su Internet a seconda della zona di residenza. Esiste perciò una documentazione scritta che attesta l’“essere pellegrino”. Ma questo basta a sentirsi tale davvero? Non esiste una risposta univoca al quesito, ma sicuramente ognuno all’interno del proprio percorso, a un certo punto vive un momento di cosiddetta “epifania” per cui si rende conto di essere al posto giusto, nel momento giusto. A me è successo in particolare all’inizio del viaggio, quando durante la sosta di un giorno nella prima tappa a Leòn ho sperimentato in modo inaspettato un profondo senso di appartenenza.

Ore 21, post cena, una stanchezza esagerata e una gran voglia di andare a dormire vista la sveglia per partire prestissimo l’indomani. Stiamo per varcare finalmente la soglia del nostro albergue quando una suorina minuta, anziana, ma di un’autorevolezza incredibile, ci ferma e ci fa una domanda che ci lascia spiazzate per un momento: «Siete pellegrine?». Lì per lì, colte di sorpresa, abbiamo sorriso pensando al tono retorico di quella domanda: chiaramente se ci trovavamo lì, in quel momento, dovevamo esserlo. Eppure poco dopo avrei capito che il senso di quella richiesta era ben più profondo di quanto su due piedi avessi potuto pensare. La nostra risposta è stata chiaramente un sì, anche se leggermente dubbioso, e lei senza dire altro ci ha prese, proprio fisicamente, e introdotte in una porticina dalla quale si accedeva all’atrio della cappella del monastero. Lì, un gruppo sparuto di altri pellegrini come noi, pochi a dire il vero rispetto alla quantità di persone che soggiornavano in quel posto, di nazionalità diverse, in un’atmosfera raccolta e in un senso di spaesamento generale. Finalmente, dopo qualche minuto di silenzio imbarazzato misto al bisbiglio sintomo di curiosità per quella bizzarra situazione, la rivelazione: avremmo partecipato alla preghiera serale delle monache, la preghiera del pellegrino, augurio e benedizione per iniziare al meglio la giornata seguente di cammino. È stato un momento estremamente breve, non più di 15 minuti, ma talmente intenso da emozionarmi. Ciascuno recitava salmi e preghiere nella propria lingua, una babele linguistica che in altro contesto sarebbe sembrata quasi ridicola, ma lì in quel preciso istante, faceva venire i brividi. Tutti insieme, uno accanto all’altro, sconosciuti, credenti e atei, a recitare la compieta insieme a delle suore. Il primo momento in cui ho sentito un forte senso di appartenenza, e ho capito di essere un pellegrino. Pur senza indossare abiti consunti, sandali rotti, pur portandomi dietro uno zaino, probabilmente troppo grande e troppo pieno di cose inutili che ho poi abbandonato nell’andare; pur senza un cieco sentimento di fede e senza vera consapevolezza del senso del mio viaggio. Da lì ho capito che per essere pellegrini, bisogna iniziare con lo scaldare e preparare solo una cosa fondamentale, l’unica che anche in mancanza di tutto il resto renderebbe comunque autentico il cammino: il proprio cuore.

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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