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#Viveoggi: 21 novembre, Gelsomina Verde

“Si saranno conosciuti nel solito bar. I maledetti bar meridionali di periferia intorno a cui circola come un vortice l’esistenza di tutti, ragazzini e vecchi novantenni catarrosi. O forse si saranno incontrati in qualche discoteca. Un giro a piazza Plebiscito, un bacio prima di tornare a casa. Poi i sabati trascorsi assieme, qualche pizza in compagnia, la porta della stanza chiusa a chiave la domenica dopo pranzo quando gli altri si addormentano sfiniti dalla mangiata. E così via. Come si fa sempre, come accade per tutti e per fortuna.”

Così Roberto Saviano nel libro Gomorra prova a immaginare la storia d’amore tra Gennaro e Gelsomina. Sembra una storia come tante, ma non ha un lieto fine, perché Gelsomina non c’è più.

È morta a Napoli il 21 novembre del 2004, ammazzata a soli 22 anni con tre colpi alla nuca dopo essere stata torturata, e il corpo gettato nella sua macchina e bruciato.

Nei primi anni duemila scoppia la faida di Scampia. Paolo Di Lauro, detto anche Ciruzzo o ‘Milionario, boss di un potente clan camorrista, viene arrestato e i suoi figli diventano i nuovi capi dell’organizzazione. L’allora braccio destro di Paolo, Raffaele Amato, viene estromesso dagli affari per via della lunga latitanza in Spagna e diventa il boss degli “scissionisti o spagnoli”, alleandosi con altri clan di Secondigliano-Scampia. Inizia così una guerra, con omicidi all’ordine del giorno, che in poco tempo porta alla morte di centinaia di persone.

Gelsomina ha una storia con Gennaro Notturno, ma quando, dopo i primi reati, Gennaro entra a far parte della Camorra con gli scissionisti, Gelsomina decide di lasciarlo.

È una ragazza normale, lavora sodo ma è anche impegnata nel volontariato in carcere, dove conosce i camorristi dietro le sbarre, tra i quali Pietro Esposito.

Uscito dal carcere grazie all’indulto, la chiama perché si devono vedere. In realtà è una trappola ordita da Ugo De Lucia, affiliato al clan Di Lauro. Le chiedono dove sia Gennaro Notturno, il suo ex. Lei non parla. Nonostante non fossero più fidanzati, non avrebbe mai tradito un ragazzo per cui ha provato dei sentimenti.

“Ma i clan devono colpire e gli individui, attraverso le loro conoscenze, parentele, persino gli affetti, divengono mappe. Mappe su cui iscrivere un messaggio. Il peggiore dei messaggi. Bisogna punire. Se qualcuno rimane impunito è un rischio troppo grande che legittima la possibilità di tradimento, nuove ipotesi di scissioni. Colpire e nel modo più duro. Questo è l’ordine. Il resto vale zero.” (sempre da Gomorra) soprattutto perché come ha detto Don Giuseppe Diana “incutendo paura e imponendo le sue leggi, la camorra tenta di diventare componente endemica dell società campana.”

Per questo Gelsomina viene picchiata selvaggiamente e uccisa. Ma uccidere una donna avrebbe potuto scatenare la reazione popolare e per questo decidono di bruciarla, in modo da nascondere le torture inferte.

I mafiosi mentono, sono dei bugiardi e hanno creato un falso mito. Un mito secondo il quale donne e bambini non si toccano. Un mito sfatato già diverse volte.

All’interno delle varie organizzazioni vi era in teoria una concezione arcaica della donna, veniva veicolata l’idea che la mafia fosse solo un’organizzazione di uomini d’onore, senza alcuna componente femminile.

Non era il caso che la donna venisse arrestata e mandata in carcere, poiché essa doveva mantenere i figli. Il figlio di mafiosi doveva crescere con una cultura mafiosa e quindi il compito della donna era quello di stare in casa per trasmetterla.

È tuttavia ironicamente triste constatare che le organizzazioni criminali, di fatto, pratichino la “parità di genere” molto più dello Stato al quale si oppongono. Non solo una donna, come nel caso di Gelsomina Verde, può essere fatta a pezzi al pari di qualunque uomo ma anche il ruolo della donna, all’interno della cosca è cambiato perché essa ormai gestisce i soldi e porta ordini in carcere dal marito agli altri affiliati e nelle faide è spesso la donna a spingere l’uomo alla vendetta e al sangue.

Anche quello della intoccabilità dei bambini è un mito sfatato diverse volte. È il caso di Giuseppe Di Matteo, un ragazzino di soli 12 anni, tenuto prigioniero in un bunker dal clan dei Corleonesi per 779 giorni (tre anni), prima di essere assassinato l’11 gennaio del 1996. Era il figlio di Santino Di Matteo, un boss mafioso che era diventato cornuto perché aveva deciso di collaborare con la giustizia. Il ragazzo ormai quindicenne, ridotto a uno scheletro per la prigionia, venne strangolato su ordine di Giovanni Brusca e il suo corpo sciolto in un barile di acido.

L’omicidio di Gelsomina e del piccolo Di Matteo, così come quello di molte altre donne e bambini sono le prove che le mafie non sono fondate sull’onore e la rispettabilità di cui tanto si vantano. Ma soprattutto sono la prova che le mafie hanno tutto l’interesse a cancellare ogni traccia di memoria della persona allo stesso modo del loro corpo. Dev’essere per questo che Roberto Saviano sceglie di immaginarla ancora in vita e innamorata: per contrastare l’opera di cancellazione della Camorra. Gelsomina è VivaOggi.

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