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Guardie e ladri: la mafia e il diritto penale

di Irene Doda

Ciclo mafie 2012: intervista a Raffaele Cantone

Giovedì scorso, nell’ambito del ciclo mafie 2012 è intervenuto in Aula Magna il magistrato Raffaele Cantone. Esperto di camorra, autore di numerose pubblicazioni in merito (l’ultima è Football Clan, un’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nel calcio), noto per aver condotto le indagini sul clan dei Casalesi, Cantone è in magistratura dal 1991 e attualmente è giudice presso l’Ufficio Massimario della Corte di Cassazione.

Al termine dell’incontro gli abbiamo posto alcune domande, sul suo lavoro di magistrato e sulla difficile e controversa lotta alla criminalità organizzata.

Inchiostro- Vorremmo iniziare a chiederle qualcosa in merito a ciò di cui lei ha parlato stasera. Lei ha usato l’espressione “supplenza del diritto penale”: parla in riferimento al legislatore? E cosa intende quando dice che “nessuno vuole sporcarsi le mani”?

Quando parlo di “supplenza” intendo dire che, a mio parere, il legislatore italiano è particolarmente pigro. Troppo spesso non è assolutamente in grado di seguire l’evoluzione dei fenomeni. Un legislatore attento è immediatamente in grado di cogliere le tendenze che emergono, ad esempio i nuovi fatti di rilevanza antisociale che meritano di essere stigmatizzati. E questa carenza del legislatore, che invece in altri ambiti è molto attivo (vedi l’immigrazione…), consente o impone alla giurisprudenza di farsi carico della questione: è il caso del concorso esterno, come dicevo durante la conferenza, o del voto di scambio mafioso.

Con il discorso sullo “sporcarsi le mani” mi riferisco invece a un altro argomento, più attinente alla cultura giuridica. Nelle nostre Università ci sono ancora decine di esami di diritto romano, ed è giusto che ci siano, ma in quante Università si studia la legislazione riguardo alla criminalità organizzata? A Napoli siamo riusciti a far istituire dei corsi, dopo molte mie insistenze. Io credo che questo sia indicativo: si preferisce far studiare il diritto romano, o una serie di materie “tranquillizzanti” piuttosto che norme spesso scritte male, e utilizzate solo con logica emergenziale. Io credo che le applicazioni non siano spesso corrette poiché manca anche una dottrina autorevole e indipendente; spesso dietro questa dottrina ci sono avvocati che fanno interessi di altro tipo…

Forse la seconda domanda potrà sembrarle un po’ ingenua. In un contesto sociale come quello italiano non si rischia di avere sempre a che fare in qualche modo con la mafia ogni volta che si occupa una posizione di potere? E d’altra parte un magistrato che deve indagare non rischia sempre di intaccare un qualche potere ogni volta che tocca gli interessi mafiosi?

Sì e no. Dipende da cosa si va ad affrontare con riferimento alle mafie. C’è una parte di mafia che non ha necessariamente a che vedere col potere, potremmo definirla la “manovalanza”. Quando ci indaga su questa c’è un grande entusiasmo anche da parte dei media, mentre quando ci si occupa delle fasi superiori, quelle che riguardano il potere, allora cambia anche la percezione sociale.

Il vero problema è la commistione fortissima che c’è tra pezzi di potere e pezzi di criminalità, che rappresenta sicuramente una peculiarità italiana, che non c’è in altri stati d’Europa.

L’ultimo quesito che le pongo è di carattere più generale. Dal punto di vista di una persona che non ha mai avuto a che fare con il diritto, si ha l’impressione che la mafia sia qualcosa d multiforme, cangiante. Il diritto è in grado di assumere queste stesse caratteristiche per contrastarla?

Deve. Le istituzioni devono essere in grado di seguire l’evoluzione della mafia. E’ un po’ come il gioco di guardie e ladri; non appena lo Stato interviene in un certo ambito la mafia va ad occupare i posti lasciati vacanti dallo Stato. L’obiettivo è quello di non lasciare posti non occupati, di essere tempestivi ed efficaci. Un esempio è la legislazione antimafia del 1991-92, che ancora oggi presenta grandi potenzialità, e che ha la sua ragione evidente nella presenza all’epoca di Falcone al ministero: si è riusciti a introdurre norme su sequestri e confische, norme che riguardano lo scioglimento dei consigli comunali. Quella legislazione è stata rivoluzionaria perché non si è limitata ad attendere, ma ha dimostrato anche la capacità di prevedere.

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